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Rischia di passare inosservato in sala, ma non fatevi ingannare dal titolo strano e lungo: Morto tra una settimana... o ti ridiamo i soldi, al cinema dal 22 novembre, è una delle uscite più interessanti di fine 2018, un esordio, scritto e diretto da Tom Edmunds, intelligente, caustico ed estremamente divertente.
British humour al 100%, il film presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma - qui potete leggere la nostra recensione di Morto tra una settimana... o ti ridiamo i soldi - racconta la storia di William (Aneurin Barnard, il "mangia rane" di Dunkirk), aspirante scrittore che vede la sua vita senza prospettive e decide di farla finita. In bilico su un ponte, viene avvicinato da un uomo, che gli dà un bigliettino da visita: è Leslie (un sempre più mefistofelico Tom Wilkinson), killer di professione. Dopo vari tentativi andati a vuoto, William decide di affidarsi al professionista: tutto cambia però quando, subito dopo aver firmato il contratto, riceve la telefonata di Ellie (Freya Mavor), che lavora in una casa editrice, è interessata al suo libro ed è anche molto carina, tanto da far tornare al ragazzo la voglia di vivere. La settimana di William diventa dunque realmente una questione di vita e di morte.
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Abbiamo incontrato il regista e sceneggiatore Tom Edmunds a Roma, insieme ai suoi protagonisti, e abbiamo colto subito l'occasione di dire ad Aneurin Barnard che, visti i suoi ultimi ruoli, la morte sembra seguirlo sempre: "Muoio molto bene: credo che i registi con cui lavoro amino vedermi morire. Non so cosa voglia dire. Mi è già successo: sono già morto anche con Freya. Abbiamo fatto Riccardo III e ovviamente muore."
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Twitto dunque sono: la vita ai tempi dei social
Nel film a un certo punto viene detta la frase "twitto dunque sono": poche parole che descrivono perfettamente il nostro presente: "Ho scritto quella battuta per frustrazione" ha ammesso ridendo il regista, proseguendo: "Viviamo in tempi buffi: osserviamo molto noi stessi, vogliamo raccontare i nostri problemi tutto il tempo. Nemmeno i problemi, proprio le nostre vite: raccontiamo tutto. Per molti credo sia un modo per dare significato alle loro vite. Credo che un tema importante del film sia proprio capire cosa dà senso alla tua vita: è un pensiero davvero triste quello che le persone siano così impegnate a guardare i loro telefoni, o i computer, da non comunicare con persone reali. È quello di cui parla il film: i personaggi trovano il senso della loro vita attraverso le relazioni che instaurano."
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D'accordo Barnard: "Uso i social, ma non molto spesso e non bene. Amo interagire con gli esseri umani: guardarli negli occhi, parlarci, dimostrare che ci tieni a questa persona. È qualcosa che si dà gratuitamente, che i soldi non possono comprare: non importa quanti followers tu abbia, o quante persone vedano cosa succede nella tua giornata, non sarà mai bello come stare seduti a parlare con una persona. Stiamo creando dei problemi che non esistono per colpa dei social media: stiamo creando separazione. È un equilibrio difficile: da una parte hanno dato la possibilità di comunicare a molti, ma ha anche danneggiato la comunicazione di tante persone. Non puoi risolvere i tuoi problemi interagendo con un robot, o postando tue foto, o mettendo like a foto che vedi. Credo sia una dipendenza, che ti porta a essere ancora più infelice."
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Secondo Freya Mavor: "Sono d'accordo su tutto: credo sia difficile, soprattutto per i più giovani, che si confrontano costantemente con gli altri e sentono che le loro vite non sono mai abbastanza glamour o divertenti. Il mondo il più delle volte non è glamour ed è strano! Mostrare immagini che sembrano perfette, e sempre alterate, è uno strano modo di rappresentare la tua realtà: ti chiedi sempre perché non hai qualcosa. Uso principalmente Instagram perché amo e scrivo poesie, posto autori e foto che mi ispirano, è un riflesso della mia vita personale, che non mi piace condividere. Mi piace usarlo come un collage di arte, invece che postare la mia colazione o le foto delle mie vacanze. Credo sia un modo poco sano di rappresentare il mondo e la vita."
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Il suicidio è una soluzione permanente al un problema temporaneo
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Aiutare qualcuno che ha deciso di uccidersi è molto difficile, sopratutto se è depresso. Come si può cercare di aiutare un amico in difficoltà? "Ascoltando le persone" ci ha detto senza esitare Edmunds, spiegando meglio: "Come diceva Aneurin, si tratta di relazionarsi agli altri. Abbiamo fatto un film di finzione, William è un personaggio inventato, quindi non voglio generalizzare e risolvere i problemi di tutti, ma quando ho fatto ricerche per il suo personaggio, ho scoperto che molte persone diventavano depresse quando sentivano di essere sole. Si può diminuire questa sensazione, e ci si può sentire soli anche se circondati da persone, ascoltando gli altri e cercando di capire il loro punto di vista. Abbiamo consultato l'associazione Samaritans, il centro del loro lavoro è l'ascolto, solo ascoltare, non offrire consigli. Nella loro vasta esperienza, ne sanno molto più di me, il suicidio è visto come una soluzione permanente a un problema temporaneo. Se riesci a superare quel punto, che, in quel momento, può sembrare insormontabile, se riesci ad andare oltre poi il mondo sembra più roseo." Barnard ha infine aggiunto: "Se ti senti così giù, isolato e credi di aver fatto qualcosa di sbagliato anche se non hai fatto nulla, ne devi parlare: anche nel caso tu abbia fatto davvero qualcosa di male non è così sbagliato. Puoi rimediare. Avere una rete attorno a te è molto importante."
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