Di film toccanti su amicizie tra uomini, e su un tumore che affligge uno dei due, ne esistono diversi: uno su tutti, 50 e 50, con Joseph Gordon-Levitt e Seth Rogen, delicato e divertente nonostante l'argomento. Come vedremo in questa recensione di Paddleton, la commedia agrodolce presentata al Sundance Film Festival, e distribuita dal 22 febbraio sulla piattaforma streaming Netflix, non è neanche lontanamente accostabile al bel film di Jonathan Levine, né ad altri lungometraggi commoventi e memorabili su bromance che devono fronteggiare la morte. Perché, nonostante i due simpatici protagonisti e qualche scambio originale, il dramedy diretto da Alex Lehmann con un budget chiaramente ridottissimo manca di picchi emotivi e di una struttura avvincente, e per questo coinvolge poco.
Caratteri diversi
La trama di Paddleton inizia con l'annuncio da parte di una dottoressa del risultato di una TAC. Michael (interpretato da Mark Duplass, che insieme a Lehmann è anche lo sceneggiatore) ha una grande massa nello stomaco; l'ha accompagnato il suo amico e vicino di casa Andy (Ray Romano), e fin dall'inizio risultano chiare le differenze tra i due. Michael è molto equilibrato, reagisce con (fin troppa) pacatezza alla notizia del cancro, e all'ipotesi della morte certa su un letto di ospedale preferisce quella di trascorrere i suoi ultimi mesi di vita senza interrompere la sua amata routine. Poi ingerirà in casa le pillole che decreteranno la sua fine, ma non sarà da solo: con lui ci sarà Andy.
Che invece è un ossessivo nevrotico: dopo aver bombardato di domande la dottoressa e aver tentato di dissuadere l'amico da tali propositi, accetta il compito che gli è stato assegnato, ma rimane sempre sé stesso. Ansioso, scorbutico, prospetta scenari apocalittici qualsiasi azione debba approssimarsi a compiere. Prima del loro poetico viaggio on the road per comprare la medicina letale, Andy s'informa da Michael se ci sia benzina sufficiente da scongiurare il dover sopravvivere bevendo la loro stessa urina. Michael gli farà notare la miriade di alternative in mezzo; ma Andy, da persona sicuramente disadattata, rifugge l'assenza di pianificazioni. "Non sarebbe figa una vita senza regole! Ti metti le scarpe e diventano zucche, ti soffi il naso ed esce il nichel, ti guardi nello specchio e la tua faccia è un parafango...". La sua fantasia pessimistica trasforma dialoghi che altrimenti verterebbero sul niente in scambi da teatro dell'Assurdo. L'ironia e il nonsense, del resto, sono la cifra della loro amicizia.
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Dolce routine
Ma la forte amicizia tra Andy e Michael si fonda anche su una quotidianità che entrambi adorano e che rappresenta la loro comfort-zone, anche quando la notizia del cancro aleggia minacciosa sulle loro vite. Cena a base di pizze, Trivial Pursuit, battute a raffica e rebus, e il film di Kung Fu che guardano continuamente con l'impressione di apprendere sempre qualcosa di nuovo. Perché Il pugno mortale non è un film sul combattimento, ma "ti insegna a capire quello che hai dentro", come dichiarerà Andy offeso a un farmacista pasciuto che aveva osato definire il film soltanto "carino". L'abitudine che Andy e Michael preferiscono su tutte, però, è il "Paddleton", sport inventato da loro che consiste nel far rimbalzare una palla su un edificio fatiscente, un drive-in in disuso, e centrare un barile dietro di loro. Peccato che questa attività, che dà addirittura il titolo al film, ritorni poche volte, e si abbia l'impressione, come di molti altri aspetti del copione, che i dialoghi siano stati concepiti in maniera più pretestuosa di quanto l'umorismo sofisticato lasci intendere.
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Una bromance che affronta la morte
Come abbiamo accennato, prima di Paddleton, 50 e 50 non è l'unico esempio di bromance che sdrammatizza la paura della morte. Un altro più recente è fornito dall'intelligente serie di Chuck Lorre distribuita su Netflix, Il metodo Kominsky, che declina in età senile un tema affine: qui è Michael Douglas a dover assistere Alan Arkin nella dolorosissima perdita della consorte per un cancro. E anche qui il personaggio di Douglas, come quello di Ray Romano in Paddleton, è a corto di soldi ma troppo orgoglioso per ammetterlo. Anche ne Il metodo Kominsky i dialoghi sono ironici e sottili; ma lo spessore è ben altro e, nonostante il ritmo sia dilatato, la serie non risulta mai noiosa né priva di picchi emotivi. Paddleton, benché Mark Duplass e soprattutto Ray Romano siano in parte e ispirino una naturale simpatia nello spettatore, non raggiunge mai quel lirismo a un certo punto quasi dovuto in un prodotto così scarno nella regia e nella trama.
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Verso il finale, lo sminuzzamento delle cento pillole da parte dei due amici, seduti sulle mattonelle della cucina e intenti a raccontarsi le primissime impressioni sull'altro, è forse la scena più toccante di un film che avrebbe potuto raccontare molto di più. L'angoscia della morte nell'amico che se ne va e la paura della solitudine nell'amico che resta sono sentimenti accarezzati ma mai veramente approfonditi. E alla fine la frase più bella rimane quella tratta dal film di Kung Fu da cui Michael e Andy sono ossessionati, che suona speranzosamente come un addio e un arrivederci insieme. "Ci vediamo in fondo alla strada, amico".
Conclusioni
Come abbiamo visto nella nostra recensione di Paddleton, il dramedy di Alex Lehmann è a tratti toccante, e descrive con dolcezza l’amicizia fortissima tra due vicini di casa, uniti insieme per alleggerire il cancro. Nonostante la simpatia di Mark Duplass e Ray Romano e l’ironia di molti dialoghi, però, il film risulta troppo monocorde per avvincere lo spettatore.
Perché ci piace
- I due attori, Mark Duplass e Ray Romano, sono indiscutibilmente simpatici, e si entra abbastanza in empatia con l’amicizia tra i loro personaggi.
- Diversi dialoghi ironici e spesso surreali sono sfiziosi.
Cosa non va
- La bromance tra i due protagonisti, uno malato terminale di cancro e l’altro burbero e ansioso, è descritta in maniera a tratti toccante, ma le loro ragioni e la loro storia potevano essere molto più approfondite.
- Mancano picchi emotivi, e lo stesso personaggio malato sembra quasi indifferente alla sua sorte.
- La regia estremamente povera non regge per tutta la durata del film, che risulta piano e spesso noioso.
Movieplayer.it
3.0/5