La critica lo attende al varco con la sua prima sortita americana. Dopo averci regalato capolavori come Le conseguenze dell'amore e Il divo, Paolo Sorrentino è diventato uno degli autori italiani più stimati in patria e all'estero. Quella di spiccare il grande salto realizzando la prima pellicola in lingua inglese, un road movie atipico prodotto e girato negli Stati Uniti, è una scelta che fa paura e richiede molto coraggio e una discreta dose di incoscienza, ma il regista napoletano ha trovato un solido alleato nello straordinario Sean Penn, chiamato qui a un'altra interpretazione estrema, quella di un'ex pop star degli anni '80 alienata dal mondo che si mette in cerca del nazista che ha torturato suo padre nel campo di concentramento di Auschwitz. In This Must Be the Place compaiono, inoltre, la musa dei fratelli Coen Frances McDormand, Judd Hirsch e David Byrne, che ha curato la colonna sonora del film.
Sean, cosa ti attirato in questo progetto?
Paolo, come ti sei trovato a lavorare con Sean Penn?
Paolo Sorrentino: Ho sempre pensato a Sean per questo film. Se lui non avesse accettato il film non sarebbe mai stato fatto. Era la mia unica scelta e sono stato molto fortunato ad avere la sua approvazione.
Sean, ti ha sorpreso il personaggio scritto da Paolo? Quale è stata la tua reazione al suo humor?
Sean Penn: Non mi ha sorpreso tanto questo personaggio, ma mi sorprende tutto ciò che Paolo fa. Lui vede il mondo del film in modo personale, ha un nuovo vocabolario. La prima volta ho visto il film insieme a mio figlio diciassettenne. A lui This Must Be the Place è piaciuto molto e mi ha detto di non aver mai visto niente di simile prima d'ora.
Come ti sei preparato per interpretare il tuo personaggio? Come hai trovato la voce giusta? E come hai costruito la performance fisica, visto ciò che colpisce del tuo personaggio è che si muove come un vecchietto?
Sean Penn: Paolo aveva un'idea precisa della fisicità del personaggio e del suo stato d'animo depresso. Quando è sul set ti guida con le sue indicazioni e con l'uso della musica. Credo che le migliori idee su Cheyenne siano venute grazie all'aiuto di Paolo. Per me lui è uno dei pochi veri maestri dotati di una visione ben precisa. Come attore cerco di trarre il meglio dalla sua creatività. Con una metafora posso rispondere dicendo che se Paolo fosse un pianista io sarei quello che gli gira le pagine, ma la creatività è tutta nelle sue dita.
Paolo, la perfomance di Sean sul set ti ha stupito?
Il film si apre in Irlanda e poi diventa un road movie girato negli USA.
Paolo Sorrentino: Ho sempre amato il cinema americano perciò per me girare negli Stati Uniti è sempre stato un sogno. Ho scelto location che avevo visto in molti altri film e che mi erano piaciute.
Sean, tu sei un appassionato di rock? Hai utilizzato le tue conoscenze e i tuoi gusti personali per arricchire il personaggio di Cheyenne?
Sean Penn: No, io credo che il rock abbia una funzione molto importante perché incarna il desiderio di una società migliore, più giusta. Nel film, però, il mio personaggio vive una situazione mentale complicata e la musica ne accompagna il viaggio.
Qui a Cannes hai regalato due interpretazioni straordinarie in questo film e in The Tree of Life di Malick. Scarlett Johansson ti ha ispirato in qualche modo?
Sean Penn: Non so se avete visto il film che lei ha girato molto tempo fa, L'uomo che sussurrava ai cavalli, ma le cose sussurrate nell'orecchio devono restare segrete.
Paolo, dopo una serie di storie profondamente italiane da dove viene questa idea?
Paolo Sorrentino: L'idea è nata da un fatto di cronaca su un criminale nazista che si nascondeva negli Stati Uniti. A questa vicenda ho unito un'altra idea, quella di girare un romanzo di formazione su un uomo di cinquant'anni rimasto un po' bambino e la figura della rock star mi sembrava la più indicata per unificare questi aspetti. Questa è la prima volta che non scrivo un film da solo, ma collaboro con un altro sceneggiatore. Conosco Umberto Contarello da molti anni e ci eravamo sempre ripromessi di lavorare insieme. In questo film vi sono una serie di elementi, tra cui l'amore per il viaggio, che mi hanno spinto a proporgli il progetto e lui ha accettato. Le cose belle succedono sempre per caso.
La fotografia del film è stupenda. Come hai lavorato per mettere in scena questo rapporto tra spazi esterni e interni, queste immagini di una natura incredibile?
Dopo aver presentato quattro film a Cannes ed essere cresciuto col festival pensi di poter vincere la Palma d'Oro?
Paolo Sorrentino: No, penso proprio di no. Non si viene a Cannes per fare carriera all'interno del Festival, ma si viene a presentare il proprio lavoro e questo per me è già un risultato incredibile.
Sean, il tuo personaggio mi ha ricorda Ozzy Osbourne. Ti sei ispirato a lui nel modo di parlare e camminare?
Sean Penn: No, non mi è venuto in mente Ozzy, ma devo dire che è un personaggio originale e sicuramente mi sarei potuto ispirare a lui.
Però questa rock star ha un aspetto molto caricaturale che in parte mi ha ricordato anche alcuni politici de Il divo.
Sean, in tutti e due i film in cui sei presente a Cannes interpreti un figlio che ha problemi con il proprio padre. Quale dei due film ti ha emozionato e coinvolto maggiormente?
Sean Penn: Non posso fare paragoni tra i due film. Per me sono state due esperienze completamente diverse e distinte.
Credo che la bellezza di questo film sia la grande ricchezza a livello di sceneggiatura e di voci. Vi è un lungo monologo centrale/confessione del protagonista a David Byrne che ricorda un po' anche il monologo di Andreotti. Come hai operato per ottenere questo risultato?
Paolo Sorrentino: Questa scena era presente nella sceneggiatura già prima dell'arrivo di David Byrne, infatti eravamo preoccupati a come l'avremmo realizzata se lui non avesse accettato di recitare nel ruolo di se stesso. Effettivamente, non essendo un attore, lui qualche dubbio l'aveva ma alla fine si è convinto. La scene è stata girata a Detroit, in quello che era un teatro della città e ora è diventato un garage di auto. Con David abbiamo lavorato in maniera molto semplice. A me servivano una serie di canzoni che sembrassero composte da ragazzi di diciotto anni e lui si è molto divertito a immedesimarsi in un diciottenne. E' un artista poliedrico e ama le sfide.
Sean, il tuo personaggio è come un bambino che esplora gli Stati Uniti per la prima volta con un sentimento misto di scoperta e vendetta. Come ti sei sentito a incarnare una figura simile? Quale è il tuo sentimento nei confronti del tuo paese?
Sei stato influenzato da registi europei come Wim Wenders o Antonioni che prima di te si sono relazionati con l'America?
Paolo Sorrentino: Ci può essere stata un'influenza, ma a livello inconscio perché sono molti anni che non rivedo i loro film.
Paolo, citando una frase che pronuncia il tuo personaggio, c'è stato un momento nella tua vita in cui non hai avuto paura di nulla?
Paolo Sorrentino: Non, non credo che ci sia stato perché ho sempre paura di qualcosa.
Fare in film in America è il sogno di tutti i registi. Cosa ti è piaciuto di più di questa esperienza?
Paolo Sorrentino: Non saprei. E' stato bellissimo. Ci sono un sacco di cose che mi resteranno impresse. Come tutte le cose anche il cinema ha i suoi momenti di noia, ma stavolta mi è sembrato tutto nuovo. E' stato come ricominciare da capo. Un'esperienza unica e indimenticabile.