Tra i primi colpi al cuore del Torino Film Festival 2020 c'è il documentario di Barbara Cupisti, My America, che passa in rassegna alcuni mali degli Stati Uniti, paese più ricco e democratico del mondo occidentale - sulla carta, almeno - ma roso da contrasti, violenza e disuguaglianze. My America è una trilogia di capitoli (quadrilogia, in realtà, visto che un capitolo è stato momentaneamente scorporato per motivi di lunghezza) che affrontano il tema della diffusione delle morti giovanili per armi da fuoco, degli homeless americani e degli immigrati irregolari che dal Messico attraversano la frontiera focalizzandosi sulle associazioni e sui movimenti spontanei che provano ad arginare questi drammi.
La viareggina Barbara Cupisti si collega via streaming dalla sua casa in Virginia, non lontano da Washington DC, dove vive da sette anni. La documentarista ha appena fatto ritorno da un viaggio coast to coast insieme al figlio. Mentre parla del suo ultimo lavoro, è un fiume in piena: "L'idea da cui è partito il progetto era quella di dividere il film in episodi in modo da permettere anche una fruizione singola. Chi conosce i miei lavori sa quanto ami incrociare le storie, ma in questo caso c'era bisogno di chiarezza".
Viaggio tra le armi da fuoco e gli homeless, l'altra faccia dell'America
My America, produzione Clipper Media con Rai Cinema, è uno schiaffo in faccia a chi ancora rimane avvinghiato al sogno americano mostrandone il lato oscuro, ma non è un film privo di speranza, anzi, le interviste ai volontari e alle persone che si impegnano quotidianamente per alleviare le pene di chi soffre rivelano la sensibilità della regista, sempre attenta al mondo che la circonda. Focus del primo capitolo del documentario, che dà il titolo all'intero film, sono le stragi nelle scuole, in particolare quella avvenuta in Florida, presso la Marjory Stoneman Douglas High School di Parkland, nel 2018 che ha originato il movimento March For Our Life. Il segmento si apre con il video girato dal killer 19enne mentre si prepara all'assalto per poi mostrare le immagini degli studenti terrorizzati: "March For Our Life è nato proprio da lì. In sole tre settimane gli studenti hanno organizzato una marcia in tutte le più importanti città americane. Io ho partecipato a quella di Washington DC. Milioni di ragazzi, ma anche genitori e adulti hanno marciato insieme per chiedere maggior controllo sul commercio delle armi da fuoco. Questo movimento, che è cresciuto nel tempo, ha contribuito alla vittoria di Joe Biden e combatte per modificare la mentalità americana secondo cui l'individuo ha diritto di difendersi da tutto, anche dallo Stato, con il possesso e l'uso delle armi. Ma il merito più grande di March For Our Life è stato quello di creare un ponte di comunicazione tra i ricchi ragazzi bianchi e i ragazzi neri o latini che vivono nelle borgate più violente di città come Chicago".
Barbara Cupisti ringrazia il figlio che vive a Los Angeles e le ha permesso di conoscere la realtà di Skid Row, area nei pressi di Downtown che dà il nome al secondo episodio di My America: "Una notte mio figlio mi ha portato in questa zona e sono rimasta sconvolta. Avevamo fatto un viaggio nei campi profughi in Kenya, poi ho scoperto che al centro di Los Angeles c'è un campo profughi di homeless a pochi isolati da Hollywood Boulevard. Tantissimi americani non ne hanno idea, neppure colleghi documentaristi. Negli USA i senza tetto sono ovunque, a New York ce ne sono molti, ma LA ospita la comunità è più estesa. Molti sono veterani che hanno avuto problemi mentali, ovviamente convergono lì per via del clima temperato e sono una vera e propria comunità".
Nel deserto della morte in cerca di redenzione
L'ultimo capitolo di My America, Wesdnesday Samaritans, è ambientato in Arizona. Come spiega la Cupisti, "ho conosciuto i Samaritans grazie al collega giornalista Guido Olimpio. Si tratta di un gruppo di pensionati che ogni mercoledì passano dall'altra parte piantando croci e portando l'acqua nelle piste da dove passano i migranti illegali. Quel deserto mi ricordava il mio Mar Mediterraneo. Questi anziani viaggiano sulle jeep per ore affrontando strade impervie e vanno a nascondere taniche di acqua dove sanno che i migranti illegali passeranno. Si coordinano con un coroner che si occupa di esaminare i resti per risalire all'identità delle vittime per localizzare i punti di passaggio. In particolare, ho seguito l'opera di Alvaro, immigrato colombiano che ha realizzato il suo sogno americano riuscendo ad arrivare negli USA e ora sente di dover restituire dignità a chi non ce l'ha fatta piantato delle croci nei luoghi dei ritrovamenti".
Barbara Cupisti cita, inoltre, un quarto capitolo, Dark Paradise, dedicato all'abuso di oppioidi, che è stato scorporato dal film per motivi di fruibilità, ma che presto verrà reintegrato. "Il consumo di oppioidi è una piaga americana con un numero incredibili di morti per overdose, spesso questa dipendenza conduce all'eroina. Oltre a essere così estesa, questa realtà è peggiorata tantissimo durante la pandemia" conclude la regista.