Ironico, spigoloso e irriverente come la sua protagonista, ai limiti del grottesco tra gli improbabili dialoghi con un embrione parlante dalla lingua biforcuta (il Ninjababy del titolo) e le incursioni animate nata dalla mente di una disegnatrice "incasinata". La recensione di Ninjababy (in sala dal 13 ottobre per Tucker Film) parte da qui, dal suo essere una commedia libera e coraggiosa, romantica e tragicomica, capace di combinare insieme in un mix folle ed esplosivo volgarità e tenerezza, coming of age e riflessione sulla genitorialità moderna. La regista Yngvild Sve Flikke la scrive insieme alle sceneggiatrici Joahn Fasting e Inga Sætre a partire dalla graphic novel a cui il film è liberamente ispirato, Fallteknikk, della stessa Sætre. Un racconto anarchico e femminista che riporterà alla mente La persona peggiore del mondo di Joachim Trier, e per certi versi Juno di Jason Reitman, modelli dai quali però rimane distante per toni e stile costruendo una sua precisa identità.
Un coming of age tra realtà e animazione
Premiata come Miglior Commedia agli European Film Awards Ninjababy è viaggio di formazione e insieme racconto generazionale, ma lo sguardo sul mondo è disincantato, caotico, dissacrante come del resto il linguaggio teso, vitale e spregiudicato a cui la regista sceglie di affidarsi rimbalzando lo spettatore tra un reale scombinato e un universo fantastico fatto di disegni a carboncino e creature che prenderanno il sopravvento nella testa già ingarbugliata della protagonista. Rakel (Kristine Thorp) è una ventitreenne in attesa di capire cosa fare da grande, potrebbe voler diventare astronauta con la stessa veemenza con cui pensa ad altre infinite possibilità dalla guardia forestale all'assaggiatrice di birra o disegnatrice di fumetti. Vive con l'amica Ingrid a Oslo, ha la passione per il fumetto, la sua camera è un fiorire di "fottuti disegnini" e qualche panino ammuffito dimenticato sotto al letto da tempo immemore; è disordinata, ribelle e inconcludente come solo le ventenni sanno esserlo, "ama la birra, odia gli Abba e si ubriaca abbastanza velocemente", così le sue serate filano via tra sbornie, sesso occasionale, fantasie e allucinazioni da droghe.
La persona peggiore del mondo, la recensione: pagine imperfette di un diario bellissimo
Poi un giorno scopre di essere incinta e già di sei mesi: troppo tardi per un'interruzione di gravidanza, ma lei quel bambino che le è "piovuto in pancia" all'improvviso non lo vuole. E se all'inizio si consolerà all'idea che il padre possa essere il timido Mos, un maestro di aikido incontrato qualche mese prima, non sarà così quando scoprirà che invece il padre è l'irresponsabile Minchia Santa, play boy incallito e narcisista autorizzato da secoli di patriarcato a considerare la gravidanza indesiderata un'esclusiva della controparte femminile addossandogliene persino la colpa. Che fare quindi? Darlo in adozione? Affidarlo alla sorellastra che invece un figlio lo cerca invano da tempo? Sono gli interrogativi che affollano la già confusa testa di Rakel, sotto forma di un dialogo immaginario con il bambino che verrà: "un fottuto bambino ninja fottutamente subdolo!", una creatura dispettosa con una benda da ninja sugli occhi, che appesa ai bordi delle inquadrature le darà del filo da torcere in un continuo scambio di battute spesso ai limiti del turpiloquio.
I figli degli altri, la recensione: maternità che vieni, maternità che vai
Il racconto della maternità lontano dai cliché
Con i suoi sbalzi di umore, l'irrisolutezza, l'incedere sciatto e spettinato, l'aria confusa e con un'unica certezza, quella di non volere essere madre, Rakel distrugge il cliché della maternità come stato di grazia davanti al quale ogni donna un giorno dovrà capitolare in nome dell'amore e di un innato spirito di abnegazione e sacrificio. Ed è agli antipodi di qualsiasi stereotipo materno: la giovane protagonista (meravigliosamente interpretata da Kristine Kujath Thorp) non è pronta in quel momento ad accogliere il bambino che ha in grembo e non ha paura di ammetterlo ("sei brutto e deforme"), piuttosto pensa a come liberarsene nonostante i sensi di colpa facciano capolino anche in una donna libera come Rakel, nata e cresciuta nella civilissima ed efficientissima Norvegia. A riprova del fatto che a qualsiasi latitudine la pressione sociale esercitata sulle donne da modelli maschilisti, esiste ed è duro affrancarsene.
La scrittura è spudorata e brillante, si ride e anche spesso nelle situazioni più strampalate, mentre si mette in discussione la maternità come prerogativa esclusivamente femminile, e i ruoli precostituiti finiscono per interscambiarsi rivelando i limiti di genere. C'è spazio anche per i toni più malinconici e teneri, con Rakel che finisce per innamorarsi di quel bravo ragazzo di Mos, che "profuma di burro" e dipinge miniature, un bambino che scolora nei tratti perché stanco di lottare e un Minchia Santa in preda a mistiche redenzioni. Alla fine tutti i personaggi evolveranno, ma nei modi più imprevedibili. E lasciarsi sorprendere sarà piacevolmente liberatorio.
Conclusioni
Concludiamo la recensione di Ninjababy con la consapevolezza di trovarci davanti all’esempio perfetto di tutto quello che una commedia tra il dissacrante e il grottesco dovrebbe avere. Un film al femminile e femminista, divertente, vitale e spregiudicato come la scrittura che lo sorregge, frutto di un lavoro che ha coinvolto la regista Yngvild Sve Flikke e le due sceneggiatrici Joahn Fasting e Inga Sætre. Si ride parecchio in un racconto di formazione che ha il coraggio di smontare tutti gli stereotipi sulla maternità. La genitorialità non è innata e non è per tutti, in pochi però hanno la forza di riconoscerlo e la protagonista di questo viaggio è una di loro.