Profondo rosso: abissi di orrore nel cult di Dario Argento

Torna al cinema Profondo rosso, il thriller di Dario Argento del 1975: un film diventato di culto grazie alla sua vivida rappresentazione di un orrore dai contorni metafisici.

Profondo rosso: abissi di orrore nel cult di Dario Argento

Un pensiero malvagio... deve essere rimasto stagnante in questa sala. Un momento fa mi ha raggiunto di nuovo.

Nella scena che segue i titoli di testa, dopo aver interrotto le prove della sua orchestra jazz, il pianista Marc Daly si rivolge agli altri musicisti per esprimere qualche notazione in merito alla loro performance: "Va bene, molto bene. Forse un po' troppo per bene: troppo pulitino, sì, preciso, troppo formale, dev'essere più buttato lì". Il jazz, genere nato nei bordelli (come ricorda ancora Marc), richiede libertà e istinto: un assioma, quello pronunciato dal pianista inglese, che forse funziona pure da ideale dichiarazione d'intenti per il film che ha appena avuto inizio. La libertà stilistica e compositiva costituisce, del resto, un tratto fondamentale di Profondo rosso: un film dall'essenza addirittura 'caotica', per la frenesia con cui si smarca da codici e regole e per la fluidità nell'attraversare i territori del reale e dell'onirico, senza soluzione di continuità.

David Hemmings
Profondo rosso: un'immagine di David Hemmings

Distribuito nelle sale italiane il 7 marzo 1975, Profondo rosso si sarebbe attestato di gran lunga come il maggiore successo di Dario Argento in patria, nonché come il suo film più ricordato, quello in grado di lasciare una notevole impronta nell'immaginario collettivo nazionale. Si tratta, inoltre, di un fortunato punto di congiunzione tra due fasi nella carriera del regista romano: nell'ossatura narrativa, sembra riproporre il paradigma dei gialli realizzati da Argento nella prima metà degli anni Settanta, vale a dire la "trilogia degli animali" (L'uccello dalle piume di cristallo, Il gatto a nove code e Quattro mosche di velluto grigio), con tanto di echi, citazioni ed elementi ricorrenti; di contro, la dimensione paranormale assume un ruolo che, da lì a breve, diventerà preponderante nelle sue opere, a partire dal celeberrimo Suspiria, che due anni più tardi porterà all'affermazione di Dario Argento a livello internazionale.

Gli indagatori dell'incubo nella svolta horror di Dario Argento

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Profondo rosso: un'immagine del film

Profondo rosso costituisce pertanto un anomalo ibrido fra la natura del thriller, che qui sembra ancora prevalente, e quella dell'horror soprannaturale, dichiarata fin dall'apparizione della medium tedesca Helga Ulmann (Macha Méril), che durante un congresso di parapsicologia capta i pensieri malvagi di una "mente perversa", di cui percepisce la furia omicida. La soggettiva dallo sguardo dell'assassino accompagna noi spettatori nella sala in cui si sta svolgendo il congresso, oltrepassando un fitto tendaggio rosso: un richiamo al titolo, ma sul piano simbolico anche l'ingresso in un mondo altro, avvolto in un sipario scarlatto che pare sottolineare l'aspetto della teatralità e della finzione. Ed è il mondo in cui presto si ritroverà immerso il Marc Daly di David Hemmings, testimone suo malgrado dell'uccisione della sensitiva e portato, un po' per caso, un po' per curiosità, a improvvisarsi detective accanto all'intraprendente cronista Gianna Brezzi (Daria Nicolodi).

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Profondo rosso: un'immagine di David Hemmings
Profondo Rosso
Profondo rosso: un'immagine di Giuliana Calandra

Ecco, alla radice del fascino di Profondo rosso, al di là della presa esercitata sui fan del genere dalla sua componente smaccatamente granguignolesca, vi è l'atmosfera morbosa e indecifrabile in cui è avvolta l'indagine dei due protagonisti. Morbosa perché, abbandonando ogni pretesa di realismo, l'assassino a cui Marc e Gianna danno la caccia assume i contorni di un'entità quasi metafisica: a prescindere dell'identità del colpevole, svelata solo nell'ultimissima scena, l'antagonista è la personificazione di un Male tanto più spaventoso quanto più incomprensibile, perlomeno a voler usare gli strumenti della logica. Ma la storia di Profondo rosso, dicevamo, per certi versi è anche indecifrabile: nel rifiuto della razionalità, che al contrario dovrebbe costituire l'istanza chiarificatrice del giallo; nelle accensioni lisergiche, scandite il più delle volte dall'indimenticabile colonna sonora dei Goblin; e dal perenne senso di straniamento che accomuna Marc al pubblico.

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La festa dei cliché e il "sospetto di sublime"

Daria Nicolodi
Profondo rosso: un'immagine di Daria Nicolodi

È uno straniamento che trapela spesso dallo sguardo di David Hemmings (ingaggiato per rimpiazzare Lino Capolicchio, prima scelta di Argento): l'attore di Blow-up si aggira semi-spaesato nell'oscuro universo di Profondo rosso, film che della commistione di registri fa un vero e proprio marchio stilistico. Tale commistione, considerata - a seconda dei gusti - un punto di forza o un tallone d'Achille, si riflette nel ritmo narrativo slabbrato, con repentine accelerazioni, e nella varietà di toni legati a scene e personaggi: dalla malinconia languida e disperata di Carlo, interpretato da Gabriele Lavia, alla recitazione sopra le righe di Daria Nicolodi; dalle selvagge esplosioni di violenza ai siparietti comici fra Marc e Gianna, con le loro schermaglie da "guerra dei sessi" che vorrebbero riecheggiare certi modelli della screwball comedy americana. Ma d'altra parte, Profondo rosso è un'opera imperniata sull'accumulo, fino a rasentare il parossismo: innanzitutto quando si tratta di dar forma all'ignoto e all'orrore.

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Profondo rosso: un'immagine del film
Profondo Rosso Hemmings
Profondo rosso: un'immagine di David Hemmings

Ecco dunque una galleria di ambienti trasfigurati in perfetti scenari dell'inconscio e dell'incubo: la panoramica notturna di Piazza C.L.N. a Torino, in cui le sagome solitarie di Marc e Carlo sono sovrapposte alla rievocazione di un quadro di Edward Hopper; lo spettrale corridoio nell'appartamento di Helga, contornato da lugubri dipinti; e ovviamente la "villa del bambino urlante", maniero diroccato che dietro uno strato di intonaco cela un agghiacciante segreto. Mentre l'assassino, al momento di colpire, si manifesta tramite sinistre nenie infantili, bambole impiccate e perfino un burattino meccanico, il cui sadico ghigno prelude a un'apoteosi di mostruosità. Parafrasando le parole di Umberto Eco a proposito di Casablanca, si potrebbe suggerire, mutatis mutandis, che anche in Profondo rosso "si avverte oscuramente che i cliché stanno parlando tra loro e celebrano una festa di ritrovamento. Come il colmo del dolore incontra la voluttà e il colmo della perversione rasenta l'energia mistica, il colmo della banalità lascia intravvedere un sospetto di sublime".