Paola Buratto e il ritmo di Call My Agent: "Esprimersi è vitale. I millennials? Generazione di stagisti"

La pressione sociale, Oliva Colman e il diritto alla pausa. La nostra intervista all'attrice, che dice: "Gli interpreti mostrano la realtà e, proprio per questo, spesso non piacciono. Bisogna cambiare la percezione del nostro lavoro".

Paola Buratto. Foto di Mario Zanaria. Styling Michela Caprera. Make Up Marvi Leddi

Paola Buratto, classe 1996, è tra le ultime nate a potersi considerare millennials. Generazione di mezzo, sospesa tra due mondi e, come ci dice, "schiacciata da una costante pressione sociale". La raggiungiamo al telefono in occasione del ritorno su Sky di Call My Agent - Italia, arrivata alla terza stagione. Nella serie, l'attrice - il volto giusto, nella sua assoluta e credibile semplicità - interpreta la giovane Camilla Zanon, assistente di Lea Martelli (Sara Drago), rampante manager della CMA, un'agenzia che gestisce il meglio dello show-biz italiano.

Una mezz'ora di intervista con Paola Buratto, che inizia dal concetto stesso di "assistente" e finisce poi a parlare di Olivia Colman, di The Bear e di quanto il lavoro artistico sia fondamentale per mantenere vivo il tessuto sociale.

Call my Agent - Italia: intervista a Paola Buratto

Paola Buratto Call My Agent
Paola Buratto è Camilla in Call my Agent

È interessante il concetto di assistente legato a Call My Agent. Forse tutti i millennials, oggi, si sentono degli "assistenti". Che ne pensi?
"È curioso: quello che noto io riguarda soprattutto l'aspetto digitale. Quando andavo a scuola, c'erano già le prime versioni di traduzioni di latino che si potevano copiare da Internet, ma oggi è tutto diverso. Noi siamo una generazione di mezzo: alcune dinamiche le colgo al volo, ma i più giovani ci arrivano ancora prima. I più grandi, invece, sono lì, presenti, che aspettano la pensione".

Una generazione sfortunata?
"Siamo in bilico tra due mondi molto diversi: da una parte quello digitale, anche se noi abbiamo aperto le porte a un nuovo modo di lavorare, e dall'altra una generazione più grande. Siamo stati un po' sfortunati, facciamo fatica a piazzarci in modo definitivo. Siamo "gli stagisti", "gli assistenti", quelli che ancora non ce la fanno del tutto".

Anche per te è così?
"Nel mio lavoro non c'è una gerarchia rigida, ma penso alla mia Camilla - lei ambisce a qualcosa di più. L'importante è che venga riconosciuto il lavoro, con la possibilità di crescere. Nella CMA questa possibilità esiste. Farsi spazio in un mondo dove la nostra generazione fa più fatica è una realtà. La serie non punta direttamente su questa dinamica, ma si percepisce".

Oltre il set di Call My Agent

Lo vediamo nella serie: la promozione di un film o di una serie è un aspetto complicato e stressante per un'attrice. Anche per te è cosi?
"Ogni tanto, davanti alle foto, sono un po' in imbarazzo, lo ammetto. Sul set, tra prove e letture, mi sento più a mio agio: una fase più delicata, ma anche più divertente. La promozione, però, sta diventando sempre più importante. In un certo senso, devi saper parlare del tuo lavoro, farlo conoscere agli altri. Non va screditata - è impegnativa, certo, ma utile. In un mondo pieno di serie e film, questo spazio è utile per valorizzare il lavoro svolto.".

Call My Agent Photocall
Al photocall: Kaze, Sara Lazzaro, Francesco Russo, Paola Buratto

C'è qualcosa che fatichi ad affrontare?
"Il trucco e il parrucco mi mettono alla prova, lo ammetto. Più posso dormire, meglio sto! La mattina sono pigra. Però la promozione ti permette di rincontrare i colleghi: dall'ultimo ciak al momento delle interviste passano mesi, e rivedersi è sempre bello".

Nella terza stagione Camilla sembra attratta da un possibile lavoro a Los Angeles. Ma secondo te: il lavoro all'estero è sopravvalutato?
"Quando ero all'università, l'idea dell'Erasmus mi affascinava molto: il pensiero che i talenti potessero muoversi in un mondo iper-connesso. Ho vissuto una piccola fase londinese e parigina, ma le mie possibilità erano limitate: non avevo gli agganci giusti per la carriera che desideravo. Sarebbe bello se il nostro Paese valorizzasse di più i propri talenti, permettendo ai giovani di esprimersi e sfruttare le proprie capacità. Molti miei coetanei hanno tanto da dare, ma qui è difficile trovare spazio. Per questo, forse, sopravvalutiamo l'estero. Andare fuori non deve essere un'evasione, ma un modo per ispirarsi, per approcciarsi diversamente al lavoro e alla vita".

Parliamo di stress: gli agenti della CMA respirano ansia quotidianamente. Ti chiedo: quanto è importante prendersi delle pause?
"In Call My Agent tutto è volutamente esagerato: si fa commedia proprio sul ritmo e sul tono. Lo stress è parte integrante della scrittura e della struttura dello show. Penso anche a The Bear: ho lavorato in cucina, e so che i ritmi non sono sempre così estremi. Ma è fondamentale sapersi staccare dal lavoro, anche se è difficile. Oggi cerco di ritagliarmi momenti di pausa dai set: sento il bisogno di crescere come attrice e come persona. Paradossalmente, però, i momenti di pausa fanno anche salire lo stress, perché si teme di "non fare abbastanza"".

Il cinema, un vero e proprio lavoro

Anche tu senti la pressione sociale?
"Sto imparando a liberarmi da questa pressione - dal bisogno di dover sempre dimostrare qualcosa. Fare una passeggiata, uscire da Roma, recuperare il tempo libero: sono gesti che aiutano. Molti ambienti di lavoro vivono questa frenesia, ma credo sia fondamentale ritrovare se stessi dietro il lavoro. Rivendico il diritto alla pausa".

Nella serie si parla del mondo dello spettacolo, un lavoro vero e proprio. Eppure, l'idea generale vede gli artisti come dei privilegiati.
"Socialmente, il nostro lavoro non è ancora percepito come un "vero" mestiere. Non si va più tanto in sala, anche perché viviamo in una società che investe poco nella cultura. Eppure, oggi più che mai, c'è bisogno di arte e di sapere: l'arte serve a far sfogare il dolore collettivo, la rabbia e la speranza. Stiamo attraversando un periodo difficile, segnato da guerre e tensioni globali. In questo contesto, il desiderio di esprimersi diventa ancora più forte".

Call My Agent 3 Scena Serie Sky
In scena Kaze

Che fare, quindi?
"Non ho una soluzione. C'è ancora un immaginario legato agli attori come figure privilegiate, legate ai cachet e all'immagine. Ma quella è una piccola parte: il 5% forse. Il resto vive una realtà molto diversa - stipendi bassi, pochi lavori, periodi di inattività. Il contratto nazionale ha migliorato qualcosa, ma non ha risolto del tutto la situazione. Sarebbe bello se cambiasse la percezione di questo mestiere. L'attore non è mai stato un lavoro "fortunato": da sempre è un mestiere che mostra la realtà e, proprio per questo, spesso non piace".

Una giornata con Olivia Colman

Hai paura di restare bloccata? Ripetere sempre lo stesso ruolo?
"Più che paura di affrontare lo stesso ruolo, ho paura che vengano scritte sempre le stesse storie. Nei provini non mi è mai capitato di rifare esattamente la stessa parte, in stile Camilla, e questo mi rassicura. Mi auguro, però, che le storie che raccontiamo continuino ad arricchirsi: ci sono ancora tante cose da dire. I modi per raccontarle ci saranno sempre".

Paola, in chiusura: c'è un'attrice con cui vorresti passare un'intera giornata, seguendola nel suo lavoro?
"Olivia Colman. Per me, lei è energia pura. Vorrei conoscerla: la trovo simpaticissima, anche quando parla nelle conferenze. Ha un'energia interessante, è versatile - passa dal dramma più intenso alla commedia con una naturalezza incredibile. È generosa. Mi piacerebbe vederla in un momento della sua vita in cui affronta due progetti molto diversi tra loro. Anche se credo non sia un'attrice che accetta due ruoli in contemporanea...".