Orlando, My Political Biography, la recensione: raccontarsi è il primo passo per riconoscersi

La recensione di Orlando, My Political Biography, il debutto dietro la macchina da presa del filosofo e attivista queer Paul B. Preciado per un documentario che, attraverso l'idea di scrivere lettera post-mortem a Virginia Woolf, diventa manifesto politico e umano. Al cinema.

Orlando, My Political Biography, la recensione: raccontarsi è il primo passo per riconoscersi

Ci sono dei testi che, dato la loro significatività e la capacità di precorrere i tempi, trascendono i limiti della storia che raccontano per divenire dei veri e propri manifesti. È il caso di Orlando, il romanzo del 1928 scritto da Virginia Woolf, protagonista grazie al libro di un'utopia letteraria. La scrittrice diede infatti vita ad una biografia romanzata di un personaggio maschile che nel bel mezzo del libro diventa una donna durante il sonno, attraversando in questo nuovo corpo tutti i Secoli a venire.

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Uno dei volti degli Orlando di Orlando, My Political Biography.

Leggenda vuole che Woolf sentì il desiderio di dar vita ad un romanzo del genere a causa della sua storia d'amore con la poetessa Vita Sackville-West, uno stratagemma per poter esplorare un lato della sua persona che non ha potuto vivere alla luce del sole. Quello che la scrittrice londinese non avrebbe mai immaginato è di aver creato un'opera universale, che nel costruire la vita del suo Orlando, avrebbe edificato anche quella di altre persone. Da questo assunto parte l'attivista e filosofo spagnolo Paul B. Preciado per il suo irriverente e anticonformista debutto sul grande schermo, Orlando, My Political Biography, presentato a Berlino.

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Un Orlando di Orlando, My Political Biography poco prima della metamorfosi finale.

L'idea dell'autore è quella di scrivere un'ipotetica lettera di ringraziamento alla scrittrice, che però, per essere degna di tale compito, non può contenere una sola firma, ma, bensì, quella di tutte le persone che nel romanzo si sono sentite rappresentate. Il risultato è un documentario dissacrante, kitsch, divertente, provocatorio, vero, libero e, soprattutto, dalla straordinaria componente umana. Elemento fondante di un'opera che ha un'ambizione politica, ma non si distacca mai dal vissuto di tutti coloro che hanno prestato la loro vicenda personale alla causa.

Una lettera d'amore

Non poteva essere banale l'opera prima per il cinema di una mente brillante come quella di Paul B. Preciado, personalità di spicco del mondo queer, oltre che un grande accademico ed un eminente teorico che, nel corso della sua vita, si è occupato principalmente di biopolitica e sessualità. Nel 2015 ha annunciato di aver intrapreso egli stesso un percorso di transizione. Non il tipo di persona abituata a nascondersi, insomma.

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Orlando al trucco in Orlando, My Political Biography

Un po'come il suo Orlando, My Political Biography, una pellicola che infatti fin da subito mette le carte in tavola, comunicando a gran voce allo spettatore la sua volontà di dar vita ad un viaggio all'insegna delle metamorfosi del corpo e dell'anima. Il film che, ripercorrendo l'itinerario trasformativo scritto nel romanzo di Virginia Woolf, cerca quindi di dar vita ad un'indagine sulla società contemporanea adottando come lente la letteratura. La biografia fittizia di Orlando diviene così quella reale di tutti coloro che hanno vissuto i conflitti, i desideri, i dolori, le passioni e, infine, i cambiamenti che lui per primo ha affrontato. Preciado in primis, colui che ha deciso di creare un altro manifesto in continuità con quello della scrittrice londinese. Uno che fosse in grado di connettere i vissuti degli "Orlandi del mondo" con il significato che le loro scelte assumono a livello politico in un contesto moderno, in cui i cambiamenti sono stati tanti rispetto al riconoscimento della realtà transgender e non binaria, anche se non ancora abbastanza.

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Degli Orlando in sala d'attesa.

Il risultato è una lettera d'amore post-mortem verso la scrittrice londinese, alla sua vicenda personale, alla sua arte e alla sua opera in senso più ampio e una eterna indirizzata a coloro che lottano tutti i giorni delle loro vite per trovare la forza di andare alla ricerca di se stessi in un mondo che, immerso nelle sue etichette e nelle sue categorizzazioni figlie della paura dell'ignoto e di ciò che è libero, non ha l'abilità di vederli e di accompagnarli verso il raggiungimento di uno spazio legittimo. Uno spazio dove possano sentirsi accettati, ascoltati e considerati. Come ogni altro essere umano.

Raccontare la propria storia vuoldire sopravvivere

Prendendo ispirazione in gran parte dal cinema di Jean-Luc Godard (anche in questo caso nella pellicola c'è una dichiarazione piuttosto chiara), Preciado crea un documentario quasi iperbolico, che, nel percorrere il suo viaggio all'insegna delle metamorfosi, mette in fila diversi scenari (dall'ambiente bucolico alla sala d'aspetto di uno studio psichiatrico, da teatri di posa a sale operatorie) collocando in essi una serie incredibile di volti. Per comporre il suo cast lo scrittore ha finito con il selezionare 26 persone di sesso ed età differenti(dopo un casting di più o meno un centinaio) a cui è stato chiesto di mettere in gioco la propria storia, sapientemente miscelata con quella di Orlando, che ognuno di loro è chiamato ad interpretare. Il risultato è quasi un mockumentary tra finzione e realtà.

Quello che prende forma davanti agli occhi dello spettatore è un mosaico sgargiante, colorato ed eclettico di corpi, i quali, attraverso la macchina da presa, riescono a trascendere la loro dimensione singola per divenire tasselli di un discorso concettuale molto più ampio, che li unisce dando comunque a tutti loro un posto dove sentirsi loro stessi. Il documentario di Preciado acquisisce quindi una dimensione estremamente collettiva, all'interno della quale i membri riescono ad ottenere una riappropriazione della propria libertà attraverso il racconto delle propria storie, tutte unite da quella del romanzo di Woolf. Il messaggio più bello, che salva Orlando, My Political Biography da qualsiasi tipo di retorica o morale o, anche, dalla tentazione di avventurarsi verso qualche deriva didattica, è infatti proprio quello che esalta l'importanza di raccontare la propria storia.

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Un Orlando di Orlando, My Political Biography legge la sua biografia.

Raccontarsi agli altri diventa raccontarsi a noi stessi e così raccontarsi anche alla società. L'atto stesso di raccontare noi stessi diventa il senso politico del titolo e anche ciò che giustifica il suo essere pensato come un testo audiovisivo. Il cinema permette agli e alle Orlando di mostrare al pubblico le rispettive metamorfosi, così da non nascondersi più e, addirittura, di provocare il mondo guardandolo negli occhi. Magari augurandosi di vedere presto un momento della Storia quando questo tipo di lotta non servirà più. Quando sarà possibile per tutti quanti essere riconosciuti per quello che vogliono o si sentono di essere.

Conclusioni

Nella recensione di Orlando, My Political Biography, opera prima di Paul B. Preciado, vi abbiamo parlato di un documentario irriverente e provocatorio, che attraverso la lente del romanzo del 1928 di Virginia Woolf prova a rileggere le criticità del presente, dove le persone trans e non binarie non riescono a trovare un posto che le legittimi come persone. Un viaggio all'insegna delle metamorfosi che riesce a coniugare la dimensione umana delle vicende le cast con la dimensione politica che essi acquisiscono quando riescono a raccontare la propria storia. Un metodo straordinario per non nascondersi più e riconoscersi per primi agli occhi del mondo.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
5.0/5

Perché ci piace

  • La potenza della pellicola.
  • La costruzione.
  • La prova degli interpreti.

Cosa non va

  • Non è un documentario dalla struttura classica, quindi di immediata comprensione.