Il tritacarne della commedia natalizia made in Italy ha messo in moto i suoi ingranaggi. E come da tradizione scopre i suoi ingredienti puntando al calderone delle trovate comiche di fine anno, per recuperare al botteghino un'annata quasi fallimentare in cui il cinema italiano, escludendo rare eccezioni, ha continuato a battere la strada della commedia ormai abusata, usurata e svuotata della sua vis comica.
Nel ricettacolo ci finisce anche la formula collaudata, sicura e identica da ormai 35 anni del 'cinepanettone', che questa volta si affida alle stramba e pecoreccia brigata di Natale da chef di Neri Parenti.
"La cucina è sempre la stessa: una storia divertente, degli attori comici, argomenti leggeri che possano piacere a un pubblico vario sia da un punto di vista regionale che geografico, racconta il regista di alcuni dei migliori cult della gag fracassona, da Fantozzi ai cinepanettoni con la coppia Christian De Sica-Massimo Boldi.
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Una ricetta anacronistica
La sensazione è che Natale da Chef, che di natalizio ha solo il riferimento del titolo, sia davvero il meno riuscito di quella lunghissima sequela di disavventure 'cinepanettonesche' che negli anni ci hanno portato in giro per il mondo. Anacronistico, becero e di cattivo gusto, incapace di strappare la grassa risata che ci si aspetterebbe e mancando così l'obiettivo più elementare: "far divertire il pubblico", come ricorda Boldi, che qui interpreta Gualtiero Saporito, pessimo chef convinto però della sua arte culinaria. Peccato non riesca a convincere gli avventori del ristorante in cui lavora insieme alla moglie, anche se la sua tenacia sta per essere premiata.
Insieme a un aiuto cuoco che non sente i sapori (Biagio Izzo), un sommelier astemio (Dario Bandiera) e una pasticcera che "esce" dalle torte invece di prepararle (Rocio Munoz Morales), Gualtiero verrà ingaggiato dal losco proprietario di una ditta di catering in bancarotta, per 'perdere' la gara di appalto indetta per il pranzo del prossimo G7 a Trento. Da qui si innesca una rocambolesca sequenza di scambi di persona, ribaltamenti di ruoli, gag fisiche ed equivoci che si limita a riproporre stereotipi o battute di bassissima lega, che non fanno più ridere neanche quando, come nella tradizione del genere, si insiste sull'umorismo scatologico: la scena di Biagio Izzo che scambia la cacca di capra per olive, riesce solo a essere imbarazzante perché fuori dal proprio contesto, da quella dimensione satirica e carnevalesca di una certa tradizione comica colta.
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Lo sberleffo dei potenti
Non si tratta di cultura pop vituperata da snobismo intellettuale, ma di un prodotto ingrigito dal tempo e infarcito di momenti comici infilati alla rinfusa; tutto attorno è un incalzare di peti, vomitate, ricette nauseabonde, intrugli schifosi e volgari allusioni, da "Lei ha proprio un bel cu...rriculum!", "Do sta la maiala?", "A furia di succhiarmelo me l'ha allungato!", fino al "Non c'è cosa più divina che ciularsi la nonnina!" o "La sminchio tutta!" del sommelier Bandiera, che per vincere la gara tenta di portarsi a letto la "vecchiaccia" (Milena Vukotic che fa appello a tutta la grazia che ha caratterizzato il suo cammino artistico), sfoggiando così tutta la sua triviale virilità.
Un'accozzaglia dei peggiori luoghi comuni sull'essere donna, che qui è o vecchia e rintronata, o sfacciatamente bella e incapace di fare qualsiasi altra cosa se non uscire dalle torte e riempire di corna il povero imbecille di turno, Felice Becco, un tassista occhialuto e con tanto di denti finti (Paolo Conticini).
Natale da chef riesce a riprendersi solo sul finale ritrovando i toni della demenzialità con un sano sberleffo dei potenti della terra, avvelenati dai piatti del pessimo chef e ritratti mentre in preda a vomitate fantozziane si contendono il WC, con Gentiloni che dà della "culona" ad Angela Merkel.
Movieplayer.it
2.0/5