E' un film curioso, singolare ma apprezzabile, Nauta. Per il suo esordio alla regia, Guido Pappadà sceglie di girare una sorta di road movie in cui alla strada si sostituiscono le sconfinate acque marine, e in cui un viaggio alla ricerca di un sogno (e forse di un'utopia) cementa il rapporto tra i suoi protagonisti, fa nascere e rinascere amori, e fa persino credere che i miracoli, a volte, accadono. Un'opera certo non perfetta, a tratti discontinua e con dialoghi non sempre all'altezza, ma da premiare per l'idea e (in gran parte) per la realizzazione. Del film e dei retroscena della sua realizzazione ha parlato lo stesso regista alla conferenza stampa romana, insieme al produttore Vincenzo Di Marino e agli attori David Coco, Luca Ward, Massimo Andrei (anche co-sceneggiatore), Elena Di Cioccio e Vincenzo Merolla.
"E' un'opera prima, frutto di un'idea che mi è venuta quando ci sono stati i primi sentori del disastro ambientale di Napoli", ha esordito Pappadà. "Quella realtà terribile mi spinse a fare un film che avesse una struttura fiabesca, che spingesse a credere nel sogno. Un'opera prima, inoltre, poteva essere un buon modo per giocare anche semanticamente, visto che nessuno si aspetta che tu faccia una determinata scelta piuttosto che un'altra. E' un film che ha una trama avventurosa, che si sviluppa come un road movie e ha un finale romantico. Girarlo quasi interamente in barca è stata una sfida a livello di regia, un'impresa tecnicamente non facile. L'abbiamo girato interamente in digitale, e nelle scene notturne c'è molta computer grafica."
Qualcuno ha chiesto al regista se nel film non ci sia qualche concessione di troppo al grande calderone della new age. "Beh, il film è ambientato nel '93, e allora i temi di una rigenerazione con l'avvento del nuovo millennio erano molto sentiti", ha risposto Pappadà. "Comunque noi non ci siamo inventati nulla, ci sono testi che parlano proprio del fenomeno descritto nel film. In ogni caso, nel film c'è soprattutto la metafora del viaggio come raggiungimento dei propri obiettivi". Luca Ward ha poi parlato delle sue affinità col personaggio da lui interpretato, e della sua passione per il mare. "Chi sceglie una vita in mare è sempre un uomo in fuga, ma con dei legami che si lascia dietro. Spesso questi legami sono con i propri figli, come nel caso del mio personaggio: lui ha una specie di spada di Damocle sopra la testa. E' un uomo in fuga, sì, ma fino a un certo punto. In generale, quello dell'uomo con il mare è un rapporto di grande movimento, visto che solo nel secolo scorso siamo riusciti a scendere sott'acqua. Quella, per l'uomo, è stata la scoperta di un nuovo mondo: diverso dal nostro, ma con molte cose che ci accomunano. Il mare ci dà innanzitutto il cibo, ci sono intere comunità che vivono solo o quasi solo di pesca." "Anch'io sono molto legato al mare, visto che praticamente ci vivo", gli ha fatto eco il regista. "E' la più grande autostrada per ogni parte del pianeta. Ha la caratteristica di non farti vedere il cambiamento, mentre lo attraversi: a differenza di quanto accade per la strada, il panorama durante la navigazione è sempre identico. Poi, di colpo, ti ritrovi in un luogo completamente diverso." Sulla peculiare fotografia del film, e sulla predominanza dei toni di giallo e blu, Pappadà ha spiegato: "Non è una scelta che abbia un significato preciso, semplicemente sono due colori che rappresentano rispettivamente il caldo e il freddo, e inoltre sono quelli più ricorrenti in una situazione di mare. L'atmosfera fiabesca del film, inoltre, ci ha spinto a caricare i toni della fotografia." Un'ultima battuta, il regista l'ha riservata al tono fiabesco del film, e al suo messaggio che sprona a credere nei sogni: "Lo ritengo molto importante, l'intento del film è esattamente quello. Il genere umano sarebbe finito, senza la fiducia nei sogni. Se smettessimo di sognare, il mondo diventerebbe molto più grigio".