Recensione The Way We Are (2008)

Girato interamente in digitale e con un budget limitato, The Way We Are stupisce per la straordinaria capacità di raccontare la moderna Hong Kong e i suoi abitanti, ricorrendo a uno stile minimalista e poetico che cattura piccoli istanti di quotidianità.

Neorealismo in salsa cantonese

L'ultimo film della regista Ann Hui, "madrina" della New Wave hongkonghse, presenta una forte continuità con il suo lavoro immediatamente precedente The Postmodern Life of My Aunt, realizzato con capitali cinesi. In entrambi i casi si parla di donne anziane, della loro solitudine e della loro incapacità ad adattarsi ai ritmi delle nuove metropoli e al mutamento dei costumi. Mentre nel precedente lavoro era ambientato a Shanghai, il cuore di quest'ultimo film è Tin Shui Wai, città satellite di Hong Kong in cui risiede una vasta comunità di immigrati cinesi. Protagonista di questa storia è la vedova Kwai, che vive sola con il figlio adolescente Cheung Ka-on. Le loro esistenze scorrono monotone esattamente quanto quelle della vicina di casa, un'anziana signora che vive in completa solitudine e ha perso tutti i legami con la propria famiglia. Ancora una volta al centro della poetica della regista si situano figure femminili che conducono un'esistenza minimalista eppure eroica, e che affrontano un mondo alieno e spesso ostile con il quale non riescono più a rapportarsi.

Eppure, se la regista affronta sempre le medesime tematiche (il ritratto post-moderno di una città, il conflitto tra tradizioni del passato e nuovi stili di vita delle giovani generazioni) The Way We Are e The Postmodern Life of My Aunt, pur impiegando entrambi le tecniche del nuovo cinema digitale, non potrebbero essere due film più diversi: in essi si rintraccia tutta la differenza che esiste tra le produzioni "patinate" cinesi e l'impronta realistica che la regista ha sempre perseguito a Hong Kong. Quest'ultimo lavoro, infatti, realizzato con un budget risicato e prodotto nientemeno che dal magnate dei film commerciali ed exploitation di Hong Kong, il produttore Wong Jing, utilizza con una grande consapevolezza e con estremo rigore le videocamere digitali per fotografare il vero volto della città di Hong Kong e dei suoi abitanti. In questo senso si può parlare di un vero e proprio ritorno al passato della regista, che ha esordito realizzando serie televisive per la rete hongkonghese TVB caratterizzate da un'impostazione documentaria e dal forte impianto sociale.

La retrospettiva che il Far East Film Festival 2009 dedica proprio ai lavori televisivi di Ann Hui è da questo punto di vista illuminante: sembra che non sia passato neanche un anno tra gli episodi di CID e di ICAC girati nella seconda metà degli anni Settanta e The Way We Are (anche quest'ultimo pensato per essere trasmesso in tv). In entrambi i casi la regista sfruttava al massimo i ristretti mezzi a disposizione per realizzare produzioni dotate di un'estetica rigorosa e di una grandissima raffinatezza formale. Come ha confermato anche Ann Hui durante l'incontro con il pubblico, la scelta del digitale è deliberata e consapevole: consenta di approcciarsi alla realtà in maniera meno intrusiva, quasi come se si stesse girando un documentario, e di captare la reale essenza di personaggi e luoghi. The Way We Are lascia sbalorditi per la capacità di catturare gli stati emotivi e le dinamiche relazionali attraverso i piccoli gesti della quotidianità. I veri protagonisti del film sono gli oggetti e i luoghi, filmati con un gusto per la messa in scena che solo i grandi registi formatisi nel passato riescono ancora ad avere. Ann Hui, assieme a un altro esponente della New Wave, Patrick Tam, omaggiato due anni fa dal Far East Film Festival, è rimasta una dei pochi depositari della tradizione del passato in grado di scandagliare in maniera critica il presente, senza mai perdere la voglia di sperimentare tecniche inedite e innovative.