Se c'è un'attrice che negli ultimi cinque anni ha goduto della libertà narrativa data dalle serie tv è sicuramente Patricia Arquette. Da Escape at Donnemore in cui recita al fianco di Benicio del Toro e Paul Dano passando per The Act in cui presta il volto a Dee Dee Blanchard fino a Scissione, la serie Apple TV+ in cui è la direttrice della filiale della Lumon Industries in cui lavora il protagonista interpretato da Adam Scott, la carriera dell'attrice si è arricchita di personaggi ai limiti, spesso controversi, ricchi di ombre.
"La televisione, con tutte le diverse piattaforme e reti streaming, ha creato molte più opportunità perché hanno bisogno di contenuti", riflette l'attrice quando la incontriamo al Filming Italy Sardegna Festival di cui è stata una degli ospiti. "Ed è successo in un momento in cui molte attrici come Geena Davis parlavano della mancanza di rappresentazione delle donne nel cinema. Queste opportunità sono arrivate anche in un momento in cui, invecchiando, mi sono allontanata dall'essere una sorta di oggetto del desiderio e da una fascia d'età in cui sei ingenuo. Adesso sono libera da quella responsabilità e da quella limitazione e sono in grado di esplorare questi diversi tipi di donne. In particolare è divertente esplorare l'archetipo delle "donne cattive", le stesse in cui leggiamo in tutta la storia greca o romana".
Scissione 2 e il tentativo di stabilire connessioni
"La seconda stagione? Sarà molto interessante ed è molto diversa" ci anticipa Patricia Arquette, sorridendo con l'aria di chi la sa lunga quando cerchiamo di estorcerle qualche informazione sul nuovo capitolo della serie creata da Dan Erickson e diretta da Ben Stiller. La storia di un uomo, Mark Scout, che dopo la morte della moglie ha decisione di sottoporsi alla scissione, una procedura medica della Lumon Industries in grado di separare i ricordi della vira personale dei suoi dipendenti da quelli lavorativi.
"Pensavo fosse molto rischioso in realtà, perché è uno show molto claustrofobico", ammette l'attrice parlando del successo unanime ottenuto dal titolo. "Credevo che usciti da poco dal Covid alla persone non sarebbe piaciuta. Ma è anche uno show sul tentativo di stabilire una connessione. Penso che abbia risuonato nel pubblico in un modo strano. Il personaggio principale si è separato dal suo dolore, ha due vite diverse, quella lavorativa e quella domestica. E si potrebbe dire che molte persone sono separate allo stesso modo, che si presentano in un modo all'esterno, ma poi sono altro a casa".
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Lo stato del cinema e l'esperienza di Boyhood
Se da un lato la serialità ha aperto nuovi scenari narrativi e produttivi, è vero anche che una grossa fetta dell'industria cinematografica hollywoodiana si sta sempre più dirigendo verso un modello improntato esclusivamente al profitto perdendo di vista l'importanza di altri fattori che determinano la riuscita o meno di un film. "Il problema è che le aziende guardano solo alla loro attività e ai rendimenti monetari a brevissimo termine prendendo decisioni su quali storie produrre in base a scelte finanziarie", commenta l'attrice."E questo sta davvero limitando così tanto la nostra narrazione. Attribuisco la colpa alle tabelle, ai grafici, ai dati demografici e al fatto che non hanno capito come monetizzare le cose in questo nuovo modo di fare cinema. Così facendo faranno sempre le scelte più ovvie".
Una scelta diametralmente opposta da quella fatta da Richard Linklater con Boyhood, il film del 2014 la cui lavorazione è durata oltre dieci anni e in cui raccontava la storia di Mason (Ellar Coltrane) e del suo rapporto con i genitori divorziati interpretati da Arquette - che per quel ruolo vinse l'Oscar - ed Ethan Hawke. "Tutto era così bello. Come andare al campeggio e rivedere i tuoi amici ogni anno sapendo che stavamo facendo una cosa così importante", ricorda l'attrice.
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"Perché spesso con i film si pensa ad investire soldi e ottenere un buon ritorno. In quel caso avrebbe dovuto investire e non ottenere alcun rendimento per almeno 12 anni. È stato un esperimento radicale. E inoltre, negli Stati Uniti, non puoi avere un contratto per più di sette anni in America, quindi eravamo tutti semplicemente d'accordo che avremmo continuato ad andare sul set. C'erano molti rischi in quel film che molte persone hanno corso. E dato che le persone non sapevano a a cosa stessi lavorando era tutto molto puro".
Una vita da attivista, tra diritti e proteste
Femminismo, diritti della comunità trans, diritto all'aborto, Me Too, cancellazione del divario nei pagamenti tra uomo e donna in ogni ambito. Patricia Arquette non si è mai tirata indietro quando si tratta di dare voce a chi non ce l'ha. Una scelta che ha mai messo a rischio la sua carriera? "Penso che probabilmente sia così, ma non mi interessa", ammette l'attrice.
"Non voglio aggrapparmi a cose negative, a limitazioni che non mi piacciono. Non voglio avere qualcosa da incolpare. Non sarò imprigionata da nessuna limitazione. Non penso di dire qualcosa di radicale, sto solo dicendo quello che pensano molte persone normali. E inoltre so che nel profondo tutti capiscono l'amore e la correttezza. Voglio solo fare appello a quella parte di tutti noi e dire che, man mano che invecchio, mi rendo conto che c'era un lavoro nella comunità di esseri umani in cui gli anziani diventavano saggi e nella loro saggezza non erano costantemente trascinati da questa o quell'emozione. Hanno parlato di pace, equità, uguaglianza e di come raggiungere questo tipo di cose. Mi sento come se fossi ancora attratta da quelle cose, ma con una corrente sotterranea molto più calma".
E guardando alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti Patricia Arquette dichiara:"Abbiamo già visto le conseguenze critiche per i diritti delle donne o della comunità LGBTQ, quanto siano stati colpiti perché Hillary Clinton non ha vinto quelle elezioni. Abbiamo perso la Corte Suprema e abbiamo a che fare con tutte decisioni importanti. Le donne sono costrette a portare avanti gravidanze che le stanno facendo ammalare, ad esempio. Tutte queste diverse situazioni si sono verificate. Temo che se vincesse Trump, l'America non sarà più la stessa".
Gonzo Girl e il coraggio di fare ciò che ci spaventa
Dopo oltre trent'anni passati davanti la macchina da presa, nel 2023 Patricia Arquette ha debuttato alla regia di un lungometraggio con Gonzo Girl. Una pellicola scritta da Rebecca Thomas e Jessica Caldwell con protagonisti Camilla Morrone e Willem Dafoe che racconta la storia di un'aspirante scrittrice che accetta di fare da assistenze al padre del Gonzo Journalism, Walker Reade, per aiutarlo a portare a termine il suo ultimo romanzo. "Per me è tutto terrificante, ma non è male terrorizzarti nella vita per certe cose", racconta l'attrice quando le chiediamo com'è stato, per una volta, sedersi dietro l'obiettivo.
"Voglio essere una persona coraggiosa e penso di aver vissuto una vita piuttosto coraggiosa. E per questo genere di cose per le quali non hai molta esperienza - dirigere o scrivere un libro - hai sempre una curva di apprendimento ripida quanto difficile. Mi piace la parte di me che coglie queste opportunità, ma è anche spaventoso. È un'altra cosa bella dell'invecchiare, della saggezza di essere completamente d'accordo con la tua vulnerabilità".