I termini "maschi" e "femmine" di solito appartengono a due ambienti ben precisi: le scuole elementari, forse anche le medie, e la scienza. Fuori da questi contesti, quando le sentiamo pronunciare, il nostro cervello fa scattare immediatamente un allarme rosso: di solito chi parla di "maschi" e "femmine" appartiene a un'ideologia ben precisa, che in questi anni ha portato avanti una vera e propria crociata contro la fantomatica "dittatura del politicamente corretto". Invece, contrariamente a chi si scalda non appena viene detta la parola "patriarcato", bisognerebbe non dare significati assoluti a queste parole, ma normalizzarle, rendendo quotidiano e abituale il discorso su cosa voglia dire oggi essere, appunto, maschi e femmine. E tutto quello che c'è in mezzo. È proprio questa la premessa di Maschi veri, serie che arriva su Netflix dal 21 maggio.

Prodotta da Matteo Rovere (la cui fruttuosa collaborazione con il colosso dello streaming va avanti dopo La legge di Lidia Poët e Supersex), Maschi veri è scritta a sei mani da Furio Andreotti, Giulia Calenda e Ugo Ripamonti, a partire dalla spagnola Maschos alfa, arrivata alla terza stagione. Nell'adattamento italiano i protagonisti sono Luigi, interpretato da Pietro Sermonti, Massimo, ovvero Matteo Martari, Mattia, Maurizio Lastrico, e Riccardo, Francesco Montanari. Ognuno ha una momentanea situazione complicata con l'altro sesso: il primo non ha più rapporti intimi con la moglie, il secondo viene licenziato per il suo comportamento maschilista, il terzo ha divorziato e non riesce a riprendersi, mentre l'ultimo tradisce da anni la fidanzata, ma rimane sconvolto quando lei gli chiede di aprire la coppia.
Cresciuti in un momento storico in cui (soprattutto gli uomini eterosessuali) si facevano pochissime domande sulla parità di genere, questi quattro amici over 40 devono improvvisamente riconsiderare il proprio ruolo (e atteggiamento) nella società. Sommersi dai dubbi e dalle insicurezze, l'unica certezza delle loro giornate è la chat di gruppo, chiamata, senza molta fantasia, "Maschi veri". Ufficialmente la usano per darsi appuntamento per andare a giocare a padel, ma nel concreto diventa una sorta di confessionale. In otto episodi scopriamo che, sì, anche i maschi piangono. E, anzi, dovrebbero farlo più spesso.
Chi sono oggi i maschi?

Forse una serie come Maschi veri arriva tardi: dopo diversi anni passati a parlare di questi argomenti al cinema e nelle serie tv (anche grazie al movimento #MeToo), c'è stato, a livello globale, un contraccolpo che va nel senso contrario. Figure tossiche come Andrew Tate hanno cresciuto tutta una generazione di giovanissimi, più conservatrice della precedente. Eppure, ne siamo convinti, parlare del modo diverso in cui la società vede le persone in base al loro genere è sempre importante. A prescindere che vada più o meno di moda in quel momento storico. Ci mantiene vigili e aperti mentalmente.
Anche perché, come si vede benissimo anche nella serie Netflix, l'idea di "maschio alfa" fa male agli uomini stessi. Certo, non come alle donne e ai gay, ma danneggia sicuramente anche loro. Si vede benissimo nella crisi esistenziale di Luigi, che viene subito deriso (e additato come "chiacchierato") perché ha difficoltà nell'intimità. O in quella di Massimo, il più ricco del gruppo, che è come se avesse ricevuto un colpo mortale quando viene licenziato. Per lui è inconcepibile e insostenibile che sia la fidanzata a guadagnare di più. Eppure, se si è deciso di stare insieme, è normale che chi in quel momento è più forte economicamente aiuti l'altro. Ma lui non lo accetta. Quando fa notare alla fidanzata che "le attenzioni che sta ricevendo le stanno facendo male", lei gli risponde: "E a te quelle che non ricevi più".
Questo è un punto importante: in pochi lo ammetteranno, ma dover condividere benessere economico, prestigio sociale e uguali diritti per molti uomini, anche i più apparentemente liberali e aperti mentalmente, è qualcosa che li inquieta. Invece è proprio qui il punto: se tutti possono raggiungere gli stessi obbiettivi ci sono maggiori possibilità. Ma capirlo è, ancora, molto difficile.
La scoperta del dialogo e un ottimo cast
Forse alcune battute di Maschi veri faranno accapponare la pelle ai più giovani, ma sono coerenti con l'età e il retaggio culturale dei personaggi. A essere molto interessante invece è l'alchimia tra gli attori protagonisti: come hanno detto in conferenza stampa, Pietro Sermonti ha fatto da collante, spingendo tutti ad andare a mangiare insieme, per creare complicità. E ha funzionato: sembra davvero di assistere alle uscite di amici veri. Lastrico è il sensibile, Montanari il più ruvido, Martari lo stronzo (non c'è un altro termine per definirlo: ogni gruppo ne ha uno), Sermonti è il Ringo Starr, ovvero quello che tiene insieme gli amici e a cui non si può che voler bene.

Grazie a questo affiatamento, la ricerca quasi disperata di comprensione e affetto dei loro personaggi arriva ancora più forte. Anche loro, più o meno consapevolmente, non sanno che farsene della figura "dell'uomo che non deve chiedere e non piange mai". A loro spese imparano presto che nell'abbraccio di un amico può esserci molto più affetto che in un incontro occasionale con una sconosciuta contattata su Tinder. Come dice Gianna Nannini in Sei nell'anima: "Ma è la tenerezza che ci fa paura". Ecco: Luigi, Massimo, Mattia e Riccardo dimostrano che non soltanto volere un po' di tenerezza è assolutamente normale, ma spesso la tenerezza può salvare.
Conclusioni
Maschi veri, nonostante il titolo, è una serie adatta a tutti: scherza sul concetto di "maschio alfa" e mostra come, nel concreto, questa idea di uomo "che non deve chiedere mai e non piange mai" non soltanto sia irrealistica, ma danneggi gli uomini stessi. L'adattamento italiano della serie spagnola ha il suo punto di forza nei protagonisti: Pietro Sermonti, Maurizio Lastrico, Francesco Montanari e Matteo Martari sono affiatati al punto da sembrare amici veri. Vale la pena seguire la storia di questi quattro uomini in crisi anche soltanto per loro.
Perché ci piace
- L'affiatamento tra i quattro protagonisti.
- Le controparti femminili: Thony, Sarah Felberbaum, Laura Adriani e Alice Lupparelli.
- I camei di Selvaggia Lucarelli e Ilary Blasi.
Cosa non va
- Alcune battute sono un po' "cringe", ma rispecchiano l'età e il retaggio culturale dei protagonisti.