È il 30 marzo 1992, siamo al Dorothy Chandler Pavillion di Los Angeles e sono le sei di sera. "Siamo" per modo di dire, perché chi vi scrive - e penso buona parte di chi legge - non aveva nemmeno l'età per capire cosa stesse accadendo dall'altro lato dell'Oceano. Però, per noi, lì c'era Billy Crystal che stava per presentare un'edizione degli Oscar, la 64esima, che avrebbe fatto la storia dell'animazione. La Bella e la Bestia, prodotta da Don Hahn e diretta da Gary Trousdale e Kirk Wise, diventava il primo lungometraggio d'animazione a essere candidato nella cinquina dei cinque migliori film dell'anno.
Soltanto Toy Story 3 e Up riusciranno a ripetere l'impresa negli anni successivi. Quell'anno, a Los Angeles, vengono piantate diverse pietre miliari, che citiamo per dovere di cronaca: John Singleton diventa il primo afroamericano a essere candidato come miglior regista, mentre Diane Ladd e Laura Dern diventano la prima madre e la prima figlia a essere candidate insieme, nello stesso anno. Al di là di queste due ultime curiosità, ciò che a noi intessa oggi è quanto accadde a Gary Trousdale e a Kirk Wise quella sera.
L'Oscar e l'ingombrante nome di Walter Elias Disney
L'Oscar per il miglior film del 1991 andò a Il silenzio degli innocenti, l'ultimo film a essersi aggiudicato i Big Five, ossia il premio come miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura non originale, miglior attrice e miglior attore. Fu un monopolio, perché Jonathan Demme realizzò un thriller che ancora oggi fa storia, soprattutto per la capacità di raccontare il serial killer Hannibal Lecter. La Bella e la Bestia_ si arrese a questo strapotere, portando però a casa l'Oscar per la miglior colonna sonora, assegnato ad Alan Menken, che vinse anche per la Miglior Canzone Originale con Beauty and the Beast, che vinse contro Be Our Guest, sempre di Menken, per le parole del compianto Howard Ashman, scomparso già da un anno. Fu un successo epocale soprattutto per Jeffrey Katzenberg, che nel 1988 pretese di avviare una rivoluzione, quella del Rinascimento Disney, che partisse da Menken e Ashman (poi sostituito da Tim Rice su Aladdin) e da dei canoni ben precisi.
Pilastri che, per l'intero decennio, hanno tenuto Disney sulla vetta del mondo, nel rispetto anche di quel record che appartiene a Walter Elias Disney, la persona più premiata della storia del cinema agli Oscar, nonché detentore di un record di 4 statuette ottenute nella medesima edizione. Ma l'Oscar è sempre stata una faccenda di Disney, finché è stato in vita. Poi negli anni le cose sono cambiate, il cinema ha rivolto lo sguardo altrove: quelle che sono state le innovazioni di Walt sono state superate e quanto realizzato con il Technicolor e con il Fantasound era oramai alle spalle. L'animazione, però, ha sempre avuto un posto speciale nel cuore dell'Academy, nonostante abbia impiegato parecchio tempo per avere il suo spazio.
Quando nel 2001 Jeffrey Katzenberg, staccatosi da Disney già a metà degli anni Novanta, si presentò sul palcoscenico del cinema con la sua DreamWorks Animation, l'Academy non poté più fare a meno di notare che la penuria di film d'animazione, la giustificazione che li aveva spinti fino a quel momento a rifiutarsi di creare una categoria a sé, era venuta meno. Il 24 marzo 2002, dieci anni dopo esatti la nomination per La Bella e la Bestia, alla 74esima edizione dell'Academy Awards fa il suo esordio l'Oscar al miglior film d'animazione, con la regola che nel caso in cui non vi fossero stati almeno 8 film ammissibili al premio e distribuiti in sala nell'anno precedente, il premio non sarebbe stato assegnato, per quell'anno. Tale regola è stata poi abolita nel 2019, perché vetusta e oramai inadeguata al proliferare della tecnica.
Jeffrey Katzenberg e la fredda vendetta
Se da un lato vi fosse grande soddisfazione per aver creato la categoria, che sarebbe andata a legittimare sempre di più la tecnica dell'animazione, dall'altro in molti puntarono il dito contro l'Academy: non ci sarebbe mai più stato un caso La Bella e la Bestia, perché l'esistenza di una categoria apposita avrebbe estromesso per sempre i film d'animazione dalla candidatura al premio come miglior film dell'anno. Dettagli, siamo onesti: siamo sicuri che il giorno in cui avremo un nuovo capolavoro come quello di Trousdale e Wise non ci sarà alcuna preclusione, in nessuna categoria. D'altronde - come abbiamo detto - a Toy Story 3 e Up non è stata preclusa questa possibilità. Il punto della questione è che nel momento in cui si decise di istituire il premio, la prima statuetta andò nelle mani di Jeffrey Katzenberg, che con la sua DreamWorks vide trionfare Shrek.
L'anno successivo toccò a La città incantata di Hayao Miyazaki e dello Studio Ghibli. Per i primi successi in casa Burbank bisogna attendere il 2004 e il 2005, in cui Pixar trionfa con Alla ricerca di Nemo e Gli incredibili: l'azienda fondata da Steve Jobs era già stata candidata nel 2002 con Monster & Co., cedendo però la vittoria, come visto. Non andremo ad annoverare vincitori e vinti, ma faremo una considerazione ad ampio spettro: Pixar ha trionfato agli Oscar a momenti alterni, inanellando un poker dal 2008 al 2011 (Ratatouille, Wall-E, Up e Toy Story 3) per poi tornare al premio nel 2013 con The Brave, nel 2016 con Inside Out e Coco nel 2018, fino all'ultimo premio che è del 2020 conToy Story 4.
Eppure, dicevamo che l'Oscar fosse una questione di Disney, ma dall'istituzione del premio, che sembrava esser stato fatto quasi per evitare che La bella e la bestia fosse solo un ottimo film musicale, ancora non l'abbiamo nominata: il primo successo targato esclusivamente Disney è del 2014 con Frozen, seguito da Big Hero 6 nel 2015, ben 12 anni dopo l'avvio delle danze. Nel 2017 con Zootropolis e nel 2022 con Encanto, Disney ha sparato le sue due ultime cartucce, deponendo le armi nel 2024, in cui nessun suo film è nella cinquina dei candidati. E possiamo inasprire il concetto? A parte il 2022, in cui l'Oscar è andato a Encanto - come detto - in cui era candidato anche Raya e l'ultimo drago, Disney ha saltato il 2023, il 2021, il 2020 e il 2018, con solo Ralph spacca internet candidato nel 2019. Sì, nel 2020 il lockdown ha ritardato la release di Raya, ma di Frozen II, di Strange World - Un mondo misterioso e di Wish nessuno ha visto nemmeno l'ombra a casa dell'Academy.
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Cos'è successo in Disney?
Le cause di questo evento possono essere diverse. L'arrivo di Sony è stato roboante: Spider-Man: Into the Spider-Verse e I Mitchell contro le macchine sono tra i due film d'animazione più amati dell'ultimo decennio, e dalla Disney sono fuggiti molti artisti per poter ottenere successi personali e avere libertà creativa: Sergio Pablos (Il Gobbo di Notre Dame, Tarzan, In Viaggio con Pippo) nel 2020 è stato candidato per il suo meraviglioso Klaus; Chris Williams (Big Hero 6, Oceania) nel 2023 con Il mostro dei mari si è dovuto inchinare solo a Del Toro e il suo Pinocchio, così come Glen Keane (storia del Rinascimento Disney) che nel 2021 ha raggiunto la nomination con Over the Moon.
Siamo già a due giustificazioni: l'avvento di una concorrenza sempre forte, la fuga dei creativi che avevano accompagnato Disney a dei grandi successi. Tuttavia non è solo questo: l'Oscar non è più una questione di Disney perché è venuta meno l'attrattiva per le storie che ci sono state proposte negli ultimi anni. Pixar, nel frattempo, ha saputo osare: in Toy Story 3 ci ha fatto percepire il rischio di vedere finire per sempre la vita dei nostri giocattoli; con Inside Out ha rivisto le emozioni, Red ha raccontato con sagacia l'adolescenza, Elemental (candidato nel 2024 come miglior film d'animazione) ci ha mostrato l'immigrazione e l'inclusività. Storie con le quali empatizzare, con le quali capire il mondo che ci circonda e l'incomunicabilità che spesso viviamo.
Da quest'altro lato della barricata, Wish è un film che porta a casa il proprio compito, in maniera sufficiente, ossia quello di celebrare 100 anni di un'azienda che ha fatto la storia, ma che non sta segnando il futuro. Strange World per quanto avesse un'idea di fondo molto gradevole è stato un flop sotto ogni punto di vista; il franchise di Frozen, a parte l'enorme successo commerciale, ha vissuto di un successo sorprendente per un film costruito tutto intorno a una prestazione canora e a un leitmotiv operistico, e Ralph Spaccatutto è stato "solo" un'ode al mondo nerd, strizzando l'occhio a delle tematiche di settore. Abbiamo perso l'amore impossibile di cui hanno vissuto Aladdin, Belle, Ariel, Quasimodo, o gli antagonisti con una morale tutta loro come Frollo, Scar, Jafar, Gaston, Ursula, Ade.
Nessuno dopo Dan Fogelman e il suo Rapunzel ha provato a fare qualcosa di diverso, a osare, ad avere coraggio: Bob Iger ha trasformato la Disney di Walt in un carrozzone timoroso e timorato, spaventato da ciò che può dire e fare, costretta a vivere all'ombra di sé stessa, in una mediocrità che non è più creativa, che non è più emozionante. Di conseguenza, ha alzato bandiera bianca dinanzi agli Oscar: l'Academy non è, con le sue scelte, sinonimo indiscutibile di qualità, non rappresenta la legge del cinema e di ciò che è bello o meno, ma è sempre stata una questione di Walter Elias Disney. Ora, però, non è più. In attesa di un'inversione di rotta.