Sono anni che Sergio Castellitto e Margaret Mazzantini pensano a questa storia, sin da quando lei aspettava il loro primo figlio Pietro, che nel film interpreta uno dei ruoli cruciali. Poi un viaggio nella Sarajevo martoriata, la stesura del romanzo, la sua pubblicazione (ed. Mondadori) e poi l'idea del film e il viaggio umano e professionale che ha portato alla sua realizzazione. Dopo la presentazione in anteprima a Toronto e il buon risultato in sala negli USA, Venuto al mondo si appresta a sbarcare nelle sale italiane, in versione doppiata e non nella versione originale mostrata stamattina ai giornalisti, a partire da giovedì prossimo 8 novembre in trecentocinquanta copie distribuito da Medusa. Dopo il successo di Non ti muovere nel 2004, gli imponenti investimenti della co-produzione italo-spagnola che ha dato vita al progetto e il grande battage pubblicitario che ha seguito tutta la lavorazione del film fino ad oggi, c'è grossa attesa per il debutto italiano di un lungometraggio che vede impegnata la splendida e bravissima Penelope Cruz nei panni di Gemma, una donna italiana che in Bosnia conosce e si innamora di un fotografo americano di nome Diego (interpretato da un grandissimo Emile Hirsch, assente oggi in conferenza stampa) e vivrà una lunga ed estenuante avventura alla ricerca disperata della maternità per rendere felice il suo uomo e tenerlo al suo fianco. A cavallo di una guerra e di due epoche assai diverse, il film è un accorato inno all'amore, al sacrificio e alla verità, ad una verità che fa male, una verità di finzione eppure dannatamente vera. Ma Venuto al mondo è anche un'opera drammaturgicamente intensa, che dissotterra le immagini di una Sarajevo che nonostante tutto è ancora viva, che ancora oggi conserva sogni, memorie, orrori e paure di un popolo che non può e non vuole dimenticare. Questo quello che ci hanno raccontato i protagonisti.
Signora Cruz, cosa l'ha spinta ad accettare il difficile ruolo di Gemma?Penelope Cruz: In realtà mi sono auto-candidata per questo ruolo, avevo letto il libro e mi ero innamorata della storia scritta da Margaret e ho amato da subito il personaggio. Proprio come mi era successo per Non ti muovere, la mia è stata quasi una necessità quella di intraprendere un viaggio al fianco di questa donna, mi è successo poche volte nella mia carriera di trasformare un ruolo in una vera e propria ossessione. Ne parlai con Margaret e Sergio in una caffetteria di Roma e poco dopo siamo partiti con la produzione. Quando mi hanno consegnato in mano il copione sono stata felice perché in quel momento ho capito che Sergio era riuscito a conservare l'essenza del libro.
Dopo Non ti muovere è tornata a girare con Castellitto e ad interpretare un ruolo scritto dalla Mazzantini, il fatto di essere diventata madre nel frattempo ha cambiato qualcosa in lei e nel suo modo di approcciare a questi personaggi?
Penelope Cruz: Da quando abbiamo deciso di fare il film ad oggi sono passati degli anni e sono successe tante cose nella mia vita. Il libro l'ho letto quando è uscito (nel 2008 ndr.) e già allora mi aveva colpito ma è naturale che da quando sono diventata mamma ho potuto capire meglio l'ossessione di Gemma, le sensazioni che le mancavano per via della sua sterilità, ma penso che ogni donna che desidera diventare madre possa capire cosa vuol dire desiderare tanto un figlio e non poterlo avere.
Penelope Cruz: Il personaggio di Gemma non è politically correct, lo sapevo sin dall'inizio ma non ho mai avuto paura di questo aspetto. Quando decido di interpretare un ruolo non mi chiedo mai se sono d'accordo con quello che fa oppure no, se mi somiglia o no, oppure se mi piace o no. L'unica cosa che mi interessa è capire al 100% la sua psicologia e capire perché fa quello che fa.
Qual è l'aspetto che più l'ha colpita di questo desiderio di maternità di Gemma?
Penelope Cruz: Lei arriva a questa necessità di diventare madre dopo essersi innamorata di Diego, è per lui vuole fare un bambino, per renderlo felice. E' questo che mi ha colpito di lei, nella frase "voglio un lucchetto di carne" sono racchiuse tante risposte. Gemma non ha paura di essere antipatica o scomoda, lei ha un cuore buono ma è una donna complicata, talvolta autodistruttiva perché i suoi istinti sono più forti della ragione e nell'arco di vent'anni le succedono davvero tante, troppe cose.
Margaret Mazzantini: Di solito gli scrittori non sono molto contenti quando viene realizzata una riduzione dei loro romanzi ma nel mio caso è diverso, scrivere per il cinema è un po' come uccidere il tuo amore per le storie che scrivi ma insieme a Sergio ho lavorato con grande determinazione ed il risultato finale ha mantenuto l'ossatura solida del romanzo. Certo, ci sono delle cose che ti mancano sempre ed è una cosa inevitabile, ma io e Sergio abbiamo la stessa visione del mondo, un aspetto molto importante per due artisti che lavorano insieme. A differenza di Non ti muovere stavolta ho partecipato molto di più alla lavorazione e sapevamo che qui il lavoro sarebbe stato molto più duro, c'era da ricostruire una guerra, raccontare i personaggi a cavallo di epoche diverse.
Cos'ha colpito di più Sergio Castellitto della Sarajevo di oggi?
Sergio Castellitto: Abbiamo fatto molti viaggi a Sarajevo in questi ultimi tre anni, è una città ancora ferita e segnata dalla guerra, una città in cui vittime e carnefici passeggiano insieme senza sapere con esattezza il perché, il passato doloroso è solo interrotto e il dolore è ancora acceso. E' stato strano andare e tornare da Sarajevo per ricostruire quel dolore con il fine di raccontare una storia che racchiude anche l'opposto di tutto quell'orrore, una storia d'amore dilaniante e assurda proprio come la guerra.
Sergio Castellitto: Ho scelto di non svelare completamente la verità che c'è dietro alla nascita di Pietro (il figlio della Cruz, interpretato da Pietro Castellitto ndr.), a volta essa nasconde dolori incredibili che è meglio non infliggere. Sarajevo è una città di sopravvissuti e di salvati ma penso che il cinema abbia il compito di poggiare una storia sul tavolo e di lasciarla a disposizione di chi vuole entrarci dentro. Venuto al mondo vuole arrivare al pubblico attraverso un linguaggio diretto, attraverso gli archetipi della vita: odio, violenza, guerra, rimozione ma anche amore, amiciziamemoria, pace. Un film molto ambizioso da parte mia, lo ammetto.
Come è riuscito ad impedire che la dimensione della guerra inghiottisse la dimensione umana della storia?
Sergio Castellitto: Ho cercato di fare cinema, o meglio, quello che io penso dovrebbe essere il cinema. Ho tagliato quello che somigliava di più alla fiction e ho cercato di fare un cinema che passa attraverso una forte messa in scena e una spettacolare teatralità. Il cine-giornalismo ci ha insegnato ad avere un gusto per l'immagine oltre che per la notizia. Mi sono impegnato per fare in modo che nel film non esistessero scene di passaggio ma che ogni scena fosse depositaria di un avvenimento interiore dei personaggi. Ho voluto in questo modo nutrire l'intelligenza emotiva del pubblico, vorrei che ognuno guardasse il film e portasse via con sé qualcosa di cui far tesoro nella sua vita personale.
Sergio Castellitto: Sono stato molto severo con lui, sono un uomo all'antica e come tale pretendo sempre che mio figlio sia più valoroso, meritevole e bravo degli altri. Solo in fase di montaggio mi sono accorto di quanto sia bravo, sono rimasto colpito dal numero di volte in cui ha tradito i miei consigli. E questa è una cosa che fanno solo gli attori che hanno talento. E' nel momento in cui ti accorgi che un attore non ha fatto quello che tu gli hai chiesto che capisci quante cose hai ignorato di lui e quante cose non hai colto di lui.
Nello sfogo violento del Pietro del film nei confronti di una madre distante perché mentalmente focalizzata sui suoi ricordi, c'è anche lo sfogo di Pietro Castellitto figlio di Margaret e Sergio?
Pietro Castellitto: Il mio primo giorno di riprese è stato come il primo giorno di scuola alle elementari, percepivo di non essere in un film ma di essere parte integrante di un progetto che era la consacrazione del sodalizio tra i miei genitori, artistico e affettivo. Nel mio piccolo stavo contribuendo anche io a quella consacrazione e vedevo questo mio ruolo come una tappa necessaria della mia vita. Poi veniva il momento di tornare a casa dopo le riprese e lì emergevano discussioni, litigi, crisi esistenziali, si è sfiorata più volte la separazione (ride) e tutto ciò mi ha fatto percepire l'importanza di quel che stavamo facendo su quel set.
Margaret Mazzantini: No, non è ancora stato visto ma probabilmente sarà proiettato presto. Quello che vedrete sullo schermo è il risultato di un viaggio incredibile per noi tutti, un viaggio umano appassionante, prima di questo film non avevo mai visto Sergio così disperatamente dentro ad un progetto. Abbiamo ricostruito una guerra, scene di massa, scene d'amore molto intense, epoche diverse e situazioni diverse, il tutto in una città meravigliosa che ha un grande valore simbolico. Un'esperienza che porteremo dentro per il resto della vita.