Nello scrivere questa nostra recensione di Non aprite quella porta non possiamo fare a meno di chiederci in che maniera vuole porsi questo nuovo film del 2022 disponibile su Netflix dedicato a una delle figure più iconiche del cinema horror. Descritto come il vero sequel canonico del film di Tobe Hooper del 1974, questo omonimo film (almeno nella versione italiana, in originale la leggera modifica al titolo lo rende più distinguibile) si era presentato dando la sensazione di replicare la formula di successo di un altro leggendario mostro, ovvero Michael Myers, che negli ultimi anni grazie a Jason Blum e David Gordon Green ha visto il ritorno nel grande schermo. D'altronde, almeno da quanto si era visto nel trailer, le premesse sembravano le stesse: il passaggio del tempo dagli eventi del primo film, il retcon dei capitoli successivi (compreso il sequel ufficiale di Tobe Hooper del 1986), il ritorno dei personaggi storici della saga, come la final girl Sally Hardest. Il tutto ovviamente unito alla contemporaneità che permette di inserire le nuove generazioni e la tecnologia attuale nel contesto di uno scontro tra vecchio e nuovo mondo. Ma dove la nuova trilogia di Halloween riesce a dialogare con il mito onorandone le caratteristiche, qui il risultato è un film che sembra incapace di prendere una direzione e sembra non aver per niente capito cosa rende Leatherface e Non aprite quella porta così unici e particolare.
Il ritorno di Leatherface
Siamo di nuovo, ovviamente, in Texas e quattro amici stanno viaggiando verso la cittadina di Harlow per presentare la loro avventura imprenditoriale a potenziali investitori. Infatti due di loro, Dante e Melody, sono celebri influencer che vogliono espandere il loro successo. Dante sta viaggiando con la propria fidanzata e Melody è seguita, un po' controvoglia, dalla sorella Lila, la più introversa e con uno shock che deve ancora elaborare. Arrivati nella cittadina di Harlow si accorgono che si tratta di una città fantasma, diroccata e spoglia, salvo la presenza di una donna, con un uomo misterioso, incapace di proferire parola, al suo fianco che non vuole abbandonare la propria casa. Una serie di eventi causeranno la morte della donna e il risveglio doloroso delle pulsioni del proprio protetto che si scoprirà essere Leatherface, Faccia di Cuoio. Nel frattempo, la sopravvissuta alle vicende del 1973, Sally Hardesty, ora diventata ranger texana, è in cerca del serial killer ed è pronta a vendicare i propri amici e il proprio fratello. Dopo cinquant'anni di ricerca, sta per soddisfare il suo desiderio a lungo atteso.
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Vittime di una motosega
Senza voler rovinare i risvolti dell'esile trama, possiamo dire che la scrittura di Non aprite quella porta appartiene al grado zero dell'impegno. Non tanto per il canovaccio che, in qualche modo, gli appassionati del genere si faranno bastare, quanto per la miscela e il susseguirsi di situazioni ed eventi che sembrano accadere quasi spinti da una forza superiore, senza tener conto di costruire una minima tensione drammaturgica. A partire dalle premesse, sino ad arrivare alla conclusione delle vicende, il film accumula situazioni estreme e sempre più assurde (con personaggi miracolosamente vivi quando dovrebbero essere più che morti) che mettono in luce la banalità e la superficialità dello script. Ne consegue anche una certa vacuità nell'ambientazione, più simile a una scenografia di stampo teatrale che un vero e proprio luogo nel quale perdersi. Inoltre, la regia, al netto di qualche inquadratura riuscita, non riesce a costruire l'atmosfera vincente, dando vita a un film sin troppo patinato e costruito. Rimane solo l'enorme quantità di sangue e cattiveria che straborda sullo schermo che farà felici gli amanti del gore e dello splatter, anche se rimane da chiedersi, a questo punto, come si possa così tranquillamente parlare di sequel canonico.
Un sequel necessario?
Questo Non aprite quella porta targato David Blue Garcia sembra rifarsi più all'estetica e al modo di intendere Leatherface dei sequel e dei remake che all'originale di Tobe Hooper. L'originale del 1974 aveva dalla sua parte la costruzione di un'atmosfera unica e la quasi totale assenza di sangue e violenza esplicita. Il terrore da parte dello spettatore, e il motivo per cui si parla di un capolavoro del genere, avveniva principalmente per due motivi: l'improvvisa escalation di follia in cui ciò che veniva raccontato assumeva una forza maggiore rispetto a ciò che veniva mostrato e la rappresentazione della banalità del male nella quotidianità. Per meglio dire, Leatherface non è un mostro da film horror come lo possono essere Jason di Venerdì 13 o Michael di Halloween. Non gode nell'uccidere gli estranei, ma si tratta di un istinto dovuto a un'educazione malsana di una famiglia perversa. Ma, principalmente, Leatherface fa paura perché è l'incontrollabile e nascosto uomo "comune", almeno nell'originale, poi trasformato in un serial killer che sembra godere nel versare quanto più sangue possibile. Distribuito da Netflix, questo Non aprite quella porta 2022 strizza l'occhio a un pubblico giovanile che conosce il titolo del film e lo associa automaticamente a una pellicola dai contenuti estremi, simile a quanto avvenuto nel 2003 con Marcus Nispel. Schietto ed esplicito, il film riassume brevemente i fatti di cinquant'anni prima (così da poterne evitare la riscoperta) per dare vita a un sequel che sembra appartenere a un altro universo narrativo. Leatherface diventa così uno dei tanti mostri che popolano lo schermo, autore di un massacro inesplicato e vuoto, spogliato di ogni significato e stratificazione. Come più volte avvenuto nel corso degli anni nei vari capitoli della saga, sembra mancare il vero cuore del Texas Chainsaw Massacre, una reale comprensione di quello che il franchise dovrebbe raccontare. La dimostrazione più incredibile sta nella maniera in cui viene riportato in scena il personaggio di Sally, qui interpretato da Olwen Fouere.
Personaggi o carne da macello?
Una Sally totalmente agli antipodi rispetto a quella che ci eravamo abbandonati nel 1974, nel retro del furgone che la portava in salvo dalle grinfie della famiglia Sawyer. Vendicativa, fredda e calcolatrice, la donna ha tutta l'intenzione di farla pagare cara a Leatherface. Come il resto dei personaggi del film, però, Sally perde presto le proprie luci della ribalta, dando vita a una catena di eventi che risultano sopra le righe sia per i vecchi fan (che si ritroveranno un personaggio amato ben poco approfondito) sia per i neofiti. Si tratta dell'ennesima conferma di un film che, più che costruire dei personaggi, è interessato a portare sullo schermo semplice carne da macello, che la motosega di Leatherface affetterà senza problemi. L'unica attrice di un cast quasi totalmente anonimo che riesce a spiccare e ad avere un minimo di profondità è Elsie Fisher, che supporta a dovere anche Sarah Yarkin. Va sottolineato, però, che la scrittura del film non intende caratterizzare i personaggi più di tanto. Ne fa le spese anche il Leatherface di Mark Burnham, che abbandona la goffaggine dell'originale per dare vita a un vero e proprio mostro leggendario assetato di sangue e morte.
"Sembra finto"
Non mancano riferimenti visivi al film del 1974 (che anziché dare corpo a una storia sembrano inseriti per il gusto di farlo) e qualche collegamento con la contemporaneità. Mettendo in scena una storia con protagonisti degli influencer, Non aprite quella porta poteva raccontare uno scontro generazionale e, per certi versi, lo fa. Sia chiaro: il tutto è giusto accennato superficialmente e in più occasioni il film sembra prendere le parti del passato, condannando con un certo gusto sadico i giovani. Il cuore focale del film, che non sia una semplice fiera dell'eccesso, appare quindi faticoso da trovare, ma non possiamo fare a meno di citare un momento che ben descrive il risultato finale. Durante una diretta su Instagram, che riprende Leatherface al meglio delle sue potenzialità assassine, un commento compare in sovrimpressione: "Sembra così finto". Potrebbe essere benissimo un commento di chiusura di questo film che intende inserirsi in una mitologia senza rispettarla e senza comprenderla, fermandosi alla superficie e senza donare al pubblico, di appassionati o semplici curiosi, un minimo di emozione.
Conclusioni
A conclusione della nostra recensione di Non aprite quella porta fatichiamo a trovare un vero e proprio motivo di interesse in questo sequel canonico. Poco rispettoso verso l’immaginario creato da Tobe Hooper, con una scrittura superficiale e banale, incapace di costruire tensione e tantomeno un’atmosfera adatta, questo sequel offre solo tanto sangue e violenza esplicita, svuotata di ogni contenuto. Una motosega che urla ma non taglia, dove le vittime non sono solo quei personaggi fatti di carne inconsistente, ma anche gli spettatori.
Perché ci piace
- Elsie Fisher riesce a dare un minimo di profondità al suo personaggio.
- Gli amanti del gore apprezzeranno i fiumi di sangue e l’esplicita violenza presenti nel film.
Cosa non va
- La scrittura superficiale e banale rende il susseguirsi degli eventi sempre più assurdo.
- Il film sembra non aver compreso Leatherface e il film di Tobe Hooper di cui vuole essere seguito ufficiale.
- Manca quasi ogni elemento necessario alla riuscita del film: la tensione, l’atmosfera, i personaggi, l’ambientazione.