Brighton, anni Cinquanta. I giovani Tom, poliziotto, e Marion, insegnante delle scuole elementari, sono molto diversi ma tra loro sembra essere scoppiato un platonico colpo di fulmine. I due infatti cominciano a frequentarsi e paiono inseparabili, facendo presagire un imminente matrimonio e un futuro roseo.
Come vi raccontiamo nella recensione di My Policeman quell'idillio apparentemente inattaccabile viene incrinato dall'entrata in scena di Patrick, curatore in un museo. Questi viene introdotto da Tom e diventa una presenza costante, dando inizio ad un insolito triangolo. Inoltre il nuovo arrivato e Marion sembrano accomunati da una grande passione per la cultura, che rischia spesso di isolare Tom e metterlo in secondo piano. Ma la realtà è ben diversa e Marion lo scoprirà ben presto a proprie spese: Patrick infatti è omosessuale e ha una relazione clandestina proprio con Patrick, da tenere assolutamente nascosta in un periodo storico e sociale dove essere gay poteva costare caro...
Ieri, oggi e domani
La storia è raccontata su due piani temporali, con gli anni di gioventù raccontati in lunghi flashback nei quali i diretti protagonisti ormai anziani ripercorrono quanto vissuto, le bugie che hanno incrinato il loro legame e quell'atipico e ambiguo ménage à trois che nascondeva mille sfumature.
In un Inghilterra dove gli omosessuali rischiavano l'arresto per atti osceni in luoghi pubblici se scoperti in atteggiamenti intimi o dove anche una semplice denuncia anonima era una sorta di condanna a vita, con un'etichetta ormai difficile da togliere, solo mentire agli altri e a se stessi era l'unico modo per vivere liberamente il proprio amore. Anche a costo di tradire la fiducia delle persone amate...
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Amore e amore
In My Policeman non c'è nessun vincitore, ognuna delle tre punte di questo triangolo romantico ha colpe e ferite, figlie di un tempo e di un conformismo che rifiutavano qualsiasi tipo di diversità. Il film cerca a più riprese di contestualizzare la storia nel relativo periodo, con una ricostruzione ambientale più che discreta, ma non riesce sempre a scandagliarne le contraddizioni con la giusta incisività.
L'omonimo romanzo alla base, pubblicato nel 2012 dalla scrittrice britannica Bethan Roberts, era più lucido e attento nello scavo psicologico, che qui si perde invece in soluzioni spesso gratuite - le scene di sesso abbondano - e riduce il surplus emotivo a qualche accenno di prevedibile retorica, crescente con lo scorrere dei minuti e l'alternanza tra presente e passato.
Alti e bassi
Il cast può contare sulla presenza della pop-star Harry Styles, recentemente alla ribalta sul grande schermo con il controverso Don't Worry Darling, nella parte del poliziotto del titolo, uomo conteso tra la timida e ingenua maestrina di Emma Corrin e l'ambiguo terzo incomodo di David Dawson, il più convincente insieme a un Rupert Everett che ne veste i panni da anziano. Ma pur a dispetto di interpretazioni più o meno riuscite, si ha l'impressione che a My Policeman manchi qualcosa per spiccare effettivamente il volo e trascinare il pubblico in questa love-story "universale", dove i sentimenti non hanno - o meglio non dovrebbero avere - confini.
Don't Worry Darling, la recensione: sotto il vestito niente
Il regista Michael Grandage, dichiaratamente omosessuale e quindi alle prese con una storia che lo riguarda da vicino, non riesce a imprimere il necessario carattere a una narrazione che procede per inerzia e si rende più prevedibile del previsto, smussando il lato emotivo in favore di un approccio didascalico, privo di quei sussulti che erano necessari in una vicenda così torbida e delicata al contempo.
Conclusioni
Un poliziotto, una maestra e un curatore di musei: un triangolo il loro che si ammanta di ambiguità e bugie nell'Inghilterra degli anni Cinquanta, dove l'omosessualità era un reato e dichiarare le proprie inclinazioni era assai pericoloso. Come vi abbiamo raccontato nella recensione di My Policeman, l'adattamento dell'omonimo romanzo di Bethan Roberts risulta troppo anonimo per esaltare le ambiguità di un ménage à trois a cavallo tra i decenni, con l'alternanza tra il presente senile e la gioventù del passato che rende il racconto più floscio e prevedibile, con un cast in cui brillano soltanto David Dawson e un dismesso Rupert Everett.
Perché ci piace
- David Dawson è intenso e credibile in un ruolo non semplice.
- Discreta ricostruzione d'epoca.
Cosa non va
- La sceneggiatura non trova la giusta chiave di lettura nel leggere i personaggi.
- Una regia stanca che non riesce a trasmettere la necessaria carica emotiva.