The Town di Ben Affleck, e poi i capitoli finali di Hunger Games, The Batman di Matt Reeves e Il gladiatore II. In mezzo, pure il soggetto de Top Gun: Maverick. Sono solo alcuni dei titoli vidimati da uno dei più influenti sceneggiatori di Hollywood, Peter Craig. Come ci aveva anticipato Kate Mulgrew, qualche minuto prima, ci rendiamo conto che l'autore, effettivamente, è incredibilmente "amabile".

Abbiamo incontrato Peter Craig su Zoom, cercando di sfruttare al massimo i minuti a disposizione per tracciare i riflessi di Dope Thief, serie Apple TV+, da lui scritta e sviluppata (l'ispirazione arriva dal libro di Dennis Tafoya). Lo show in otto puntata ci porta a Philadelphia, e racconta di Ray e Manny (interpretati dagli splendidi Brian Tyree Henry e Wagner Moura) che, per sopravvivere, si fingono agenti della DEA per rapinare mediocri case di spaccio. L'equilibrio, però, salta quando rapinano la casa sbagliata.
Dope Thief: intervista a Peter Craig
In un certo qual modo, e come vi avevamo già raccontato nella nostra recensione, Dope Thief svela l'altra faccia degli Stati Uniti d'America. Soldi, sopravvivenza, resistenza. "Devo stare attento a ciò che dirò", scherza Peter Craig, rispondendo alla nostra prima domanda, "Ma dico che la serie tratta la sfiducia e la verità. Raccontiamo un luogo dove tutti rubano, e quindi rubare diventa qualcosa di quotidiano. I protagonisti cercano di trarre profitto dal caos, ed è facile giustificarli".
E prosegue: "Il fulcro però diventa: come si può sopravvivere con tutte queste bugie e incertezze? Devi capire chi sei veramente, qual è la verità. Nella scrittura ci sono le questioni socio-politiche, ma non sono pressanti. Vari simboli che vanno in frantumi, e allora qual è la verità? Ogni singola norma sta crollando, oggi. Così come i ruoli. Parliamo dei soldi, ma per quanto i soldi varranno ancora qualcosa?".
L'amore per Paul Newman e Sam Peckinpah

Mentre confidiamo a Peter Craig quanto la coppia protagonista ci ricordi Butch Cassidy e Sundance Kid, l'autore spiega che: "Parlo sempre di film anni Settanta, ne sono ossessionato. Amo i film di Paul Newman, o quelli di Sam Peckinpah. Pensavo a loro quando ho scritto Ray e Manny" continua l'autore, che ha diretto anche diversi episodi dello show (il pilot è invece diretto da Ridley Scott!). "Abbiamo però investito molto sull'enfasi e sul legame traumatico, la co-dipendenza tra i due. C'è molto del loro passato, sono diventati fratelli in riformatorio. È un amore particolare perché non si può sfuggire al trauma, e allo stesso tempo sei legato ad esso. Sono insieme in un mondo problematico".
Curioso, poi, che Ray voglia salvare tutti tranne se stesso. Eppure, oggi viviamo in un mondo tipicamente egoista. "Ray è così, deve risolvere i problemi. Pensa di poter gestire tutto a modo suo, ogni situazione", racconta lo showrunner, prima dei saluti finali, "Vuol far di tutto per gli altri prima che per se stesso. Questo però gli fa male, perde la cognizione delle cose. Se siamo più egoisti oggi? Probabilmente sì, hai ragione. potremmo entrare in un'era dove non ci è più permesso stare. Dovremo iniziare a prenderci cura gli uni degli altri. E penso che il messaggio alla fine sia che hai tutti questi personaggi isolati che cercano di trovare delle connessioni, all'inizio totalmente inaspettate".