Non esistono i 'vecchi' film, ma solo i film che hai già visto e quelli che non hai visto.
Se c'è una costante che ha segnato l'esistenza di Peter Bogdanovich, prima ancora che la sua carriera, è l'amore per il cinema: l'amore genuino e viscerale dell'appassionato, ma anche quello lucido e profondo dello studioso. Ed è un amore che trapela da tutta la filmografia del regista e attore americano, nato a Kingston, in provincia di New York, il 30 luglio 1939, da una coppia di immigrati appena arrivati dall'Europa; una filmografia in cui i classici della Golden Age di Hollywood hanno sempre costituito un evidente modello di riferimento, ma senza che questo effetto-nostalgia si trasformasse in una sterile imitazione. Del resto, prima di cimentarsi dietro la macchina da presa, Bogdanovich è stato innanzitutto un accademico dalla conoscenza enciclopedica: a poco più di vent'anni pubblicava la monografia Il cinema di Orson Welles, il primo di una serie di volumi dedicati alla settima arte; fra questi, il libro-intervista Il cinema secondo Orson Welles e Chi ha fatto quel film? Conversazioni con i grandi registi di Hollywood.
Autentico alfiere della memoria storica di Hollywood, verso la fine degli anni Sessanta Peter Bogdanovich tenta il grande salto dall'attività di critico a quella di regista e, sotto l'ala protettrice di Roger Corman, nel 1968 dirige due B-movie: Voyage to the Planet of Prehistoric Women e Bersagli, con il veterano Boris Karloff, thriller che sarà un futuro oggetto di venerazione di Quentin Tarantino. Ma è all'inizio degli anni Settanta che Bogdanovich firma una tripletta a dir poco miracolosa: il capolavoro L'ultimo spettacolo, che gli vale due nomination all'Oscar, e le commedie Ma papà ti manda sola? e Paper Moon, registrando tre enormi successi consecutivi. Nel pieno degli umori ribellisti della New Hollywood, il suo cinema ammantato di malinconia si rivolge al passato, ma con una sensibilità in grado di intercettare perfettamente lo spirito del tempo. Da lì a breve, tuttavia, inizia una parabola discendente che parte con Daisy Miller (1974), adattamento del romanzo di Henry James, e che lo porterà ad alienarsi gli studios hollywoodiani.
Questo periodo difficile culmina, nel 1980, con la morte della sua compagna, l'attrice Dorothy Stratten, uccisa dall'ex-marito Paul Snider, e nel 1981 con il fiasco della commedia ...E tutti risero, con Audrey Hepburn. Peter Bogdanovich torna alla ribalta quattro anni più tardi con Dietro la maschera, e da allora affiancherà il lavoro da regista (sia per il cinema che per la televisione) a quello di attore, concedendosi diversi ruoli secondari - in particolare lo psicologo Elliot Kupferberg nella serie I Soprano - e numerose apparizioni, spesso caratterizzate da una spiccata autoironia, come quella nei panni di un cineasta insofferente in It: Capitolo 2. La scomparsa di Bogdanovich il 6 gennaio, a ottantadue anni, ci lascia con la consapevolezza di quanto questa figura sia stata importante nel diffondere e far amare il grande cinema del passato; e ci offre un'occasione per invitare a riscoprire la sua produzione, proponendovi una rassegna, in ordine cronologico, dei migliori film da lui diretti in quasi mezzo secolo di carriera.
1. L'ultimo spettacolo
Basterebbe anche solo un titolo come questo a dar prova del talento di Peter Bogdanovich, che nel 1971 firma insieme allo scrittore Larry McMurtry un adattamento del romanzo omonimo di McMurtry, ambientato ad Anarene, minuscola cittadina del Texas, all'alba degli anni Cinquanta. Ma il grigiore e la noia della vita di provincia, il conflitto fra gli impulsi della gioventù e le disillusioni dell'età adulta, sono elementi senza tempo: la storia dell'amicizia fra Sonny Crawford (Timothy Bottoms) e Duane Jackson (Jeff Bridges), nonché dell'educazione sentimentale e sessuale della loro coetanea Jacy Farrow (Cybill Sheperd), riescono pertanto a conquistare anche il pubblico contemporaneo, trasformando L'ultimo spettacolo in uno dei film-simbolo del decennio (nel 2007 l'American Film Institute lo inserirà fra le cento più grandi pellicole di sempre), nonché in uno dei migliori coming of age negli annali del cinema americano.
L'ultimo spettacolo lancerà le carriere di Jeff Bridges e dell'esordiente Cybill Shepherd (per sette anni partner di Bogdanovich anche nella vita privata), ma regalerà dei ruoli magnifici pure agli altri membri del cast: da Ben Johnson, ex-cowboy proprietario di un vecchio cinema, alla dimessa donna di mezza età impersonata da una toccante Cloris Leachman (entrambi riceveranno l'Oscar come migliori interpreti supporter), passando per Ellen Burstyn, madre di famiglia in cui convivono vanità e rimpianto. Nel 1990, quasi tutti gli attori del film torneranno a farsi dirigere da Bogdanovich nel sequel Texasville, sempre tratto da un libro di Larry McMurtry.
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2. Ma papà ti manda sola?
Dopo uno struggente racconto di formazione, un irresistibile film comico che, nel 1972, dimostra l'imperitura efficacia delle formule della screwball comedy degli anni Trenta e Quaranta: il 'canovaccio' su cui Peter Bogdanovich si basa per Ma papà ti manda sola? (il titolo originale è il più incisivo What's Up, Doc?, proverbiale battuta di Bugs Banny) è infatti Susanna!, capolavoro di Howard Hawks del 1938. Il meccanismo è ancora quello del colpo di fulmine fra una ragazza astuta, brillante e caotica, Judy Maxwell, e un rigido musicologo, Howard Bannister, giunto a San Francisco per concorrere a una borsa di studio, ma travolto da una catena di imprevisti ed equivoci: su questa struttura Bogdanovich dà vita a un'esilarante girandola di paradossi e di gag, sfruttati a meraviglia dalla coppia formata da Ryan O'Neal e da una vulcanica Barbra Streisand.
Terzo maggior incasso del 1972 negli Stati Uniti, con quasi trentacinque milioni di spettatori, Ma papà ti manda sola? si imporrà come una delle migliori commedie dell'epoca; il film segna inoltre il debutto sullo schermo di una vera e propria fuoriclasse della comicità americana, Madeline Kahn, che ruba più volte la scena nei panni di Eunice, la pedante fidanzata di Howard (da lì a breve la ritroveremo nelle parodie di Mel Brooks).
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3. Paper Moon
Un anno più tardi, nel 1973, Ryan O'Neal torna a collaborare con Peter Bogdanovich in un'altra commedia fortunatissima ed estremamente apprezzata: Paper Moon, trasposizione del romanzo Addie Pray di Joe David Brown. Nel Midwest degli Stati Uniti nella metà degli anni Trenta, in un'atmosfera rétro rievocata anche dalla fotografia in bianco e nero, si svolgono le avventure e le piccole truffe di Moses Pray, imbroglione che si adopera a spacciare costose Bibbie con la complicità di un'orfanella di nove anni, Addie Loggins (interpretata da Tatum O'Neal, figlia di Ryan O'Neal). L'alchimia fra questo bizzarro team sarà però messa alla prova quando Moses si infatua di Trixie Delight (Madeline Kahn), suscitando il risentimento della piccola Addie. Altro film ammantato di nostalgia e legato ad archetipi dei classici hollywoodiani, Paper Moon si rivela il terzo trionfo di fila per Bogdanovich e fa guadagnare l'Oscar come miglior attrice supporter a Tatum O'Neal, che segnerà il record come più giovane vincitrice nella storia del premio.
4. Dietro la maschera
Il film della rivalsa di Peter Bogdanovich, quello che nel 1985 lo riporta al successo dopo un decennio di titoli semi-ignorati dal pubblico, è al contempo uno dei suoi progetti più travagliati, con tanto di battaglia legale fra il regista e la Universal e l'animata protesta di Bogdanovich al Festival di Cannes. Dietro la maschera racconta la reale vicenda di Rocky Dennis (interpretato da Eric Stoltz), adolescente affetto da una malattia ossea che gli deforma il cranio, descrivendo la quotidianità del protagonista e il suo rapporto con la madre Florence (Cher), soprannominata Rusy; questa storia di diversità fisica, assimilabile per diversi aspetti a The Elephant Man, viene narrata secondo i codici del teen-movie, amalgamando dramma, tenerezza e note di ironia, e con momenti di commozione che non diventano mai ricattatori. Per la sua intensa performance nel film, Cher è stata premiata come miglior attrice al Festival di Cannes.
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5. Tutto può accadere a Broadway
Il "canto del cigno" di Peter Bogdanovich al cinema, vale a dire il suo ultimo film di finzione (seguirà, nel 2018, il documentario su Buster Keaton The Great Buster: A Celebration), è Tutto può accadere a Broadway, presentato fuori concorso al Festival di Venezia 2014. Si tratta di una delle pellicole più sottovalutate nella carriera del regista, nonché un'ideale chiusura del cerchio che prosegue nel solco di Ma papà ti manda sola?, ...E tutti risero, Rumori fuori scena e delle altre commedie da lui realizzate rifacendosi agli stilemi della screwball comedy. Attorno alla figura del regista teatrale Arnold Albertson (Owen Wilson) e all'escort Izzy Patterson (Imogen Poots), la sceneggiatura di Bogdanovich e della sua ex-moglie Louise Stratten costruisce un altro formidabile meccanismo comico dal ritmo via via più incalzante; e nell'ampio cast, a strappare l'applauso è in primis la psicologa Jane Claremont di Jennifer Aniston, che qui sfodera una delle sue interpretazioni più riuscite e divertenti.
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