Sally è una navigata camionista che gira gli Stati Uniti in lungo e largo a bordo di quel mezzo che non l'ha mai tradita e che nel corso degli anni è diventato anche la sua casa. La donna ha un fratello, Dennis, il quale si trova dietro le sbarre ed è ora prossimo ad uscire in quanto arrivato alla fine della sua condanna.
Come vi raccontiamo nella recensione di Paradise Highway, per garantire la protezione all'uomo, Sally è stata costretta a organizzare degli scambi di merci e droga a bordo del suo camion, riuscendo sempre a farla franca. Ma per quest'ultima missione, che precede appunto di pochi giorni l'uscita dal carcere di Dennis, il carico che dovrà condurre oltre il confine è moto più scottante del previsto: si tratta infatti di una ragazzina, Leila. Quando durante lo scambio qualcosa va storto, Sally e la piccola si trovano alle prese con un viaggio disperato e pericoloso per gli States, mentre sulle loro tracce vi è un ostinato e anziano agente dell'FBI, pronto a tutto pur di vederci chiaro in un caso sempre più complicato.
Strade chiuse
Poco incisivo a livello puramente tensivo per esaltarsi nelle dinamiche thriller e altrettanto spento nelle vesti melodrammatiche per risultare effettivamente emozionante. Paradise Highway è un film indeciso, mai capace di premere l'acceleratore quanto dovuto e anzi sempre lì, con il freno a mano pronto quando la situazione rischia di scaldarsi oltre misura. Eppure sulla carta le aspettative erano comprensibilmente alte, a cominciare da scelte di casting eterogenee che vedevano nei ruoli principali nomi del calibro di Juliette Binoche, Morgan Freeman e Frank Grillo, accompagnati dalla freschezza della giovanissima Hala Finley, già vista nel superhero movie ad altezza di bambino We Can Be Heroes (2020) diretto da Robert Rodriguez. Se le performance a loro modo funzionano, lo stesso non si può dire per le caratterizzazioni dei relativi personaggi, schiavi di una sceneggiatura che si affida a soluzioni spesso inverosimili nella loro costruzione marcata e fasulla, con forzature nette per condurre a quell'epilogo dove la sorellanza femminile esce preponderante e la figura maschile è vista in un'ottica prettamente negativa.
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Drammi in serie
Certo, una storia che vede al centro il traffico di esseri umani e della prostituzione, con adolescenti rapite da organizzazioni senza scrupoli, avrebbe difficilmente potuto garantire altre svolte, ma alcuni ruoli risultano fin troppo caricati nei loro voltafaccia dell'ultimo minuto, con la parte del buono lasciata a un Morgan Freeman che negli ultimi anni conduce indagini in serie, non riuscendo però mai a bissare il carisma del suo indimenticabile detective William Somerset interpretato in Seven (1995). L'idea di base si esaurisce in fretta tanto che qualche taglio in più in fase di montaggio avrebbe sicuramente giovato alla scorrevolezza del racconto, che finisce invece per allungarsi nelle due ore di visione, senza avere almeno il merito di rendere palpabile il nascente legame tra Sally e Leila, troppo evanescente e intriso di stereotipi in quel gioco di specchi e similitudini sui rispettivi passati familiari.
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Un percorso sicuro
Ecco così che emerge l'anima on the road del racconto, con le nostre che superano confini su confini dovendosela vedere non soltanto con i cattivi, perennemente sulle loro tracce con intenzioni tutt'altro che benevole, ma anche con quelle forze dell'ordine che, pur nelle loro accezioni potenzialmente salvifiche, risultano ingenue e/o troppo sveglie a seconda dell'occasione. Un paio di inseguimenti senza arte né parte ad instillare sporadici sussulti action su quattro ruote, una resa dei conti finale del quale l'epilogo è già scritto in partenza, una chiusura che più classica non si può, sono gli ennesimi sintomi di un film che non si prende rischi, scegliendo di optare per una strada sulla carta sicura ma altrettanto avara di momenti riusciti. Si arriva da un punto A a un punto B senza deviazioni di sorta, a discapito dell'originalità e del coinvolgimento.
Conclusioni
Una ragazzina in pericolo, una navigata camionista che si trova a gestire una situazione difficile e a fare i conti con i propri demoni, un anziano agente dell'FBI dal cuore gentile. E sullo sfondo il traffico dei minori, con spietate organizzazioni che rapiscono ragazzine per scopi illeciti e crudeli. Sulla carta ve n'era di materiale a disposizione, tale per permettere a Paradise Highway di spiccare nel consumato filone degli action-thriller, con inoltre un cast di lusso (Juliette Binoche, Morgan Freeman e Frank Grillo) a vestire i ruoli principali. Ma quest'avventura on the road, spruzzata di vaga tensione e di spenti sussulti melodrammatici, si perde sul nascere, rivelandosi inconsistente nella gestione dei personaggi e fin troppo anonima nelle sue dinamiche di genere, trascinandosi per due ore su una strada in linea retta.
Perché ci piace
- Un ottimo cast, capitanato da Juliette Binoche, Morgan Freeman e Frank Grillo...
Cosa non va
- ... alle prese con personaggi anonimi, vittime di una sceneggiatura poco ispirata.
- Tensione ed emozioni, pur cercate e caricate a più riprese, sono troppo costruite per risultare appaganti.