Recensione Bubba Ho-tep - Il re é qui (2002)

L'ennesima dimostrazione di come attraverso la chiave popolare e anti-intellettuale del genere, mescolante con un alto tasso di entertainment, si possano veicolare riflessioni non banali su temi intimi, profondi ed esistenziali.

Never, but never fuck with the King!

Una casa di riposo piuttosto fatiscente alla periferia di una qualche cittadina del Texas. Tra gli ospiti della struttura, un anziano che altri non è (o crede di essere?) che il grande Elvis. E a fargli degna compagnia un altro vegliardo - dalla pelle nera... - convinto di essere John Fitzgerald Kennedy. I due, che fino a poco tempo prima avevano avuto poco o nulla a che fare l'uno con l'altro, si troveranno a formare un improbabile team con lo scopo di combattere il fantasma di un faraone egiziano che per una serie di fortuite circostanze è giunto ad infestare l'ospizio.

Questa, ridotta all'osso, è la trama di Bubba Ho-tep, vero e proprio cult movie firmato da Don Coscarelli - regista della serie di Fantasmi - che ne ha anche scritto la sceneggiatura a partire dall'omonimo romanzo di [FILM]Joe R. Lansdale[/PEOPLE]. Una trama folle, surreale ed improbabile, ma allo stesso tempo impregnata fino all'osso dalla cultura popolare statunitense del XX secolo: una combinazione che la rende tanto folle quanto interessante e avvincente.
Se quindi la storia risulta essere già da sola un valido e forte motivo d'interesse per Bubba Ho-tep, a portare ulteriore pregio al film di Coscarelli è il suo protagonista: uno straordinario Bruce Campbell, che veste i panni di un Elvis (vero o presunto tale) assolutamente memorabile. Un Elvis invecchiato e imbolsito, minato nella salute e (soprattutto) nella sua virilità da un'infezione provocata da una vecchia frattura al bacino mai curata correttamente. Un Elvis da un lato piegato dall'altro ammorbidito dal peso degli anni e della malattia; più umile, più altruista, molto meno "The King " di quello che noi tutti conosciamo.
Campbell - spalleggiato da un ottimo Ossie Davis che veste i panni del presunto JFK - dà vita a scene cult ed esilaranti come quelle della lotta con uno scarafaggione gigante (in qualche modo collegato col fantasma egizio) o come quelle delle medicazioni, supportato dalle battute regalategli dalla sceneggiatura.

Ma al di là di tutto il divertimento garantito da un film assolutamente sregolato come questo, è sorprendentemente un altro quello che riteniamo essere il vero, grande merito di Bubba Ho-tep: il modo in cui riesce a trattare in maniera delicata e commovente il tema della vecchiaia. Prima ancora che una rielaborazione della cultura pop a stelle e strisce, prima che un horror ironico e sopra le righe, quello di Coscarelli è infatti un film sull'essere anziani, sulle riflessioni e sui limiti che questo impone, sull'atteggiamento da tenere nei confronti della Vita quando questa volge al termine e nei confronti di un passato vissuto inevitabilmente con profonda nostalgia.

Oltre alla mano del regista, buona parte dell'efficacia con cui il film tratta questi temi deriva dallo straordinario senso di dignità donato da Campbell - ma anche da Davis - al suo personaggio. I protagonisti di questo film sono relitti abbandonati da tutti, non creduti e incompresi (a torto o a ragione che sia), rimasti soli ad affrontare un fantasma (del passato? del futuro?) determinato a succhiargli via quel poco di vita rimasta loro.
E la determinazione, il coraggio, la dignità e lo struggimento con i quali i due protagonisti lottano fino alla fine con il loro nemico, per preservare quest'ultimo sgocciolo di vita, loro e delle persone che condividono il loro destino, sono coinvolgenti e commoventi. Così come coinvolgente e commovente è il finale del film e l'intenso monologo di Bruce "Elvis" Campbell.

In conclusione, Bubba Ho-tep è un ottimo film, cui legittimamente è stata assegnata l'abusata etichetta di cult, ma soprattutto è l'ennesima dimostrazione di come attraverso la chiave popolare e anti-intellettuale del genere, mescolante con un alto tasso di entertainment, si possano veicolare riflessioni non banali su temi intimi, profondi ed esistenziali.

Il titolo dato a queste righe è una battuta pronunciata da Elvis nel film (N.d.A.).