New York, 1975. Miles Davis, ritiratosi ormai da alcuni anni, starebbe organizzando il suo ritorno sulle scene, ma non ha ancora consegnato le registrazioni alla Columbia. Grazie anche all'intervento fortuito di un giornalista scozzese, il nastro viene trafugato. Alimentato da rabbia e cocaina, Davis parte alla ricerca della sua opera, mentre vari flashback ci mostrano la graduale dissoluzione del suo matrimonio.
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Un sogno lungo dieci anni
Nel 2006, Miles Davis (1926-1991) riceve l'onore postumo dell'inserimento nella Rock and Roll Hall of Fame. All'inevitabile domanda su un possibile film dedicato all'icona del jazz, gli aventi diritto rispondono che la transizione al cinema si farà, e che Davis avrà il volto di Don Cheadle (il quale, come ha raccontato subito dopo la proiezione di Miles Ahead alla Berlinale, era ignaro della cosa). Inizia così un processo lungo e faticoso per trovare i finanziamenti, periodo durante il quale Cheadle, forte dell'esperienza con Steven Soderbergh, Terry George e Paul Haggis, acquisisce la grinta necessaria per passare in cabina di regia, oltre ad interpretare il grande musicista e firmare la sceneggiatura.
Ed è proprio la passione del protagonista-cineasta ad emergere maggiormente durante la visione di Miles Ahead, un progetto ambizioso e divertente dove il rispetto evidente per il personaggio riesce comunque ad evitare di scivolare nell'agiografia, creando un ritratto simpatico ma non banale, superando il problema dell'idolatria che aveva appesantito Ray. Anche la performance di Cheadle è notevole, poiché - facendo sempre il paragone con il Ray Charles di Jamie Foxx - restituisce l'essenza di un'icona senza rimanere intrappolato nella mimesi pura, con uno sforzo energetico e credibile che rispecchia piuttosto bene la natura imprevedibile ed improvvisata di Davis.
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Un buddy movie da 48 ore
È ammirevole anche la scelta di optare per una struttura narrativa meno consueta, che cede il passo al didascalismo solo nei flashback, inevitabilmente dedicati ai problemi coniugali del musicista. Intermezzi tutt'altro che brutti, grazie all'alchimia tra Cheadle e la co-protagonista Emayatzy E. Corinealdi, ma che finiscono per spezzare a tratti il ritmo frenetico e folle di quello che in sostanza è un buddy movie giocato quasi interamente sull'accoppiata bislacca e spassosa tra Davis e il giornalista Dave Brill, interpretato da uno strepitoso Ewan McGregor. Attraverso questo duo improbabile ma carismatico viene svelato l'intreccio principale della pellicola, che occupa un arco temporale di due giorni e mostra il conflitto fra l'artista e la casa discografica, qui rappresentata da un giustamente viscido Michael Stuhlbarg, non tanto lontano dai vertici gloriosi di Boardwalk Empire - L'impero del crimine.
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Qui ha un ruolo fondamentale anche la musica, usata non solo per motivi meramente filologici ma come vero ingrediente dell'atmosfera sovraccarica e fuori di testa di un decennio e una vita fuori dal comune. Ed è di nuovo possibile ammirare, in questa sede, l'impegno di Cheadle che, come svelano i titoli di testa, ha contribuito alla colonna sonora con alcune composizioni aggiuntive, imponendosi come un artista a tutto tondo che ha trovato il giusto inizio, a suon di jazz, per ciò che potrebbe essere una nuova, interessante fase della sua carriera, seguendo l'esempio dell'amico e sodale George Clooney. Anche se difficilmente troverà un altro ruolo altrettanto gratificante...
Movieplayer.it
3.5/5