Classico nel tono, sorprendente nel finale. Un po' thriller, un po' noir, un po' dramma. Il drammaturgo Neil LaBute, che nel 1997 si era imposto nel cinema indipendente con la vittoria al Sundance, grazie a In company of Men, torna alla regia con Out of the Blue, presentato in anteprima al Noir in Festival di Milano. Lo incontriamo, via Zoom, per chiacchierare del film, non prima che abbia curiosamente scrutato le locandine appese sulle pareti dei giornalisti collegati. "Quando vedo una locandina di un film mi entusiasmo", ci dice, "del resto amo il cinema classico. A casa sono sempre collegato su Turner Classic, che trasmette i grandi classici del cinema. Mi piace il rumore di quei film". Out of the Blue, essenzialmente, racconta la focosa storia d'amore tra Connor, ragazzo appena uscito di prigione, e Marilyn, donna più grande, e sposata.
Nel ruolo dei protagonisti, Diane Kruger e Ray Nicholson. "La protagonista potrebbe rifarsi a Barbara Stanwyck, del resto il film vuole cercare di essere come i titoli classici", spiega Neil LaBute a Movieplayer.it. "Mi piaceva l'idea di una persona più grande del protagonista, che si fosse subito invaghita di lei. Doveva essere un'attrice importante, e Diane era la persona perfetta. E ha anche dovuto percorrere un cammino interessante, perché non poteva mostrare i suoi segreti. È una questione di scrittura. Poi c'è Ray, ottima scelta. Anche lui è un personaggio classico. È un bravo ragazzo, ma commette solo errori. E questo è un classico noir. Ieri sera ho rivisto "Gilda", ho dovuto guardarlo fino alla fine, quando parlano di come nessuno sia da biasimare perché tutti abbiamo commesso un mucchio di stupidi errori... è un classico del noir: si dice la cosa sbagliata, si fa la cosa sbagliata e a volte si finisce nella tomba".
Neil LaBute: "Out of the Blue, il mio omaggio al cinema classico"
Il film gioca molto sui toni in chiaroscuro, che si alternano nelle location di Newport. Grandi ville, e una grande biblioteca a fare da cornice per gli incontri tra Connor e Marylin. "Un posto incredibile. Nonostante le difficoltà logistiche, ne è valsa la pena perché sembrava uno spazio senza tempo. Quindi, più riuscivo a trovare questo tipo di luoghi che sembravano fuori dal tempo, e più li facevo sembrare classici. Tanti sono gli elementi classici nel film: per esempio, dovevo trovare il costume da bagno giusto per Diane, che desse l'impressione di essere qualcosa di moderno ma anche di vintage".
Altro metro stilistico, che si rifà al cinema anni '50, sono i serrati dialoghi: "Beh, sicuramente tra tutte le cose che ho girato, probabilmente Out of the Blue ha più dialoghi", prosegue il regista. "Mi piace ascoltare le persone che parlano. E penso che in un dialogo ci sia tanto divertimento, suspense, violenza e amore . Si può creare un'energia con i dialoghi. Adoro le scene lunghe in cui gli attori possono giocare. Spesso si taglia al montaggio, ma si perdono certe reazioni. Ecco, questo è un tratto delle screwball comedy o di un film noir. Prima le sceneggiature erano molto più lunghe. Per me è sempre stato un piacere guardarlo come spettatore e poi come autore. Ho voluto raccontare il più possibile la storia attraverso queste due persone".
Il talento di Chase Sui Wonders e quella volta con Samuel L. Jackson
Ma se Diane Kruger è una star affermata (molto sottovalutata), in Out of the Blue c'è una delle più interessanti e giovani attrici di Hollywood, Chase Sui Wonders. "Avevamo bisogno di qualcuno di nuovo che fosse più giovane, che si adattasse, che potesse essere la figliastra di Diane. Così è venuto fuori il suo nome, abbiamo parlato e lei si è dimostrata interessata. Mi è piaciuta. Doveva essere diversa però da Diane, anche nel look. Lavorare con lei è stato facile. È stata bravissima, intelligente, sapeva qual era il lavoro da fare e non ha cercato di far trasparire nulla di più di quello che c'era, perché non volevamo che nessuno vedesse che poteva esserci qualcosa tra loro due. È stata un'ottima scelta, una persona che non conoscevo fino a quel momento, ma sono stato davvero felice di lavorare con lei e mi è piaciuto lavorare con lei. Poi l'ho vista in Bodies, Bodies, Bodies... credo avrà una grande carriera".
In chiusura, chiediamo a Neil LaBute come inserisce nei suoi film il tema della giustizia, legata a figure spesso alterate e ambigue, come accadeva nel film del 2008, La terrazza sul lago con Samuel L. Jackson. "In tutto il mondo c'è sempre un abuso di potere. Questo rese La terrazza sul lago interessante per me, l'idea che fosse basato su una storia vera", racconta. "Non so se all'epoca la gente lo sapesse davvero, ma si basava su una storia accaduta a Los Angeles, in cui alcune persone cominciavano a essere terrorizzate da un poliziotto afroamericano che viveva vicino a loro. E così si è creato una sorta di cortocircuito: 'Non voglio essere razzista, ma c'è questo poliziotto nero che ci sta dando dei problemi, e cosa facciamo se non puoi andare dalla polizia?' È stata una situazione interessante per me. E Samuel L. Jackson era entusiasta. Ho scritto personaggi buoni e cattivi, ma poi ti domandi "lui è cattivo, o reagisce solo male?" I poliziotti credono di essere onnipotenti, di avere la legge dalla loro parte. Questo ha reso il dilemma interessante. E anche se non c'è molta polizia in questo film, è stato interessante inserire un ambiguo agente di sorveglianza che seguisse il protagonista. In un certo senso mi sono rifatto a Sorvegliato speciale con Dustin Hoffman".