È stata presentata in questi giorni al Festival di Venezia, nella sezione Giornate degli Autori, la commedia Patria: un ritratto del nostro paese, e della sua storia recente e travagliata, attraverso la lotta solitaria di tre operai che si alleano per protestare contro la chiusura di una fabbrica di Torino.
A Venezia abbiamo avuto occasione di incontrare il regista Felice Farina, lo scrittore Enrico Deaglio, autore del libro che ha ispirato il film, e i tre protagonisti di Patria: Francesco Pannofino, Roberto Citran e Carlo Giuseppe Gabardini. Ecco il resoconto della nostra roundtable con il team di Patria.
Trent'anni di storia italiana
Signor Farina, è stata impegnativa la trasposizione di un libro tanto complesso come Patria 1978-2010?
Felice Farina: Ridurre un libro di novecento pagine in un film era una bella sfida. L'esigenza maggiore era esprimere il senso di disagio nell'epoca dell'ultimo Governo Berlusconi, con le preoccupazioni per la nostra identità e dignità di italiani. Patria è un film di ispirazione didattico-rosselliniana per capire come siamo arrivati a tutto questo. La pellicola ripercorre il periodo che inizia idealmente nel 1978, anno in cui l'Italia si risveglia dal predominio monocolore della Democrazia Cristiana, per cominciare il cammino verso una rapida metamorfosi.
Signor Deaglio, qual è stata la sua reazione di fronte al film tratto dal suo libro?
Enrico Deaglio: Ammirato e onorato. Onorato perché ho assistito alla passione di Felice per questa trasposizione, è stata un'impresa molto complicata. L'idea narrativa dei tre operai è molto brillante, e il buon risultato del film è dovuto sia alla bravura degli attori e ai dialoghi, sia all'uso dei materiali di repertorio. La storia d'Italia diventa un flusso di ricordi estremamente personale, di fronte al quale ogni spettatore reagirà in maniera diversa. Il film si svolge nella mia città, Torino, e tocca temi importanti riguardanti la condizione operaia. Patria è una storia di grande violenza e di mistero, e ancora oggi dobbiamo continuare a cercare queste verità.
Com'è nata l'idea della vicenda dei tre operai come veicolo narrativo?
Felice Farina: Volevamo dare volto e vita alla voce narrante di un ipotetico documentario, e forse la classe operaia era proprio quella che rappresentava meglio la lotta per la dignità; da lì è nata l'idea di un'occupazione solitaria, e trovo che la solitudine sia un dato importante della nostra vita attuale, purtroppo, benché da questa solitudine derivi poi la solidarietà fra i tre personaggi. Durante le riprese, inoltre, gli analoghi eventi raccontati dalla cronaca ci hanno dato una bella spinta di incoraggiamento, perché stavamo andando nella direzione giusta.
Gli interpreti
Una domanda agli attori: come avete lavorato per calarvi nei panni dei rispettivi personaggi?
Francesco Pannofino: La sceneggiatura di Felice era abbastanza esplicita; per il resto, ero già abbastanza incazzato di mio in quanto italiano. Poi a Salvo gliene succedono di tutti i colori, fino a quando non dice "Basta!", manda tutti a quel paese e sale sulla torre. Salvo è un uomo semplice, condizionato dalla televisione e dai lustrini, e non approfondisce mai il suo ruolo sociale; inizia a farlo solo grazie a Giorgio e Luca, laddove si crea una solidarietà fra persone diverse con un'ideologia diversa. Le sequenze con i tre protagonisti soli in cima alla torre sono molto emozionanti.
Roberto Citran: Sicuramente interpretare un sindacalista di sinistra era più nelle mie corde, anche se paradossalmente è proprio lui il più conservatore e quindi viene stimolato dall'irruenza di Salvo. Io e Francesco siamo una coppia già collaudata: avevamo fatto insieme Notturno Bus e Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio. Ci divertiamo a litigare e prenderci in giro, ma abbiamo due caratteri che si incrociano benissimo. Quando ho visto il film ho avuto una sensazione di angoscia e mi sono chiesto come sia possibile che agli italiani sia accaduto tutto questo. In questi trent'anni purtroppo si è assistito a uno scioglimento della lotta politica, delegata ai soliti tre o quattro uomini politici, mentre è venuta a mancare una reale discussione. I tre personaggi del film sintetizzano una solidarietà umana da cui è necessario ripartire, e sono stato felicissimo del risultato di Patria.
Carlo Giuseppe Gabardini: Sono molto contento del personaggio di Luca, perché nel momento di confronto tra un fascista e un comunista Luca finisce per rappresentare tutti gli italiani che, in assenza di una chiave di lettura ideologica, hanno un deficit; Luca, quindi, memorizza i dati, una funzione fondamentale per il nostro paese, e infatti il libro di Deaglio è proprio un vademecum per riscoprire la nostra storia. Partire da Aldo Moro mi è sembrato molto utile per capire le vicende successive; Luca sembra perso in questa mole di dati e per interpretarli si affida ad altri italiani.
Tra fiction, documentario e riflessione storica
Signor Farina, qual è stato il suo approccio nell'amalgamare la vicenda dei tre operai con i vari eventi storici citati nel film?
Felice Farina: A film finito mi sono reso conto che non sarebbe mai stato possibile senza l'ottimo lavoro di montaggio di Esmeralda Calabria: mi ero perdutamente innamorato di un film di Esmeralda, Biutiful cauntri, sul problema dei rifiuti in Campania. Questo tipo di approccio ci ha permesso di distaccarci dall'impostazione di un semplice reportage televisivo; è stato però un approccio guidato da una voluta imprecisione e da un'emotività calcolata, mediante le quali abbiamo messo insieme le sensazioni dei personaggi con la nostra memoria personale, a partire dallo studio del libro di Enrico. Le dodici ore di occupazione finiscono per riflettere trent'anni di storia italiana.
I tre personaggi sono stati pensati come la personificazione della "pancia" dell'individuo, della razionalità e della memoria?
Felice Farina: Può darsi. Io volevo realizzare un film "popolare", ed anche Enrico Deaglio l'ha riconosciuto, che fosse basato sull'antinomia fra destra e sinistra, gli archetipi di don Camillo e Peppone insomma. In un film di Nanni Moretti, Ecce bombo, il protagonista aggrediva un uomo che sosteneva che "Fascisti e comunisti sono tutti uguali". Forse oggi, dopo trent'anni, questa vecchia antinomia ha assunto un significato diverso: Salvo e Giorgio si insultano talmente tanto che alla fine le definizioni "fascista" e "comunista" finiscono per perdere significato.
Deaglio, rispetto al 2010, termine di conclusione del romanzo, la situazione è mutata in qualche modo?
Enrico Deaglio: Oggi si ha la sensazione che Matteo Renzi costituisca in un certo senso "l'ultima spiaggia" per l'Italia, ma l'idea che in un paese come l'Italia si possa fare tabula rasa di quanto è avvenuto in precedenza, senza ripensare al nostro passato, a mio avviso è un gravissimo sbaglio. Credo che invece sia necessario tornare sempre sulle cause degli eventi.
Francesco, hai avuto difficoltà nella tua "scalata" alla torre?
Francesco Pannofino: Quando dovevo salire sulla torre Farina ha cominciato ad allertare la troupe con un'ora d'anticipo, perché pensava, avendomi visto fumatore e non più ragazzino, che ci avrei messo tantissimo a salire: invece l'ho stupito e ce l'ho fatta in appena dieci minuti! Comunque non è stato piacevole: sono scale perpendicolari al terreno e con il vuoto sotto. La prima volta ho avuto paura, ma le altre quattro volte in cui ho dovuto arrampicarmi è stato molto più facile.