Nello scrivere la recensione di PJ Harvey - A Dog Called Money, il documentario di Seamus Murphy sul dietro le quinte di un album della cantante P.J. Harvey, cercheremo di spiegare cosa ci ha convinti e affascinati di questo viaggio nel processo creativo dell'artista, ma anche di sottolineare cosa può risultare spiazzante, meno riuscito e, per qualcuno, deludente. Questa duplice lettura è possibile per un'ambiguità che suscita la prima regia del fotoreporter irlandese e che andremo a spiegare nelle prossime righe.
In viaggio con l'artista
Sin dalle prime battute, PJ Harvey - A Dog Called Money ci offre uno spaccato dei viaggi fatti da Seamus Murphy insieme a P.J. Harvey, sia in zone delicate come l'Afghanistan o il Kosovo, sia in alcune aree della città di Washington. Si tratta di esperienze che l'artista ha scelto di fare per avere un contatto diretto con luoghi di cui avrebbe voluto scrivere ed è con questa funzione in mente che Murphy le ha inserite nel contesto del suo documentario, per accompagnare ed evocare l'opera che ne è scaturita. Con la sola eccezione di un'area di Washington, infatti, Seamus Murphy non approfondisce i luoghi e i loro problemi, si limita a osservare la cantante nei contesti che hanno visitato insieme.
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The Hope Six Demolition Project
Comprendiamo che questo approccio possa risultare spiazzante per alcuni spettatori che possono aspettarsi una maggiore indagine e analisi dei luoghi mostrati, ma non è quello il focus di A Dog Called Money. La camera del reporter irlandese sorvola con apparente noncuranza, ma semina suggestioni che raccoglie successivamente, quando ci porta laddove si compie la magia, spiando le registrazioni dell'album The Hope Six Demolition Project di P.J. Harvey, uscito nel 2016 dopo una fase produttiva molto peculiare: una serie di sessioni da 45 minuti, aperte al pubblico e tenute tra il gennaio e il febbraio del 2015, in un'area appositamente creata della Somerset House per realizzarne una vera e propria installazione artistica chiamata Recording in Process.
Con un titolo che richiama HOPE VI, programma edile statunitense che consiste nella demolizione di edilizia popolare in zone ad alto tasso di criminalità per fare posto a costruzioni riqualificate, il nono album dell'artista si rifà nei temi e nei testi a quei viaggi e quelle esperienze vissute tra il 2011 e il 2014, ma è l'opera, la sua realizzazione e non la sua ispirazione, a essere protagonista del documentario. Un intimo e profondo dietro le quinte che ci offre un punto di vista privilegiato nel processo creativo della cantante inglese.
Raccontare il processo artistico
Le immagini si susseguono con fluidità, passando dagli spaccati dolorosi di zone ferite all'intimità dello studio realizzato alla Somerset House, con le parole e la musica di P.J. Harvey a fare da collante, a evocare ed enfatizzare, in un gioco di rimandi continuo. A Dog Called Money prende forma in quello spazio indefinito tra l'esperienza sul campo e il disco che ne è venuto fuori, un documento emozionante e prezioso che va preso per quello che è senza pretese di completezza, approfondimento e analisi, con la stessa predisposizione emotiva che dedichiamo alla dimensione artistica che racconta e la musica, ovviamente presente e travolgente, di P.J. Harvey.
Conclusioni
Chiudiamo la recensione di A Dog Called Money ripetendo un concetto: il documentario di Seamus Murphy è valido e riuscito nel suo intento primario di raccontare il dietro le quinte della realizzazione di un album di P.J. Harvey e il processo creativo dell’artista, meno nell’indagare luoghi e miserie che i due hanno affrontato nei loro viaggi e che hanno dato ispirazione per le canzoni della cantante.
Perché ci piace
- La musica di P.J. Harvey, ovviamente presente e travolgente.
- Il modo in cui Seamus Murphy ci accompagna nel processo creativo della cantante.
- La capacità di ipnotizzare col musica e immagini, in un viaggio emotivo ed emozionante.
Cosa non va
- Non riesce ad approfondire i luoghi toccati dai viaggio del regista e la cantante, affrontati in più di un’occasione con troppa superficialità rispetto alle problematiche che presentano.