La storia di come si sia arrivati a Napoli - New York forse è ancora più avvincente e sorprendente del film stesso. Arrivato in sala, il nuovo lavoro di Gabriele Salvatores è infatti un passaggio di testimone con Federico Fellini. Il regista di 8 e 1/2 e Amarcord ha scritto questa sceneggiatura quando ancora non aveva esordito dietro la macchina da presa. Rimasta dimenticata per anni in un baule dello studio legale Pinelli (lo script è firmato anche da Tullio Pinelli), è arrivata quindi, quasi come fosse destino, nelle mani di Salvatores, che se ne è subito innamorato.
L'autore di Mediterraneo mancava dalla sua Napoli dai tempi di Denti, uscito nel 2000, e quindi ha preso come un segno il regalo di questo racconto che parte proprio dalla città in cui è nato, e che voleva finalmente tornare a raccontare. Siamo negli anni '40, precisamente nel 1949: il dopoguerra italiano, una volta andati via gli Americani, è stato durissimo. Lo vediamo attraverso gli occhi grandi e spalancati di due bambini a cui sono rimaste soltanto le macerie: Carmine e Celestina. Nemmeno 20 anni in due, hanno conosciuto principalmente fame e miseria.
Decidono quindi di salire su una nave, la Victory, per andare a "Nuova Yorche", come la chiamano loro, e trovare la sorella della piccola, Agnese, che ha lasciato l'Italia tempo prima per seguire la promessa di matrimonio di un soldato. Durante la traversata finiscono sotto l'ala protettiva del commissario di bordo, Domenico Garofalo (Pierfrancesco Favino), e del cuoco, George (Omar Benson Miller).
Insomma, chi ha detto che per parlare di qualcosa d'importante bisogna fare soltanto film tragici? Napoli - New York, al contrario dell'idea originale di Fellini, che aveva scritto una sceneggiatura più neorealista, è invece una favola. Ed è assolutamente ciò di cui abbiamo bisogno oggi.
Napoli - New York è un inno all'empatia
A interpretare i due protagonisti sono gli esordienti Antonio Guerra e Dea Lanzaro: quando si dice un casting fatto bene. Entrambi bravissimi, hanno delle facce che bucano lo schermo e in cui si compie una misteriosa magia: possiedono l'incanto dei bambini, ma allo stesso tempo sembrano già adulti. Gran parte della forza di Napoli - New York si deve proprio a loro: intelligenti, con la battuta sempre pronta e pieni di risorse, sono due personaggi che creano immediatamente empatia con lo spettatore. Quando viene detto loro che fare i clandestini è un crimine, la piccola non ci pensa un secondo a dire: "Anche morire di fame lo è". La forza disarmante della verità.
Se ne accorgono presto anche tutti gli adulti che li incontrano che, colpiti dalla loro ostinata volontà di sperare in un futuro migliore, decidono di aiutarli. Mentre scriviamo queste parole però ci sembra di sentire una parte del pubblico dire: "Ma è un film buonista, non andrebbe mai così nella vita reale". Molto probabilmente è vero, ma in tempi come i nostri, in cui l'empatia e la solidarietà non vanno più di moda (soprattutto sui social), un racconto a misura di bambino, per nulla cinico e che ci ricorda come aiutare il prossimo non sia qualcosa per stupidi (o con cui farsi pubblicità), scalda il cuore.
Quando i migranti eravamo noi
Che poi, nonostante sia dichiaratamente un film per famiglie perfetto per Natale, Napoli - New York, con semplicità e senza urlare, illumina concetti decisamente importanti. Se infatti da una parte i personaggi italiani fanno squadra aiutandosi l'un l'altro, dall'altra tutti quelli americani tranne George (e non è affatto un caso che sia afroamericano) hanno un disprezzo e un razzismo che fa inorridire verso quelli che sono, di fatto, i nostri bisnonni e nonni. I termini con cui vengono descritti i piccoli protagonisti ci suonano intollerabili: sporchi, "africani", ladri, inferiori. Eppure sono gli stessi con cui vengono apostrofati oggi i migranti, anche dai nostri politici. Esattamente come quando i migranti eravamo noi. Evidentemente, 75 anni dopo, l'abbiamo dimenticato.
E invece il film di Salvatores ci suggerisce proprio che bisognerebbe essere meno egoisti, meno chiusi. Come capisce anche il personaggio di Favino, al solito molto bravo, e questa volta impegnato a recitare in un inglese sporcato dal dialetto italiano, lui che invece è sempre convincente anche con la pronuncia british. Forse oggi, in questi tempi bui, soltanto al cinema si può credere ancora in un futuro fatto di sentimenti disinteressati e sinceri. Del resto, come si vede nel film, il cinema, se si vuole, può essere la casa di tutti, proprio come accade a Celestina, che entra in una sala in cui stanno proiettando Paisà di Rossellini e si riconosce in quelle immagini. "Se puoi sognarlo puoi farlo" diceva Walt Disney. Salvatores sottolinea invece come l'importante oggi sia continuare a sognare comunque, anche se il "sogno americano" non ha più lo splendore di un tempo.
Conclusioni
Partendo da una sceneggiatura di Federico Fellini rimasta nascosta per anni, Gabriele Salvatores torna nella sua Napoli, per poi partire verso l'America. Grazie a una storia a misura di bambino, una favola adatta a tutta la famiglia, il regista si interroga sul senso del cinema oggi e su come sia importante non essere sempre cinici, riscoprendo anche i buoni sentimenti grazie a un film puro e pieno di speranza come questo. Favino come al solito una certezza e notevolissimi i giovani protagonisti esordienti, Antonio Guerra e Dea Lanzaro: due facce che bucano lo schermo.
Perché ci piace
- Le facce e la bravura dei due giovani protagonisti, entrambi esordienti, Antonio Guerra e Dea Lanzaro.
- La prova di Favino, come al solito una garanzia.
- La prova di Omar Benson Miller, che illumina lo schermo con gli occhi.
- Il cameo di Antonio Catania: breve ma molto gustoso.
- L'intelligenza della scrittura, che dice cose importanti usando la fiaba.
Cosa non va
- Alcuni effetti speciali non sono sempre all'altezza: in diverse scene si può capire perfettamente l'uso del green screen.
- Chi preferisce toni più cinici forse non apprezzerà la voglia di buoni sentimenti di questo film.