Nel regno del Re Leone
In una terra vasta e selvaggia a pochi chilometri dal confine con la Tanzania vivono due clan avversari. Fang, anziano e imbattuto leone del sud, e Kali, combattivo rappresentante del nord affiancato dai suoi quattro figli, sono i capostipiti di regni fino ad ora incontrastati divisi solamente dalle turbolente acque del Mara. Fondato su saldi legami famigliari il primo quanto spinto da un desiderio di rivalsa il secondo, i due branchi rappresentano l'immagine fiera e orgogliosa di un territorio che rintraccia nel coraggio delle sue creature un'epica naturale pronta a riconoscere un solo ed unico signore. Inevitabile, dunque, lo scontro tra i due leader per aggiudicarsi la corona su tutta la zona del Masai Mara, ma quando il pericolo si fa pressante e la sconfitta sembra inevitabile a mantenere alta la dignità di una famiglia si erge il valore delle femmine, capaci di dare vita all'eterno dramma della maternità e al suo dolore. Un coraggio rappresentato dalla leonessa Layla, pronta a morire solo dopo aver messo in salvo l'unica figlia, e dal ghepardo Sita, ostinata sentinella dei suoi tre piccoli sopravvissuti all'attacco delle iene. E così, mentre i maschi ruggiscono tutto il loro virile bisogno di supremazia, le compagne fanno sfoggio di una inarrivabile capacità di sacrificio e dedizione, sacerdotesse supreme del cerchio della vita.
Il successo mondiale ottenuto da Il Re Leone nella prima metà degli anni novanta, con tanto di successivo musical ancora in scena a Londra e Broadway, deve aver definitivamente convertito la Disney al fascino imponente dei felini e alla loro efficacia sul grande schermo. Una bellezza e una nobiltà che, questa volta, sono valsi ai fieri dominatori della Savana e alla loro naturale fotogenia un ruolo da protagonisti assoluti in African Cats, documentario dal carattere naturalista prodotto da Disneynature con il nobile intento di sostenere l'attività svolta dall'African Wildlife Foundation, impegnata nella tutela della sopravvivenza delle specie in estinzione. Diretto da Keith Scholey e Alastair Fothergill, il film rientra perfettamente in una tradizione avviata dallo stesso papà di Topolino che, rimasto affascinato dai misteri dell'universo animale dopo un lungo viaggio in Alaska, decise di cimentarsi in una serie di tredici documentari esplorativi. Certo è che da La natura e le sue meraviglie (1948-1960) ai più attuali Earth - La nostra terra (2009) e Oceans (2010) molto è accaduto nell'ambito del mezzo tecnico come nella gestione narrativa. Si tratta soprattutto di un'esperienza drammaturgica che, dopo aver raggiunto livelli sempre più raffinati nell'animazione, trasforma un prodotto dal linguaggio storicamente informativo in un'esperienza visiva dal sicuro impatto emotivo. Per questo motivo, più dell'indiscussa bellezza delle immagini e della sofisticata camera Phanton ad alta velocità utilizzata per catturare le migliori performance di un cast selvaggio e indomabile, a traghettare definitivamente African Cats fuori dai pericoli di un reportage in stile National Geographic è la messa a fuoco di una chiara propensione per il dramma di cui la natura sembra essere abbondantemente dotata.
Così, perseguendo la ricerca dell'emozione e dell'empatia, la quotidianità del branco, le tecniche di caccia, la difesa dei cuccioli e la supremazia del maschio dominante vengono spogliati del significato antropologico per essere arricchiti di un sentimentalismo animale sicuramente più nobile di quello umano. In ugual misura la Savana, perdendo la sua connotazione strettamente geografica, si riscopre teatro di un'intricata vicenda dinastica, amaro esilio per un re deposto e solitario rifugio per una madre morente. Un copione perfetto, dunque, che miscela la giusta dose di romanticismo, action e commozione per catturare l'attenzione di una audience altrimenti refrattaria allo stile documentaristico.
Ed è proprio attraverso la ricomposizione narrativa del dramma affidata alla voce-off di Claudia Cardinale (nella versione originale è l'attore Samuel L. Jackson ad accompagnare lo spettatore attraverso le vaste estensioni del Masai) che il documentario lascia spazio alla narrazione cinematografica senza sovrapporsi mai alla fiera e ruggente sonorità del leoni. Perché, nonostante una sceneggiatura accuratamente scritta, il buon montaggio ed una visione chiara del prodotto desiderato, i felini e la loro selvaggia naturalezza rappresentano il cuore del progetto a dimostrazione che spesso la realtà riesce ad essere più sorprendente di un raffinato effetto speciale.Movieplayer.it
3.0/5