Il punto di forza e allo stesso tempo di debolezza del primo Peter Rabbit era la commistione di umorismo tipicamente british e irriverente rispetto all'originale cartaceo di Beatrix Potter, rendendolo un prodotto tanto per i bambini quanto una strizzata d'occhio per gli adulti. Scrivendo questa recensione di Peter Rabbit recensione di Peter Rabbit 2: Un birbante in fuga, dal 1° luglio al cinema con Sony Pictures, ci dispiace dire che questo secondo film della (possibile) saga in tecnica mista sembra fare un passo indietro rivolgendosi più ai piccoli spettatori. Vediamo perché.
TECNICA MISTA, ONCE AGAIN UPON A TIME
Come ogni favola irriverente che si rispetti, questo sequel cerca di alzare il tiro - forse anche sulle polemiche al tempo del primo capitolo - mettendo in scena una storia nella storia e giocando con lo storytelling. Bea e Thomas si sono felicemente sposati ma alla loro tranquilla vita di campagna insieme ai loro conigli viene dato uno scossone quando un importante editore londinese si offre di pubblicare il libro di favole di lei (e ancora di più il personaggio di Bea strizza l'occhio alla Beatrix originaria) promettendo di farlo diventare il prossimo bestseller. Per farlo però, la timida autrice dovrebbe accettare diversi cambiamenti, rischiando di compromettere la propria visione iniziale e individuale della sua storia... e di quella di Peter e gli altri conigli. Da questo spunto narrativo parte una sequela di battute e trovate meta-narrative per mostrare quanto sia complicato fare un sequel o addirittura una saga di più capitoli, quanto sia difficile per un autore mantenere il proprio credo e che i propri personaggi restino veri verso se stessi in primis. Parallelamente ritroviamo ancora una volta una tecnica mista di live action e animazione in CGI per gli animali antropomorfi ben equilibrata e riuscita, che gioca ancora di più con una comicità slapstick grazie anche alle doti bonarie soprattutto di Domhnall Gleeson.
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PETER RABBIT UN EROE IN FUGA DA SE STESSO
Il deus ex machina narrativo del libro di Bea è in realtà anche la molla che porta l'(anti)eroe protagonista, Peter Rabbit, a una piccola fuga cittadina dove potrebbe trovare il proprio io interiore e ciò che lo fa sentire davvero se stesso. È giusto definirlo un birbante, la pecora nera della famiglia per usare un appellativo del mondo animale? Tendiamo a diventare ciò che gli altri pensano di noi? Interessanti interrogativi da coming of age per una storia di crescita mentale ed emotiva del trio protagonista vengono messi in campo in questo sequel, che però pur utilizzando lo stesso umorismo inglese e irriverente che in alcuni frangenti fa davvero ridere, allo stesso tempo sembra ricalcare alcuni schemi già visti nel primo capitolo e soprattutto sembra fare un passo indietro, quasi per paura di risultare troppo "dispettoso" oppure troppo "adulto", per ricordarci che i conigli protagonisti alla fine sono bambini, e che Bea e Thomas sono i loro genitori acquisiti. Questo mentre la coppia riflette sulla possibilità di avere figli propri e quindi - soprattutto lui - se si sentono pronti a diventare genitori.
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GENITORI E FIGLI
Accanto ai doppiatori di Peter e degli altri animali si riconfermano in parte e azzeccati gli interpreti della parte in carne e ossa del film, Rose Byrne e Domhnall Gleeson, insieme alla new entry David Oyelowo nei panni dell'editore Nigel Basil Jones. Proprio la sua figura è quella più ambigua rispetto agli altri personaggi, volutamente così come parallelamente lo sarà un incontro che Peter farà in città, con il topo Barnabas (doppiato nell'originale da Lennie James). Questo viaggio parallelo di aspiranti genitori e figli (non dimentichiamo che sia Thomas che i conigli sono orfani) è la parte più interessante del film, anche se cade in qualche "già visto" di troppo. Con Peter Rabbit 2 non possiamo non sorridere per tutti i riferimenti all'industria cinematografica e letteraria, così come non possiamo non intenerirci e ridere di gusto per alcune trovate della nuova storia che si trovano a vivere Peter, Benjamin, Codatonda, Flopsy e Mopsy, ma sarebbe servito "quel qualcosa in più" a renderlo un sequel degno di questo nome e che, soprattutto, quasi quasi ci facesse guardare curiosi già a un possibile terzo capitolo.
Conclusioni
Come abbiamo cercato di spiegare nella nostra recensione di Peter Rabbit 2: Un birbante in fuga, si tratta di un sequel riuscito per alcuni aspetti e meno per altri, che rimarca (forse anche troppo a volte) le caratteristiche che avevano fatto la fortuna e la sfortuna del capitolo inaugurale ma allo stesso tempo fa un passo indietro, quasi a volersi indirizzare maggiormente a un pubblico infantile e avere paura di strizzare troppo l’occhio al mondo adulto.
Perché ci piace
- Un sequel piacevole e di intrattenimento, con trovate umoristiche che ancora una volta strizzano l’occhio allo spettatore.
- Un mix riuscito di live action e animazione CGI, così come di uso della comicità slapstick (merito soprattutto di Domhall Gleeson).
- Le due storie parallele delle new entry Nigel e Barnabas e il giocare ancora di più con lo storytelling.
Cosa non va
- Una storia di crescita in parte già vista ma soprattutto che sembra fare un passo indietro nel parlare sia al pubblico adulto che a quello più giovane con alcune trovate forse un po’ infantili.