"Mi dispiace non essere lì con voi, ma impegni di lavoro non me lo hanno permesso. Ho visto Legami di sangue e mi sono profondamente emozionato. Sono stato felice di aver dato il mio contributo alla sua riuscita. Parlatene, perché i film buoni come questo devono essere visti." Questo il messaggio inviato da Arnoldo Foà, grande assente alla conferenza stampa di presentazione del debutto dietro la macchina da presa dell'autrice e regista teatrale Paola Columba. L'attore novantatreenne partecipa con un piccolo ruolo a questa storia lontana da quell'immagine edulcorata del nostro paese che spesso si vede al cinema. Protagonista del film è infatti una famiglia contadina, quattro fratelli dell'entroterra molisano che si ritrovano ad affrontarsi con ferocia per un problema di eredità, ma soprattutto per ferite legate al passato che hanno allontanato i due più grandi, uno finito in carcere per bancarotta fraudolenta, l'altro costretto a mandare avanti da solo la famiglia con un fratello spastico e una sorella remissiva che sogna di cambiar vita accanto a un prete. Costato 350.000 euro, Legami di sangue uscirà questo venerdì al solo Film Studio di Trastevere, a Roma, mentre nelle prossime settimane le copie saliranno a sette, con una distribuzione che coinvolgerà Milano, Bologna, Firenze, Napoli, Bari, e naturalmente il Molise. A presentare il film a Roma sono intervenuti la regista, il co-sceneggiatore e produttore Fabio Segatori e parte del cast.
Paola Columba, da dove nasce la storia di Legami di sangue?
Paola Columba: In parte è stata ispirata da fatti di cronaca. Mentre stavamo girando, per esempio, a Piazza Armerino c'era un uomo che inseguiva la sorella con un fucile e le ha sparato. Fatti come questo nei paesini non sono rari. Inoltre, abbiamo pensato e scritto la storia sugli attori stessi, alcuni dei quali hanno trascorsi contadini. Il film tratta di un tema universale che però viene trattato poco al cinema. In famiglie che hanno poco il denaro suscita spesso odio e invidie. Ho voluto arrivare fino in fondo con questa storia senza edulcorare, per raccontare, forse in un modo un po' troppo drammatico, la realtà e i sentimenti che spesso portano a cose dure e crude, ma quando alla base c'è l'amore non può che essere così.
Fabio Segatori: Del mondo contadino in Italia nessuno parla più. Il film è stato girato dal vero, a due ore e mezza di macchina da Roma. Nessuno lo dice, ma ci sono contadini in Italia che vivono in condizioni limite, talvolta senza neppure un bagno. Parlare di queste cose non va di moda, facciamo finta di essere europei, ma in questo film non abbiamo smussato quegli accenti di realismo che possono dare fastidio. Penso al bacio della protagonista al prete o alla scena del bagnetto in cui c'è un accenno di rapporto incestuoso tra la donna e il fratello down. Quello che ci interessava mostrare, è che la campagna italiana non è quella del Mulino Bianco e che la realtà non è quella della fiction.
Paola Columba: Bisogna anche dire però che il personaggio di Peppe sta sull'Ulivo con il cellulare e chiede soldi alla Comunità Europea. Perciò il film vive anche di questi contrasti non più così insoliti.
In che modo siete riusciti a lavorare sul realismo della vicenda?
Fabio Segatori: Parlare di cose importanti e impegnative non significa annoiare. Quello che abbiamo fatto è stato dare la massima attenzione ai personaggi. Lavoriamo da tanti anni con questi attori e abbiamo scritto i ruoli su di loro, conoscendoli bene e lasciando che ognuno di essi mantenesse la propria inflessione dialettale. Tutti gli attori coinvolti vengono dal teatro, ma non volevamo fare un film teatrale.
Paola Columba: E' vero, c'è stato un lungo processo di preparazione, abbiamo lavorato con gli attori anche sul loro dialetto. Dalla mia esperienza in teatro ho imparato la disciplina, il rispetto del testo, l'importante della preparazione con gli attori, tutte cose che mi sono tornate utili anche per questa nuova avventura. Nel realizzare questo film, le nostre priorità sono state mirate al bene del prodotto e di tutti gli attori che ci hanno lavorato.
Come hanno lavorato gli attori ai propri personaggi?
Cristina Cellini: C'è stato un lungo lavoro di preparazione che ci ha permesso di portare a casa un film in soli ventiquattro giorni. Ciò è stato possibile perché il lavoro sul copione è stato eccellente. Per quanto mi riguarda, ho dovuto trasformarmi fisicamente, ma è un tipo di lavoro che ad una attrice dà molta soddisfazione. Spesso si tende a lavorare di fretta e questo toglie molto alla possibilità di apportare al personaggio qualcosa di artistico che ci è proprio. Nel fare questo film ci ha iutato molto anche il fatto di avere una location così veritiera, senza scenografie. Abbiamo giurato in una casa senza riscaldamento, senza bagno, e senza nemmeno avere la roulotte fuori.Giovanni Capalbo: Venendo io da una realtà meridionale e da una famiglia contadina sono abituato alle difficoltà. Quelle del cinema rispetto a quelle della vita sono ininfluenti. Le mie origini mi hanno sempre permesso di mantenere la mia dignità e questo mi ha salvato e mi ha portato a fare le scelte migliori. Negli ultimi anni mi è cpaitato di lavorare con registi come Peter Greenaway, Mel Gibson e Abel Ferrara e naturalmente c'è differenza di privilegi a stare su set diversi. Ne La passione di Cristo hai roulotte personali e altre amenità che per me non hanno però alcuna importanza. Io ho continuato a tenere i piedi per terra, anche perché il mercato non sembra essersi accorto di me e non ho ricevuto nessuna chiamata. Legami di sangue racconta i nostri sentimenti, è un lavoro fatto grazie a una scrittura rigorosa, cucita su di noi da chi conosce le nostre peculiarità e le nostre debolezze.
Andrea Dugoni: Ho amato molto il mio personaggio, quello del fratello con problemi psichici, e ho cercato di interpretarlo essendo recettivo al massimo e di entrare in empatia con la posizione di una persona che ha quel tipo di problemi. Ogni volta che rivedo il film non posso fare a meno di commuovermi.
Cristiana Mantis: Rosy, il mio personaggio, è una donna che è stata abbandonata e che ha sofferto molto. Quando Giovanni torna da lei trova una donna che non ha più vita dentro. L'atmosfera sul set era sempre allegra, eravamo una famiglia, e questo rendeva per me un po' difficile beccare questa dimensione di mancanza di vitalità, ma alla fine ci sono riuscita perché il lavoro di scrittura è stato molto forte e ci siamo preparati per tanto tempo. Quando arrivavi sul set ti sembrava una prosecuzione di quello che era la tua vita, e affrontavamo il lavoro quasi in uno stato di trance indotto da questo neorealismo che ci apriva individualmente a uno stato quasi onirico.
Fulvio Cauteruccio: Normalmente faccio teatro, ho una mia compagnia, ma ho fatto anche la fiction come Un posto al sole, La squadra, oltre a un piccolo ruolo nel tv movie L'Uomo della Carità - Don Luigi Di Liegro con Giulio Scarpati. La fiction è una fabbrica un po' strana, mentre in questo caso era interessante lavorare molto, ragionare sui personaggi. C'è stata la possibilità di dare una maggior intensità alla propria interpretazione e di esprimersi meglio rispetto al solito "Buona la prima".
Alberto Cracco: Io ho fatto invece un percorso un po' diverso rispetto a quello degli altri, perché non mi dovevo calare in una realtà arcaico-rurale. Essendo un prete e rappresentando un sogno per il personaggio di Luana, dovevo mantenere un tono diverso, distante, risultando più educato e signorile.
Fabio Segatori, lei è un regista. Com'è arrivato alla produzione di questo film?
Fabio Segatori: Dieci anni fa ho realizzato la mia prima opera, Terra bruciata, ed è stato piuttosto complicato, soprattutto perché il film aveva effetti speciali e scene d'azione spettacolari non facili da girare per quei tempi. L'opera seconda, Hollywood Flies è stata invece ancora più dura. C'erano otto produttori, era un film in inglese girato tra il Canada e gli Stati Uniti, e all'ultimo momento RaiCinema si è tirata indietro. In Italia il film non è mai uscito, mentre all'estero è presente in tutti i Blockbuster. Comunque, queste esperienze mi sono servite e le ho messe a frutto per produrre questo film che rappresenta per me il tipo di cinema che vorrei vedere al cinema. Ciò è stato possibile anche grazie all'incontro con una società molisana di ragazzi che realizzavano documentari. Abbiamo fatto un film di finzione con una troupe che solitamente si occupa di documentari e mi sono fidato totalmente di loro. Il problema oggi in Italia, e non solo del cinema, è la politica. Finché questo cancro che attanaglia tutta la nostra economia non sarà curato la liberia imprenditoria faticherà ad emergere. Il film in sostanza si è fatto perché lo volevamo fare e ad oggi è stato già comprato all'estero. Ai festival dove l'abbiamo presentato, come a quello di Los Angeles, la gente in sala piangeva e questo mi ha colpito molto. Il film verrà presto distribuito a Philadelphia, New York e Los Angeles con la Weistein Company, ma per il momento abbiamo preferito aspettare la distribuzione italiana. Comunque sia, abbiamo già il contratto pronto sia per l'uscita in sala che per quella in home video. Tengo a dire che vanno bene i Vanzina e gli Oldoini, ma credo ci sia anche un pubblico per questi prodotti qua. Bisognerebbe quindi creare dei meccanismi di mercato che favoriscano la produzione di film diretti a questa fascia di pubblico.