Recensione La meglio gioventù (2003)

Epopea di una famiglia fra il 1966 e i giorni nostri, La meglio gioventù non ha certamente niente da spartire con le fiction che imperversano sul piccolo schermo. Nato infatti come prodotto per la televisione, quest'opera si presenta con il respiro del grande cinema.

Piccole storie nella Grande Storia

Strana odissea per quest'opera anomala; nata come sceneggiato televisivo, rimandata più e più volte da mamma Rai la sua messa in onda, ha visto luce a Cannes e ha persino vinto il premio come miglior film nella sezione Un Certain Regard al Festival di Cannes 2003, fino a essere distribuito in due parti nei cinema italiani.
Ma a dispetto della sua origine, La meglio gioventù ha il respiro non della fiction televisiva, ma quello di un cinema grandissimo. Marco Tullio Giordana ci libera finalmente dall'italico "tre camere e un tinello" per tentare, e riuscire, nell'impresa di raccontare una famiglia e i suoi amici in un arco di tempo che va dal 1966 ai giorni nostri, intessendo con abilità vite private e vita dell'Italia.

E parlare di tessuto non è lontano dalla verità: la grande storia con la s maiuscola infatti non è solo uno sfondo, un blue screen sul quale si muovono i protagonisti, ma è protagonista anch'essa. Le vicende italiche generali e quelle della famiglia Carati si riflettono, si stimolano, si influenzano a vicenda. Giordana riesce a creare personaggi (vere cartine al tornasole di quello che è un personaggio, lontano mille miglia da una macchietta, uno stereotipo, una caricatura) che vivono e cambiano, che subiscono colpi, delusioni, ma anche scoppi di gioia e di orgoglio meritato e che ci rendono possibile vedere finalmente quello che è stato il cambiamento dei pensieri e dei comportamenti della nazione in cui viviamo. E tutto questo ci è facilitato dalla guida inconsapevole della famiglia Carati, con a capo i due fratelli Matteo (Alessio Boni) e Nicola (Luigi Lo Cascio), figli della loro generazione, ma con due visioni della vita antitetiche.

Il risultato è una pellicola di grande respiro, coinvolgente, densa di significato ma mai pesante, con una regia attenta ai paesaggi (Giordana fotografa l'Italia da Mestre a Stromboli, in una carrellata memorabile di fatti e luoghi) ma soprattutto densa di primi piani, come se la ricerca della verità cominciasse da dentro, mai dal fuori. In questo il regista è aiutato da un gruppo di attori in stato di grazia, capaci di essere credibili sia nelle parti di ventenni che in quelle di quasi sessantenni, con un intenso Luigi Lo Cascio in testa a tutti.
Un cinema di peso senza essere pesante, lieve come una foglia e incisivo come una lama, da vedere e rivedere come una grande operazione di memoria e di fantasia.
E quando si parla di rivoluzione del cinema italiano forse sarebbe il caso di far riferimento a opere come queste.