"Who you gonna call?", recitava lo spot dei Ghostbusters nel cult di Ivan Reitman del 1984, in quel caso per disinfestare edifici dai fantasmi. La questione del "chi chiamare" emerge però in tante altre dinamiche lavorative quotidiane, e nel cinema riguarda specialmente i casting. Tralasciando quelle opere fortemente autoriali e ispirate che in scrittura cuciono un ruolo addosso a uno specifico interprete, pensandolo già nella parte, in linea di massima la situazione ha una serie di varianti non di poco conto da tenere in considerazione.
Al di là del talento e dei provini per scremare una lista altrimenti troppo ricca, questi elementi riguardano soprattutto star power e attrattiva dell'attore o attrice di turno, e oggi più che mai nello showbitz hollywoodiano di serie A, tra piccolo e grande schermo, c'è un nome che più di altri racchiude in sé quella miscellanea di bravura, attrazione e potere in grado di consegnare alle grandi produzioni un successo quasi assicurato. Stiamo parlando di Pedro Pascal, che sin dal suo exploit ne Il Trono di Spade nei panni del seducente e carismatico Oberyn Martell si è imbarcato in un percorso di continua e impressionante ascesa fino ai massimi vertici dell'Olimpo interpretativo di Hollywood, ora in trattative con i Marvel Studios per vestire i panni di Reed Richards nell'atteso reboot dei Fantastici 4 diretto da Matt Shakman. Ma è giusto se non addirittura normale che tutti questi ruoli mainstream difficili da assegnare finiscano puntualmente nelle mani di Pascal?
Ci vuole metodo
Parafrasando Boris, Pedro Pascal è diventato il Pierfrancesco Favino del cinema americano. O poco ci manca. Una premessa necessaria: amiamo Pascal e amiamo Favino, le loro cifre interpretative, la loro ironia, la capacità di mantenere il giusto riserbo privato accettando il loro status di personaggi pubblici senza mai passare alla cronaca più insulsa e becera. Sono professionisti seri, preparati, credibili e a loro modo differenti. Non c'è critica e non c'è risentimento nelle nostre parole, che vogliono essere una pura e semplice riflessione semiseria sul settore e le regole del mercato. Ciò detto, in Italia è un continuo susseguirsi di un trasformista e fonologo Favino in ogni possibile ruolo di rilievo, da Bettino Craxi a Salvatore Todaro, e stiamo arrivando a una simile saturazione pop in territorio americano pure Pedrito.
In uno dei tanti episodi dissacranti della "fuori serie italiana" di Mattia Torre, Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo, già tredici anni fa il buon Martellone si interrogava in modo scherzoso sul perché Pacciani fosse stato affidato a un Favino "ingrassato de 20 chili e con l'accento toscano", preoccupato che gli rubasse pure il ruolo di Giovanni Spadolini in una serie a tema ("ingrassando n'altri 10 chili"). Talmente lungimirante che anche lo scorso anno, in Boris 4, è tornata la battuta su Favino, la sua onnipresenza e le sue abilità attoriali. Ma non è che si scelga Favino solo per questo, no: è sempre questione di showbiz, di star power, di appetibilità e capacità. E in Italia (e questo ironicamente lo ha detto il produttore di Ferrari proprio in risposta a un commento di Pierfrancesco Favino) "non c'è un vero star system come quello americano", il che significa che le scelte ricadono sempre sui soliti noti per forza di cose.
Ecco, al netto della realtà della riflessione, negli USA, nonostante lo star system, vengono comunque scelti i soliti noti (soprattutto dagli Studios, soprattutto per film dal budget importante) ma con una differenza sostanziale: che la fama e il potere d'attrattiva mutano al mutare delle stagioni cinematografiche e dei trend del momento. Semplicemente, Pedro Pascal è di tendenza da qualche anno a questa parte e ha saputo giocare bene le sue carte seguendo quello che il Valerio Zanetti di Marco Giallini sempre in Boris (quando diciamo che è un linguaggio lo intendiamo in modo pratico!) definisce "il metodo de li ca**i mia", curiosamente opposto a quello Stanislavskij a volte usato da Favino. In sostanza, Pedro piace alle masse, è acuto, disponibile, preparato e versatile ed è il jolly migliore possibile da estrarre dalla manica quando il mazzo della provvidenza cinematografica e le giocate produttive non sembrano raggiungere i risultati sperati.
Pedro Pascal, da The Mandalorian a The Last of Us, il papà più amato di Hollywood
Una forza elastica
Il problema con questi interpreti super-richiesti è solitamente il costo d'ingaggio, le eventuali clausole contrattuali sulle percentuali d'incasso e la necessità di bloccarli per anni in un ruolo senza interferire con altri progetti in cui l'attore è coinvolto. E Pascal è coinvolto in tante produzioni seriali importanti, da The Mandalorian alla meravigliosa The Last of Us. A dire il vero il piccolo schermo sembra restare la sua dimensione di riferimento, anche se poi la misura degli show di cui è protagonista è semplicemente fuori scala rispetto alla media, vuoi per investimenti, vuoi per coinvolgimento. Sul grande schermo non è mai esploso veramente in una parte da protagonista, ma è qui che risiede la virtù dell'essere un jolly che le produzioni tanto apprezzano. Pascal si adatta e accetta, ad esempio, di ricoprire un ruolo minore rispetto a una protagonista femminile (lo ha già fatto in Wonder Woman 1984), per questo amato dagli Studios. Secondo voi perché la Marvel ha ripiegato proprio alla fine su di lui nonostante un anno di rumor su Adam Driver o Jake Gyllenhaal come possibili protagonisti nei panni di Reed Richards? Perché per un supereroe col potere elastico serve un super-interprete altrettanto flessibile.
E a quanto pare molti attori avrebbero rifiutato la parte per questioni di cachet, per impegni già presi o più interessanti o perché in un ruolo secondario rispetto a Sue Storm, su cui sembra che la sceneggiatura di Fantastic 4 presti più attenzione. Pedrito is the man, quello della necessità, da chiamare se si vuole una spalla da "memizzare" (guardate Il Talento di Mr. C), un nemico da ridicolizzare o un personaggio di caratura fortemente drammatica da caratterizzare. Queste sono le sue specialità e le sue competenze, ma da considerare è anche l'amore del grande pubblico che ha imparato a conoscerlo tra orge pansessuali, commenti al vetriolo e strategie non sempre azzeccate nella serie HBO, d'irresistibile appeal, energico e magnetico. In Narcos ha dato modo di ammirare nuovamente la sua bravura interpretativa e in Triple Frontier ha dimostrato un phisyque-du-role non indifferente.
Guadagnando punti stima e simpatia nelle tante interviste di cui si è reso partecipe o nelle sue mirabolanti gesta comiche al Saturday Night Live (dove è diventato Super Mario ma anche una prevenuta mamma latinoamericana), Pascal si è rivelato banalmente un performer furbo e poliedrico senza mai sollevare polveroni e con una "fedina mediatica" immacolata in quasi dieci anni di ribalta. È normale, allora, che ogni ruolo, oggi, gli venga offerto con tanta semplicità? Che se anche inizialmente non considerato, alla fine venga comunque tirato dentro questa o quella produzione di risalto? La risposta è sì, anche se non per forza di cose è giusto nei confronti di tanti altri talenti che aspettano quella chiamata che probabilmente non arriverà mai, deviata all'agente di Pascal. Ma magari alla fine Pedro nemmeno esiste ed è sempre Favino dopo 15 ore di trucco. Pensateci: li avete mai visti insieme nella stessa stanza?