Lui, lei, l'altro. Come abbiamo scritto nella nostra recensione (che potete leggere qui), Passages di Ira Sachs è un triangolo rovesciato, che segue le turbe sentimentali - fluide e iraconde - del regista Tomas, interpretato da Franz Rogowski. Un regista omosessuale, e poi bisessuale, emblema di un certo potere, nonché personaggi dai tratti marcatamente infantili. Accanto a lui, un grande cast: Adèle Exarchopoulos, che intepreta Agathe, e Ben Whishaw, che invece interpreta Martin, compagno di Tomas. Solo che, appunto, Tomas si invaghisce di Agathe e, quando intraprendono una relazione, torna invece all soglia di Martin. Un tira e molla che dura l'intero film, presentato al Sundance Film Festival prima di avere una doppia release italiana: sia in sala che in streaming su MUBI.
Per il regista, che ha scritto il film insieme ad Mauricio Zacharias, la genesi è stata lampante, con una netta citazione: "Ho sentito la necessità di realizzare un film che volevo vedere in quel momento", spiega durante il nostro incontro stampa. "Passages è un film sull'intimità, sugli attori, sui rischi. E una fonte di ispirazione fondamentale per me è stata un film, L'Innocente di Luchino Visconti. Rivedendolo, ho provato una forte sensazione. Poi tutto è nato sotto il lockdown. Avevo paura che il cinema si fermasse".
Passages e la bravura di Franz Rogowski
Ira Sachs, attivissimo nel cinema indipendente americano (Love is Strange e Little Men sono due gioielli), ha spiegato Passages è nato dalla folgorazione avuta nei confronti di Franz Rogowski, visto in Happy End di Michael Haneke. Una folgorazione simile a quella provata da Visconti nei confronti di Laura Antonelli ne L'Innocente: "Come uomo di cinema, la mia ispirazione è stata Franz Rogowski, come Viscoti nei confronti di Laura Antonelli. Un'attrice che ha spostato la mia attenzione. Il tema dell'identità non è così definita nel film, e come uomo omosessuale ho sentito i miei desideri di uomo e di cinema in modo diverso"_.
Senza dubbio, quello di Sachs è un film generazionale, nel senso più stretto del termine: "I protagonisti sono più giovani di me, c'è una differenza generazionale, e questo rende il film molto attuale". Passages, girato in una Parigi metropolitana, immortalata in angoli e anfratti lontani dalla solita concezione turistica, è effettivamente costruito sulla fisicità del protagonista, e sul suo percorso involutivo: "Franz è un attore fisico, e può trasmettere storie e sentimenti. Il film parla di un uomo di potere che finisce a terra. E la fine del film lo esplica. Una sorta di coreografia. Ma una coreografia va capita e realizzata. Franz lavora con il corpo in maniera eccezionale".
"Un film sulla ricerca del piacere"
L'umore, come l'attenzione sui personaggi, cambia continuamente. Scena dopo scena, il film muta prospettiva, restando però addosso all'ego di Tomas, introdotto in una magistrale sequenza d'apertura, in cui è sul set, vessando attori e comparse di un film che dovrebbe andare alla Mostra del Cinema di Venezia. "La sequenza di apertura è importante, da un certo punto di vista vedo me stesso. In tanti anni di carriera mi sono chiesto come impatto io sulle altre persone, anche se lavoro in modo diverso dal personaggio di Tomas. Non faccio prove, non do ordini. Sul set pongo gli attori in modo che si possano scoprire tra essi. Però, da regista, e quindi da uomo di potere, mi pongo sempre dei dubbi sulla mia personalità".
Secondo Ira Saches, che abbiamo incontrato a Roma, "Il film è coerente, il protagonista è coerente. C'è separazione tra ciò che ha, e ciò che vorrebbe avere. Ma Passages è un film dominato dalla ricerca del piacere. E da parte mia c'è l'attenzione di piacere al pubblico: la scelta degli attori, le luci, le scene. La ricerca del piacere è concettuale".
L'erotismo come mezzo cinematografico
Il piacere di cui parla il regista, infatti, lo ritroviamo tanto nella fotografia di Josée Deshaies quanto nella cura delle interpretazioni. Dall'altra parte, Passages è anche un film dal forte impatto, che non rinuncia a mettere in scena l'erotismo nella sua forma più cinematografica. Una presa di posizione da parte di Ira Sachs, che riflette su un concetto: "Viviamo con la convinzione che le cose possano migliorare, e invece per ritrarre il corpo sono tornato indietro al cinema degli anni Settanta. Volevo ricreare immagini trasparenti, senza avessero vergogna o peccato". L'opera, però, non vuole lanciare messaggi, lasciando che sia il pubblico a trovare le migliori sfumature: "Dopo anni come regista, non voglio lanciare messaggi. Ma una storia può essere letta dal pubblico in modo diverso, quindi non c'è una chiara direzione verso la fluidità. Tuttavia, il passaggio generazionale ci permette di vedere i personaggi, e le loro relazioni, in modo diverso", conclude Ira Sachs.