Paolo Bianchini presenta Il sole dentro

Il regista, insieme a gran parte del cast, ha presentato in conferenza stampa il suo ultimo film, dedicato a un'amicizia tra due ragazzini sullo sfondo del continente africano.

Guardando Il sole dentro, si è consapevoli di trovarsi di fronte a un prodotto particolare. Uno di quei film il cui valore va oltre l'aspetto puramente cinematografico, e che porta anche a soprassedere su eventuali difetti o imperfezioni; ciò, in virtù dell'importanza dei temi trattati, e della bontà delle iniziative a cui l'opera si accompagna. Nel caso del film di Paolo Bianchini, lo spunto è un drammatico fatto di cronaca avvenuto nel 1999: due ragazzini guineiani morirono nel vano del carrello di un aereo diretto a Bruxelles, mentre recavano con sé una lettera da consegnare al Parlamento Europeo. La loro storia, che fu presto dimenticata, è stata ripresa da Bianchini per far da rimando (e contrappunto) a quella narrata nel film: l'amicizia tra i due giovanissimi calciatori Rocco e Thabo, uno italiano e uno africano, e il loro viaggio dalla Puglia fino al cuore del continente di Thabo, cacciato con l'inganno dalla squadra che lo aveva spinto ad arrivare in Italia.
L'incontro in cui il regista (insieme agli attori Angela Finocchiaro, Diego Bianchi, Francesco Salvi e Giobbe Covatta, oltre al giovane Gaetano Fresa) ha presentato il suo film alla stampa, è stato aperto dalla lettura di alcune lettere rivolte da adolescenti di tutto il mondo all'attuale Parlamento Europeo: l'iniziativa, promossa da Alveare Cinema insieme a Poste Italiane, punta a tener vivo il ricordo dei giovani Yaguine e Fode, e a creare una cinghia di trasmissione tra le istanze dell'infanzia, specie in quei paesi in cui queste sono trascurate, e le istituzioni internazionali.

"Non ho puntato all'estetica cinematografica", ha detto Bianchini. "Ho anzi voluto fare un passo indietro, raccontando frammenti di storie vere che si trovano unite nei due personaggi. E' stata una sorpresa insperata, per me, il fatto che la Medusa abbia deciso di distribuire il film in sala". A prendere la parola sono stati poi gli attori, che hanno raccontato il loro personale coinvolgimento nel progetto; la prima a parlarne è stata Angela Finocchiaro. "Paolo ci ha saputo comunicare una grande motivazione", ha detto. "Lui è rimasto sempre legato al film, che in realtà è parte di un percorso molto più complesso: questo coinvolgimento ti fa sentire anche dell'aria intorno, perché senti di essere parte di qualcosa di più grande."
"Anche per me la motivazione è venuta da Paolo", ha detto Diego Bianchi. "Non mi ci sentivo molto, in questo ruolo, perché non sono mai stato un attore di cinema. Ma mi ci sono buttato, perché la causa era giusta e meritava, al limite, anche la figuraccia personale. Alla fine mi sono divertito a farlo." Lodi, per il regista, sono venute anche da Francesco Salvi, presente nel film nel ruolo di uno stralunato frate: "Lui è citato anche da Quentin Tarantino come uno dei suoi maestri, è uno di quei registi che sapevano creare cose incredibili con pochissimi soldi. Si è allontanato dal cinema nel periodo in cui il cinema italiano è calato, sia qualitativamente che quantitativamente, e si è dedicato alla pubblicità. Solo in seguito si è rimesso a fare film, e poi è stato 'scoperto' dalla Rai".
"Alla proposta di Paolo non ho potuto dire di no", ha scherzato Giobbe Covatta. "Gli ho chiesto quante pose si sarebbe trattato di fare, e lui mi ha detto che sarebbe stata una sola, nel pomeriggio. Gli ho chiesto se mi avrebbero pagato molto, e lui ha risposto che non avrei preso neanche un euro. Allora non potevo rifiutare!"
"Abbiamo vissuto nel Sahara tunisino a 50 gradi, sui veri sentieri delle scarpe", ha detto poi il regista, riprendendo la parola e parlando della realizzazione del film. "Abbiamo davvero trovato dei sandali lì abbandonati, da persone che avevano attraversato il deserto: ciò lasciava un'impronta diversa ogni volta che succedeva, ma soprattutto ci ha fatto capire la necessità di raccontare storie vere". Qualcuno gli chiede com'è arrivato alla scelta di Angela Finocchiaro per uno dei ruoli principali. "Angela c'è sempre stata, in realtà", ha risposto il regista. "Quando abbiamo scritto la sceneggiatura, immaginavamo dei volti dietro ogni personaggio: abbiamo provato a chiedere a lei senza sperare davvero che avrebbe accettato. Alla fine ha detto sì."
Qualche battuta, il regista l'ha poi dedicata al messaggio trasmesso dal film: "Dipende da ognuno di noi che questo modello sociale di ingiustizia venga cambiato. Il diritto alla vita appartiene ad ogni persona che nasce, per una legge che regola la vita sul nostro pianeta: c'è anche un filo che ci lega, che fa sì che ognuno debba vivere insieme agli altri. Invece noi abbiamo la cultura del primo della classe. Ci vuole una presa di coscienza, ognuno deve sentirsi protagonista di questo cambiamento. I pannelli fotovoltaici che appaiono in una scena del film sono stati portati in una scuola che porterà il nome di Yaguine e Fode. Saranno utili per fornire energia elettrica a quella scuola, per montarci un computer, e quindi per portare cultura."
Chiamato dal regista a prendere la parola, è intervenuto poi il direttore della fotografia Giovanni Cavallini: "Un giornalista, parlando dello stile di questo film, ha detto che si trattava di uno stile asciutto e senza fronzoli. È la cosa che mi ha fatto più piacere, e credo sia la definizione più giusta." L'operatore Roberto Lucarelli ha poi concluso: "La cosa più importante è stata girare in Guinea, un paese in cui le condizioni sono veramente dure e difficili. Lavorare, lì, in un certo senso è quasi secondario, visto che ciò che conta sono le sensazioni in cui si è immersi".