Pachinko 2, la recensione: la serie coreana è un piccolo miracolo, tra identità e memoria

La seconda stagione dello show ideato Soo Hugh è la conferma di trovarci difronte ad una delle migliori produzioni del nostro tempo. Un'epopea familiare dalla forte valenza politica che si concede tempo senza mai sprecarlo. Un grande romanzo corale in immagini.

Minha Kim in una scena di Pachinko 2

Rincuora sapere che, tra tante serie fotocopia, titoli mediocri e scarsa qualità che affolla le piattaforme streaming, ci sia ancora la possibilità di vedere produzioni capaci di scuotere ed emozionare. Lo scorso anno è stato il turno di The Bear 2, quest'anno è quello di un'altra seconda stagione, quella di Pachinko - La moglie coreana. La serie, dal 23 agosto su Apple TV+, ideata da Soo Hugh (un vero talento, recuperate il primo capitolo di The Terror) e basata sul romanzo omonimo di Min Jin Lee in cui l'autrice racconta la storia di una famiglia coreana, attraverso quattro generazioni, legate alla figura della protagonista Sunja.

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Un'immagine della seconda stagione di Pachinko - La moglie coreana

La seguiamo bambina, donna e anziana tra Corea, Stati Uniti e Giappone - tre Paesi per le altrettante lingue in cui è parlata la serie - mentre, insieme ai suoi affetti, affronta le sfide che la vita le pone davanti. Un'epopea dedicata alla diaspora coreana, ma così profondamente capace di parlare a chiunque da diventare un'opera universale.

Un racconto parallelo, tra il 1945 e il 1989

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Kim Min-ha e Lee Min-ho in una scena della serie

La seconda stagione di Pachinko riparte dall'Osaka del 1945, nel pieno della seconda guerra mondiale. La città giapponese in cui "gli americani stanno per arrivare" e trovare il cavolo per preparare il kimchi è diventata un'impresa. Parallelamente la serie fa un balzo nel tempo e arriva fino alla Tokyo del 1989 dove il nipote di Sunja (Kim Min-ha/Youn Yuh-jung), Solomon (Jin Ha), tenta di trovare la sua strada mentre fatica a fare i conti con il senso di colpa che prova nei confronti della sua famiglia. Diretto da Leanne Welham, Arvin Chen e Sang-il Lee, questo secondo capitolo mantiene tutta la forza narrativa e visiva del suo esordio. Non c'è una nota stonata in nessuno degli otto episodi che si dipanano nel corso della seconda metà del Novecento.

Sunja, dopo l'arresto del marito Baek Isak (Noh Sang-hyun), cresce con l'aiuto della cognata Kyunghee (Jung Eun-chae) i due figli, Noa e Mozasu. Una vita fatta di sacrifici che il conflitto ha reso ancora più aspri. Dopo quattordici anni dal loro ultimo incontro sarà proprio il conflitto mondiale e il timore di un attacco americano sul suolo giapponese a far rincontrare la protagonista con Koh Hansu (Lee Min-ho), ricco coreano Zainichi e padre biologico di Noa legato alla yakuza. È grazie a lui se Sunja e la sua famiglia trovano una via di fuga dalla città che, di lì a poco, sarà bombardata.

Quella di Pachinko è un'epopea appassionante, mai stucchevole. Un'opera - perché definirla serie è quasi limitante - dal respiro ampio in cui la scrittura del romanzo da cui prende vita si ritrova nelle splendide immagini e nelle interpretazioni che danno tridimensionalità alle parole scritte da Min Jin Lee prima e adattate per il piccolo schermo da Soo Hugh poi.

Pachinko, una serie politica

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Un'immagine della seconda stagione di Pachinko - La moglie coreana

Una serie dal tono drammatico ma che contiene in sé dei piccoli momenti di lievità. Dalla sigla, che quest'anno abbandona le note di Let's Live For Today dei The Grass Roots per accogliere quelle di un altro brano della rock band,Wait a Million Years, alla figura di un piccolo Mozasu che con la sua sincerità e impeto fanciullesco strappa più di un sorriso. Ed è anche attraverso la diversa reazione dei due fratelli agli episodi di razzismo subiti a scuola che Pachinko racconta le difficoltà quotidiane dei coreani in Giappone. Difficoltà presenti anche sul finire degli anni Ottanta a testimonianza della complessa convivenza tra i due popoli protratta fino ai giorni nostri.

Per questo la serie Apple TV+, oltre ad appartenere al genere drammatico, è anche un lavoro politico. La sua creatrice, Soo Hugh, ha saputo bilanciare con intelligenza la sfera privata e pubblica del racconto. In entrambe le stagioni gli eventi storici puntellano la narrazione ed influiscono sulle vite dei personaggi. In questo secondo capitolo, in particolare, Pachinko parte dalle dirette conseguenze dei bombardamenti americani sul Giappone per raccontare, in un episodio dedicato, lo scoppio della bomba atomica su Nagasaki del 9 agosto 1945, la divisione della Corea del Nord e del Sud e gli scontri in piazza in Giappone della fine degli anni Ottanta.

Macro eventi che modificano il corso della storia collettiva. Raccontando il calvario del popolo coreano in terra straniera, Pachinko rende omaggio alle donne e agli uomini che hanno dovuto lottare per affermare la loro identità e il loro diritto ad esistere. Per questo la serie è così importante. Parlando del passato finisce per risuonare nel nostro presente.

Pachinko, la recensione: una magnifica danza tra generazioni su Apple TV+

Una riflessione su memoria e identità

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Yoon Yeo-jeong nei panni di Sunja in una scena della seconda stagione della serie

Inoltre i concetti di memoria e identità diventano sempre più centrali. La madre di Sunja ricorda ai suoi nipoti di non dimenticare mai di essere coreani, Noa si troverà davanti al bivio di abbracciare la sua vera storia o rinnegarla così come la protagonista, molti anni dopo, avrà un faccia a faccia con il passato. Restarne ancorati? Oppure provare a guardare al futuro? Pachinko si pone domande enormi e ci mostra come passino di generazione in generazione grazie alla figura di Solomon. Un giovane uomo cresciuto in Giappone ma intriso di cultura coreana che ha studiato e lavora con gli occidentali. Un mix di realtà che può disorientare e far perdere la propria bussola interiore.

Una produzione impegnativa e visivamente curata in ogni minimo dettaglio, dalla riproduzione delle modeste abitazioni ai mercati affollati, dall'attenzione agli effetti speciali ai colori vividi della natura, la serie ha un elemento narrativo dalla forte carica simbolica: il cibo. È il filo conduttore che lega stagioni e personaggi nel corso degli anni.

Pachinko 2 Recensione Seconda Stagione Serie Coreana Personaggi
Un'immagine della serie Apple TV+

Dal kimchi, tipico piatto della tradizione coreana, che permette a Sunja di sfamare i suoi figli, al tofu dai condimenti più vari, da una ciotola di riso in bianco ai noodles cucinati in un banchetto per strada con il sogno di aprire un ristorante. Dentro ai piatti preparati e consumati in Pachinko c'è una storia potente capace di evocare ricordi e tenere stretti legami. E il cibo stesso è un elemento politico. Perché rappresenta proprio memoria e identità.

Pachinko 2 Recensione Seconda Stagione Serie Coreana Scena Drammatica
Una scena della serie tratta dal romanzo di Min Jin Lee

Gli stessi elementi che fanno da cardine a questo grande racconto corale trainato da una donna esempio di dignità e schiena dritta, anche quando passa le giornate immersa nell'acqua nelle risaie delle campagne giapponesi. Pachinko è l'esempio di quanto la serialità, se ben fatta, abbia lo stesso respiro di un grande romanzo. Capace di concedersi tempo senza sprecarlo, di andare a fondo nell'animo dei personaggi senza lasciarli in superficie come figurine bidimensionali. Ma con la potenza del miglior cinema possibile. Un piccolo miracolo.

Conclusioni

La seconda stagione di Pachinko conferma tutta la maestria di Soo Hugh nel prendere il romanzo di Min Jin Lee e farlo suo. La storia del secondo Novecento si mischia ancora una volta a quella delle vite dei protagonisti con equilibrio narrativo. Una serie drammatica dalla forte valenza politica che sottolinea quanto il passato determini il futuro attraverso il racconto di generazioni diverse alle prese con i concetti di memoria e identità. Grandi interpretazioni e una sigla imperdibile.

Movieplayer.it
5.0/5
Voto medio
4.5/5

Perché ci piace

  • L'intreccio tra la storia contemporanea e le vite dei personaggi
  • I diversi livelli temporali sono gestiti con intelligenza
  • Grandi interpretazioni
  • La scelta di utilizzare il coreano come lingua principale
  • Una produzione importante capace di gestire forma e contenuto
  • Non c'è una nota stonata, i tempi sono gestiti con grande attenzione
  • La sigla è un piccolo cult
  • L'uso simbolico del cibo

Cosa non va

  • Alcuni spettatori che decidessero di vedere la serie in lingua originale con sottotitoli potrebbero faticare a seguirla