Recensione La playa DC (2012)

Aiutato anche dalle buone interpretazioni di tanti giovani attori non professionisti, l'esordiente Arango documenta con uno stile realistico ed un certo distacco il disagio vissuto dai giovani afro-colombiani in una metropoli caotica e violenta.

Orgoglio afro

Bogotà, Colombia. Tomas è un giovane adolescente di colore che abita nel quartiere La Playa, dopo essere stato costretto a lasciare il proprio villaggio in seguito alla guerra e all'uccisione del padre. Come per molti altri afro-colombiani provenienti dalla costa, l'adattamento alla metropoli è particolarmente problematico: Bogotà è una città molto grande, tradizionalmente razzista e, con i suoi 2600 metri di altitudine, anche geograficamente poco accogliente, soprattutto per chi è abituato a vivere vicino al mare. Dopo essere stato cacciato di casa dal nuovo convivente della madre, Tomas decide di andare alla ricerca di un lavoro ma anche dei suoi fratelli, il maggiore Chaco, da poco tornato in Colombia dopo una parentesi nordamericana, e il piccolo Jairo, da tempo ormai immischiato nel brutto giro nella droga e con un grosso debito nei confronti degli spacciatori.

La Playa D.C., opera prima del regista Juan Andrés Arango, segue il suo protagonista attraverso una vera e propria giungla d'asfalto, una città grigia, caotica e violenta che ha ghettizzato l'intera popolazione di colore nei quartieri più poveri e che non vede di buon occhio la loro presenza in zone più prestigiose o affollate quali i centri commerciali. Chi come Chaco sembra soffrire particolarmente di questa discriminazione, e per questo non vuole a nessun costo abbandonare la sua speranza di tornare al nord, sfoggia con orgoglio le proprio radici africane attraverso vestiti sgargianti e acconciature particolarmente fantasiose.

Se Chaco decide di ripartire, e invita il fratello a seguirlo, Tomas non sembra troppo convinto: è bloccato dall'idea che il piccolo Jairo, abbandonato e dato per spacciato già da tutti, possa avere ancora una chance per redimersi e riportarsi sulla retta via; ma è anche affascinato dall'idea di poter lavorare come barbiere e disegnare egli stesso nuove acconciature. Queste "tropas", così vengono chiamate da coloro che le portano, sono per Tomas il punto di contatto tra il passato e il suo futuro, un modo per non rinnegare le proprie origini (gli schiavi infatti usavano queste strane acconciature per disegnare mappe del luogo e utilizzarle per la fuga), per distanziarsi ancor di più dai bianchi e trovare il proprio spazio all'interno di una società che d'altronde si basa tutta sull'apparenza, a partire dal colore della pelle.

Arango, aiutato anche dalle buone interpretazioni di tanti giovani attori non professionisti, documenta questo disagio con uno stile realistico ed un certo distacco; il risultato finisce così con il rasentare il documentario, lasciando lo spettatore abbastanza freddo su un argomento importante ma che forse avrebbe meritato un approccio differente.

Movieplayer.it

3.0/5