Punk & Patriots: incontro con David Hare e Hanif Kureishi

Nell'ambito della retrospettiva del festival romano dedicata al cinema inglese, si è svolto ieri l'incontro tra il regista e lo scrittore.

Prosegue, e si avvia alla conclusione, la retrospettiva Punk & Patriots, rassegna che il Festival del Film di Roma ha voluto dedicare al cinema britannico: una selezione curata dal critico cinematografico Jonathan Romney, che ha visto alcuni dei protagonisti di quella scena scegliere ognuno due titoli, che esprimessero, ognuno, l'anima più tradizionalista e quella più di rottura della cinematografia britannica. L'incontro che si è tenuto ieri all'Auditorium è stato quello tra lo sceneggiatore e regista David Hare (autore di script come quelli di Il danno e The Hours e regista del nuovo Page Eight, presentato proprio nell'ambito del festival) e lo scrittore Hanif Kureishi, che tra gli altri lavori per il cinema annovera la sceneggiatura di My Beautiful Laundrette di Stephen Frears.
Nello stimolante dialogo sul proprio lavoro e sulla scena cinematografica britannica del passato e del presente, i due hanno risposto alle domande poste da Romney e in seguito dal pubblico.

Il cinema britannico è spesso criticato perché considerato conservatore, François Truffaut addirittura diceva che non esiste. Secondo voi c'è questa vena conservatrice nel cinema inglese? Hanif Kureishi: Io credo ci sia anche altro. Il canale televisivo Channel 4, all'inizio degli anni '80, produceva film per la TV che poi uscivano anche in sala: quello era un periodo molto intenso e fecondo per il cinema inglese, in cui era presente una vena sovversiva, di odio e denigrazione. Ma è un elemento che è sempre stato presente in tutti gli aspetti della nostra cultura, persino a partire da Shakespeare, in cui si riscontrava spesso una commistione tra cultura e volgarità.
David Hare: Io ho fatto dei film negli anni '80, e l'impressione che si aveva allora era quella di una cultura tradizionalista. Il cast tecnico dei film, poi, invece di parlare di cinema parlava sempre di golf, e quando parlava di cinema si limitava a David Lean: allora, fare film provocatori significava andare contro gli interessi del settore. Con [FILM]Page Eight, al contrario, mi sono stupito di vedere il cambio di atmosfera: tutta la troupe sapeva di cinema, anche più di me, e capiva esattamente cosa volevo fare. In questi anni credo ci sia stata una trasformazione radicale, ora è indubbiamente più piacevole fare film.

Quello degli anni '80 però era anche un periodo aperto per il cinema, si sperimentava parecchio; ma questo corrispondeva con una politica conservatrice nel paese, quella di Margaret Thatcher. Poi hanno vinto i laburisti, ma nel cinema è sembrato di vedere al contrario un ritorno della tradizione. Come mai, secondo voi? Hanif Kureishi: Questo è un conflitto che è sempre stato presente, nel nostro cinema. Il nostro obiettivo, però, era quello di dare una diversa immagine del mondo, che fosse più vera, più rispondente alla vita reale. Tutti hanno visto in televisione il matrimonio di William e Kate, ma quello che sono riusciti a rimanere svegli sanno che la vita di tutti i giorni è ben diversa.
David Hare: Negli anni '80 i nostri registi facevano gli operai al servizio dei produttori americani; i veri registi di allora, come Mike Leigh e Ken Loach, hanno iniziato a lavorare in televisione dove c'era molta più libertà. Grazie a Channel 4 questi giovani registi hanno poi iniziato anche a lavorare nel mondo del cinema; anche se poi in molti hanno ricevuto offerte dagli Stati Uniti, sono andati a lavorare lì e la loro personalità in parte si è diluita.

C'è chi dice che il cinema inglese non è un cinema di registi ma di sceneggiatori. Voi siete entrambe le cose. Cosa ne pensate? Hanif Kureishi: Il cinema non può essere fatto solo di registi: ci sarà pur qualcuno che ha scritto Casablanca, no? In televisione, negli anni '60, si potevano vedere le commedie di Alan Bennett o di altri drammaturghi, e quelle erano opere in cui la scrittura era tutto. Il cinema non è mai l'opera di una sola persona ma è sempre un prodotto di collaborazione, come la musica pop.
David Hare: Io sono cresciuto con film della Nouvelle Vague, si diceva che tutto ciò che era francese era meraviglioso, e che quello fosse per eccellenza il cinema non letterario; eppure i film di Truffaut erano pieni di citazioni della tradizione classica, quindi non credo che quella fosse un'analisi corretta. La realtà è che il cinema è un insieme di parole e di immagini, e chi non utilizza entrambi in realtà non utilizza tutti gli strumenti a sua disposizione.

Kureishi, My Beautiful Laundrette è stato scritto da lei ed è anche la sua prima scelta per questa retrospettiva. Quando uscì, si capì che era un film diverso da tutto ciò che era uscito prima. Può parlarcene? Hanif Kureishi: All'epoca c'era molta meno apertura verso il tema dell'omosessualità, i gay erano condannati a vivere la propria sessualità in privato; così pensai che doveva essere duro dover passare tutta la propria vita senza poter esprimere questo aspetto di sé. Era importante mostrare immagini di persone gay, e tra l'altro Frears continuava a ripetermi di rendere la storia più "sporca".

Pensate che film come questo rappresentassero una reazione al cinema inglese precedente, un po' come fu per la generazione di John Osborne? David Hare: Sì. Non è un caso che il film di maggior successo degli anni '70 si chiamasse Don't Look Now (in italiano, A Venezia... un dicembre rosso shocking, ndr): già il titolo era esplicativo dell'atteggiamento del cinema inglese di quel periodo. Negli anni '80 c'è stata una vera rivoluzione, sono apparsi impresari di grande coraggio, ma tutto è nato dalla televisione e da reti come Channel 4.

Vuole parlarci della sua scelta di Idolo infranto di Carol Reed? David Hare: L'ho scelto e ho dato anche un contributo a farlo restaurare, visto che la pellicola era in condizioni terribili. Carol Reed è stato tra i pochi registi inglesi che hanno fatto in America film migliori di quelli fatti in patria; lui è noto soprattutto per Il terzo uomo, ma Idolo infranto è uno dei pochi film dell'epoca che racconti una storia dal punto di vista di un bambino. Tra l'altro, è un film che affronta uno dei grandi temi che attraversano il cinema inglese, quello di mantenere le apparenze nonostante si stiano attraversando momenti emotivi terribili; è un tema presente anche in My Beautiful Laundrette. La cosa bella della sceneggiatura di quel film, poi, è che l'autore ci crede: non fa come fanno molti altri sceneggiatori del periodo, che inserivano la battutina scema all'interno di una scena drammatica, togliendo ad essa serietà.

L'altro film scelto da Hare, con la sceneggiatura di Kureishi, è Mio figlio il fanatico. Il film mostra la nuova realtà della Gran Bretagna musulmana, prima che il tema diventasse in qualche modo pubblico... Hanif Kureishi: I miei parenti pakistani allora avevano paura che il loro paese divenisse dominio degli integralisti, tra l'altro era il periodo della fatwa contro Salman Rushdie. In Gran Bretagna l'integralismo non ha attecchito, anzi ricordo dei discorsi appassionati in una moschea inglese, che toccavano temi come il rapporto tra uomo e donna, impensabili per gli integralisti. Così decisi di scrivere una storia su rapporto tra padre e figlio, con il figlio si ribella al padre in modo "reazionario". L'unico modo di rappresentare un argomento così importante, secondo me, è affrontarlo da un punto di vista particolare, come quello del rapporto tra due persone.

Quali sono, secondo voi, i temi che invece devono ancora essere affrontati? David Hare: Oggi, per esempio, mancano film che affrontino il tema dello spionaggio in modo serio. Io ho fatto Page Eight proprio per questo, perché i film di spionaggio di ora sono sciocchi; quelli tratti dai romanzi di John Le Carré erano validi, ma dopo la caduta del Muro il genere ha subito una involuzione. Gli eroi di Le Carré erano sconcertati nello scoprire che i nostri servizi segreti usavano gli stessi metodi usati dei nemici, ora al contrario la gente è più disillusa e sa bene che lo spionaggio è sporco; tuttavia, in Page Eight ho cercato di tracciare dei limiti, dei recinti.

I film inglesi degli anni '80 andavano contro la Thatcher, l'obiettivo era chiaro. Ora però i governi sono diversi, e cercano di far passare una immagine positiva anche in chi ha opinioni diverse. I confini sono più sfumati, ed è più difficile scegliere l'obiettivo... Hanif Kureishi: Questo non significa però che ci sia indifferenza: la gente attualmente è infuriata per quello che succede, e anche nel cinema servirebbe un sistema più aperto per permettere ai giovani di esprimere le proprie idee, di fare i film che vogliono fare. Servirebbero produttori più aperti, più lungimiranti.
David Hare: Tra l'altro, i generi sono stati ormai esplorati in lungo e in largo, non sta lì il futuro. Il pubblico ne ha abbastanza di film di genere, non si può più fare film basati su regole rigide come quelli di George Lucas: qualsiasi film che violi le regole è più interessante.

Il cinema inglese del passato, forse, era diverso perché non così centrato sulle star come quello statunitense; forse, per questo, gli sceneggiatori avevano più libertà, visto che potevano scrivere senza pensare alle star. Ora sembra ci sia un ritorno dello star system: questo sta comportando nuove difficoltà? David Hare: Beh, io ho scritto due film come The Hours e A voce alta - The Reader che erano entrambi pieni di star: quando li abbiamo scelti, abbiamo pensato che queste star fossero gli attori migliori per quelle parti. The Hours, per esempio, aveva una struttura difficile con temi molto duri, e servivano ottimi attori per interpretarlo.
Hanif Kureishi: C'è una differenza tra buoni attori e star, ma ci sono casi in cui le due categorie coincidono. A volte può capitare anche che per un film venga scelto uno sconosciuto che poi diventa una star.

Qualche giorno fa, proprio qui, Michael Mann ha detto che i migliori contenuti adesso sono sulla TV via cavo. Il mezzo televisivo quindi è quello migliore per raccontare storie, attualmente? Hanif Kureishi: Sì, in televisione per gli scrittori è possibile scrivere storie elaborate con molti personaggi, è un'opportunità che dà grande libertà e nello stesso tempo visibilità. Tutti, per esempio, seguono serie come Mad Men e I Soprano.
David Hare: Io sono un appassionato di TV e di serie televisive; Salman Rushdie ha dichiarato addirittura che, se dovesse iniziare a scrivere oggi, scriverebbe sceneggiature per le serie tv.

In Inghilterra vediamo spesso film con ottime idee, realizzati con costi ridotti e finanziamenti limitati. Come mai per gli americani e per gli altri europei è così difficile fare cinema indipendente e distribuirlo? Hanif Kureishi: Il cinema indipendente esiste anche negli Stati Uniti, è un cinema a basso costo col quale si è meno condizionati da alcune logiche commerciali. Il problema casomai è distributivo.
David Hare: In America, in effetti, certi film indipendenti validi si perdono, visto che il circuito distribuzione è carente: spesso questi film si vedono al Sundance e poi spariscono. Al contrario in Francia, e a volte anche in Gran Bretagna, capita che un film che ci sorprende e venga poi distribuito in sala, e sia visibile al pubblico.

Tutti per uno, l'altro film scelto da Kureishi, è punk o patriots? Inizialmente i Beatles erano considerati dei ribelli, poi apparvero i Clash che si proponevano di seppellirli. Ora sono i Clash stessi, insieme a tutta la scena punk, a rappresentare la vecchia guardia... Hanif Kureishi: Ricordo che Tutti per uno (A Hard Day's Night) lo vidi da bambino con mia madre: lei si coprì il volto e urlò più volte, durante la proiezione, ne rimase sconvolta! La stessa cosa facevano le altre madri presenti, fu una cosa incredibile. Rivedendolo adesso penso che sia un gran film, che soprattutto fa capire che questi ragazzi, nonostante il successo, avevano una vita terribile: erano anche loro prigionieri del sistema.
David Hare: Quando provai ad andare a vedere quel film, per tre volte non riuscii neanche a entrare nella sala: ebbe un successo incredibile, il cinema era letteralmente assediato. Quando infine riuscii ad entrare tutti i posti erano stati presi e neanche si riusciva a sentire, visto che la maggior parte degli spettatori aveva già visto il film ed era tornata per la seconda o la terza volta. L'idea che un gruppo rock potesse fare un buon film, allora, era sconvolgente: i film di Elvis Presley erano ridicoli. La combinazione tra musica e cinema, di cui quel film è stato espressione, ha creato una vera rivoluzione nella cultura popolare.