C'era una volta Nightflyers, novella data alle stampe per la prima volta nel 1980. Un anno dopo, l'autore George R.R. Martin allungò il testo su richiesta del suo editor dell'epoca (si passò da 23.000 parole a 30.000), ed è quella versione che è poi stata pubblicata nell'omonima raccolta nel 1985. Nel 1987 uscì l'adattamento cinematografico, un flop colossale (poco più di un milione di dollari al box office statunitense) al quale però il romanziere attribuisce la successiva evoluzione della sua carriera. E poi, per circa trent'anni, il silenzio, mentre Martin si concentrava quasi esclusivamente su Il trono di spade, conquistando prima i lettori e poi i telespettatori. Ora, con l'epopea di Westeros che si appresta a chiudere i battenti sul piccolo schermo (salvo i prequel de Il Trono di Spade che arriveranno in un futuro prossimo), si è deciso di rispolverare la storia dell'astronave Nightflyer - appena approdata su Netflix - e del suo equipaggio, alle prese con una minaccia a bordo mentre si recano all'incontro con una razza aliena.
Prima di approfondire gli aspetti creativi della serie, iniziamo questa recensione di Nightflyers, evidenziando che a differenza de Il trono di spade, stavolta non c'è la partecipazione diretta di Martin, legato a HBO da un accordo di esclusività (ma comunque menzionato come produttore esecutivo come spesso capita con l'autore del testo originale). E non c'è neanche il gigante della televisione via cavo, sostituito da SyFy che, dopo il trionfo di Battlestar Galactica dieci anni or sono, non ha mai veramente saputo replicare tale successo. Da notare anche la partecipazione produttiva di Netflix, che detiene i diritti internazionali dello show, disponibile sulla piattaforma dall'inizio di febbraio. Ma è degno di interesse anche lo stratagemma di messa in onda sul territorio americano: anziché trasmettere i dieci episodi della prima stagione a cadenza settimanale come da consuetudine, il canale tematico ha optato per due blocchi consecutivi dalla domenica al giovedì, dal 2 al 6 dicembre e poi dal 9 al 13. Un indice ulteriore della progressiva ibridazione delle diverse modalità di fruizione dei prodotti audiovisivi, e un esperimento intrigante per un programma che, nel bene e nel male, funziona meglio se visto in breve tempo.
Brividi elementari
Laddove la guerra dinastica tra le famiglie di Westeros ha anche l'intento di elevare un genere non sempre ben visto come il fantasy, questo nuovo adattamento dei testi di Martin rimane fieramente "di serie B": un fantahorror che vuole soprattutto intrattenere, anche a discapito di eventuali approfondimenti psicologici o filosofici (di cui ce ne sarebbero diversi, a partire dal fatto che all'origine di tutti i problemi c'è il computer di bordo). Tutto è subordinato agli spaventi (efficaci soprattutto nel primo episodio) e alla paranoia, con un ritmo incalzante che, supportato dal binge-watching (o dalla visione in un arco temporale di pochi giorni come accaduto su SyFy), dà all'operazione un gradevole sapore pulp, senza pretese particolari.
In tale ottica sorprende un po' la scelta di affidare la regia del primo episodio a un cineasta come Mike Cahill, autore di fantascienza raffinata come Another Earth e I Origins. Eppure è la scelta più sensata che si potesse fare, poiché è lui a imporre l'identità visiva dello show e quindi firmare le immagini sottilmente o apertamente inquietanti che gli altri registi devono replicare, con una discreta dose di successo, nei nove episodi successivi. Affiancato da un cast che, come lui, prende la cosa sul serio e quindi compensa le occasionali cadute di logica, egli smentisce a modo suo il luogo comune sul regista come figura insignificante in ambito televisivo (soprattutto in casi come questo, dove è proprio la scrittura ad avere le lacune maggiori).
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Un viaggio allucinante
In mezzo a tanti interrogativi su quale sia la realtà in cui vivono i protagonisti, viene da interrogarsi soprattutto su quella in cui Martin sarebbe stato in grado di lavorare attivamente allo show e andare oltre le costrizioni del testo originale, rielaborando il materiale di base in chiave più moderna sul piano televisivo, alternando entertainment e riflessione. D'altro canto è un esercizio intellettuale alquanto sterile quello di giudicare un prodotto in base ad aspettative che forse non erano mai legate alle intenzioni degli showrunner, e in termini di efficienza narrativa e stilistica questo nuovo mondo immaginato a suo tempo dal romanziere è un solido, divertente B-movie seriale. Forse non attirerà chi non è già di suo interessato all'argomento, come invece accaduto con l'universo di Westeros per coloro che snobbano il fantasy, ma data la partecipazione di SyFy è difficile pensare che il target fosse così vasto già in partenza. E ora, grazie a Netflix, altri telespettatori in cerca di brividi semplici ma efficaci possono partecipare a questo viaggio allucinante e allucinato.
Movieplayer.it
3.0/5