Marco Pontecorvo e il clown Miloud portano in sala Pa-ra-da

Dopo le ottime critiche ricevute ai festival di Venezia e Toronto, arriva nei nostri cinema il bel film italiano Pa-ra-da, sui bambini randagi di Bucarest. A presentarlo a Roma sono giunti il regista Marco Pontecorvo e l'acrobata Miloud Oukili.

Se alla recente Mostra del cinema di Venezia i film italiani in concorso non hanno di certo brillato, quelli proposti nelle sezioni collaterali hanno invece decisamente convinto, per la ricchezza di idee e per una capacità più genuina di cogliere gioie e dolori del vivere. Parliamo per esempio di Pranzo di Ferragosto, il gioiellino di Gianni Di Gregorio prodotto da Matteo Garrone, ma anche dell'intenso Pa-ra-da di Marco Pontecorvo, figlio d'arte, presentato nella sezione Orizzonti. Dopo le ottime critiche ricevute a Venezia, il film è stato poi presentato con altrettanto successo al recente Festival del cinema di Toronto ed ora è pronto finalmente a sbarcare nelle nostre sale, distribuito dalla 01. Il regista, l'attrice Evita Ciri e l'acrobata Miloud Oukili, all'esperienza del quale è ispirato il film, proseguono nel loro giro promozionale e fanno tappa a Roma, ancora desiderosi di parlare del film e di far conoscere la triste situazione dei bambini randagi di Bucarest, che dopo il crollo della dittatura di Ceausescu sono stati abbandonati da famiglie cadute in miseria e sono finiti a vivere in condizione proibitive nei canali dove passano i tubi per il riscaldamento.

"Colpa delle sovvenzioni statali per favorire la natalità - ci spiega Marco Pontecorvo - All'epoca della dittatura si pensava che tali iniziative rafforzassero la nazione e gli orfanotrofi assicuravano che avrebbero pensato loro a tirar su i bambini. Col crollo del sistema sono finite in macerie tante cose, molte famiglie si sono ritrovate senza più soldi, ma a far finire per strada i loro figli non sono stati solo i genitori che comunque non avevano più la possibilità di allevarli. Certo, alcuni venivano spinti dalla famiglia ad accattonare, ma in molti sono scappati dagli orfanotrofi o hanno abbandonato di propria volontà la famiglia in preda ai sensi di colpa, perché spesso i genitori sono senza una lira e loro si sentono causa di tutto questo". L'attrice Evita Ciri tiene comunque a precisare che "i bambini hanno una maggiore probabilità di sopravvivere per strada, piuttosto che gestendosi a casa. C'è stato un piano di natalità in modalità dittatoriale che ha fatto nascere bambini su bambini senza freni, che poi non potevano essere allevati dalle famiglie e sono finiti per strada, proprio come i branchi di cani randagi di cui è piena Bucarest. Comunque, il crollo della dittatura ha portato anche famiglie intere a vivere nei canali".
A portare un sorriso ai bambini dei tombini, i cosiddetti "boskettari", è giunto nel '92 a Bucarest il clown di strada Miloud Oukili, studente franco-algerino che ha abbandonato le certezze della sua vita parigina per trasferirsi in Romania e aiutare questi bambini che vivono da straccioni nel sottosuolo della capitale. Pa-ra-da racconta l'amicizia che si è instaurata tra il giovane clown (interpretato nel film dal bravissimo Jalil Lespert) e una banda di ragazzini tra i tre e i sedici anni, devastati da violenza, pedofilia, prostituzione, droga. Attraverso la magia e la fantasia, Miloud ha cercato di conquistare la fiducia dei bambini e di aiutarli poi nella lotta per la sopravvivenza, insegnando loro il concetto di rispetto. "La magia è stata anche il motore del film - racconta il vero Miloud - E' tutto un gioco di seduzione. Io sono stato sedotto da Charlie Chaplin, da Federico Fellini e i suoi film, e dopo aver visto per la prima volta Pa-ra-da a Roma ho avuto l'impressione di aver sognato un pezzo della mia vita. Temevo di essere un angelo, mentre sono solo un uomo, e finalmente quella verità di pochi che si racconta nel film diventava visibile a tutti." E la verità che il film racconta è la miseria in cui versava Bucarest una volta crollato il dittatore Ceausescu e con la quale si è dovuto confronta Miloud una volta raggiunta quella città che pullulava dei volti sporchi di quei bambini a cui era stata negata un'infanzia. "In realtà - confessa l'artista - _a vent'anni sei giovane, vuoi fare la rivoluzione, e abbiamo sbagliato nel non prenderci il tempo di spiegare alla Polizia di Bucarest quello che stavamo facendo, perché accecati dalla rabbia della nostra età, che si mescolava con un misto di sentimenti quali l'egoismo, la curiosità e la volontà di vivere la fine della dittatura. Sono arrivato a Bucarest e insieme a un'equipe formata da un medico, un educatore e un animatore abbiamo individuato centoundici bambini che frequentavano la stazione e che volevamo recuperare. Per i poliziotti come per la gente comune quella realtà era insopportabile prima che venisse sputata fuori, e tutti consideravano questi ragazzini solo dei vagabondi, nessuno si preoccupava per _loro".
Eppure, anche le organizzazioni umanitarie, sebbene fondamentali, non riuscivano a stabilire un contatto con i piccoli che andavano ad aiutare. "Le organizzazioni portano a queste persone vestiti, cibo, gli danno un tetto, ma nessuno si piega a dar loro un bacio, nessuno chiede mai "come stai?". Mi ricordo un periodo in cui arrivavano ogni giorno otto diverse associazioni che portavano da mangiare e questi bambini che mangiavano perciò otto volte al giorno. Ho deciso che bisognava cambiare, che dovevamo fare tutto insieme: cucinare, mangiare, lavare i piatti, e chi era interessato a dare una mano doveva venire al centro e aiutare i ragazzi a preparare". Ma Miloud non si considera un eroe: "So che non ho mai salvato una persona in vita mia, ma sono stato io a salvarmi - spiega ancora l'artista che ha trascorso dodici anni in quelle zone - Ho troppo rispetto per Madre Teresa per essere paragonato a lei, ho apprezzato la sua opera come quella di tutte le persone che fanno del bene agli altri. Io volevo semplicemente fare il pagliaccio, smettere di studiare i libri, per andare a vivere sulla mia pelle quello che succedeva in quesi posti. Mi sono trovato davanti questa realtà che è la Romania in cui si può dire "sei come me, ma siamo comunque diversi", perché abbiamo vocabolari differenti, ma il nostro modo di pensare è simile. Nessuno aveva mai dato ai ragazzi l'opportunità di essere attori della propria vita, io ci ho provato e ho avuto in cambio l'insegnamento di non aver paura della strada, di ascoltare i bisogni degli altri e di non sentirmi più frustrato perché non so fare qualcosa".
Il suo naso rosso, il trucco, le piccole magie hanno certamente aiutato Miloud a conquistare la fiducia di quei ragazzini già così provati dalle difficoltà della vita. "Spesso per deridere qualcuno gli si dà del pagliaccio - ironizza Miloud - ma io vorrei conoscerlo questo pagliaccio, perché la concorrenza non mi spaventa! Ci ho messo quindici anni per diventare un clown e il mio sogno è andare a Mosca, confrontarmi con i grandi clown russi e fare uno spettacolo sulla Piazza Rossa. Io mi trucco da clown e posso fare tutto quello che voglio, anche prendere in giro i poliziotti o i controllori del treno, perché rispettando le regole sei tu che vinci. Indossare un naso rosso ti da cinque secondi in più rispetto agli altri. Farlo sparire è la prima cosa che insegno ai ragazzi, prima di capire con loro come vivere. La magia del clown è la restituzione dell'impossibile al possibile. Bisogna solo rispettare le altre culture, andare fuori dalle regole senza far male a sé stessi o agli altri. In Nepal, per esempio, i saggi mi hanno proibito di fare la magia. Ho ritrovato la stessa cosa in Messico, dove non si può usare il fuoco perché è qualcosa di sacro che gli indiani usano solo in un certo modo". Nonostante la forza che sembra contraddistinguere Miloud, anche il sorriso dipinto sul viso di un clown può velarsi di tristezza: "Mi sono staccato dalla Romania per un anno - confessa Miloud - Non ho pensato al film, perché non avevo più idee né la vitalità che serve per essere quotidianamente dentro quello che facevo. Mi sentivo inutile, come se avessi già dato tutto. Sentivo la vergogna di non essere più capace di fare qualcosa per quei ragazzi".
La situazione disperata in cui versano ancora alcuni bambini in Romania non è però una tragedia isolata. "Ci sono bambini che soffrono in tutte le parti del globo, dal Marocco al Brasile, fino a Parigi, dove si finge che tutto sia tranquillo, ma anche lì ci sono zone piene di bambini randagi. Che società è quella che abbandona il futuro degli uomini?". Attraverso la magia del cinema e le possibilità fornite dai mezzi d'informazione sembra però ancora possibile sensibilizzare il mondo su questi problemi, e le parole di Milous sembrano confortare questa osservazione: "Dal '98 a oggi la stampa ci è stata sempre vicina. Il fatto di non essere più soli a Bucarest è stato molto d'aiuto. Sono onorato che questo film sia stato fatto dal figlio di chi ha girato La battaglia di Algeri e che in esso non venga giudicata la Romania, ma raccontata la realtà di una società che è quella europea e una storia che possiamo ritrovare in altre parti del mondo. A trentasei anni sono stato adottato da voi e i ragazzi di Bucarest non sono più soli: fatelo per tutti gli altri, per i ragazzi di Parigi, Roma, Londra e curiamo i vicini di casa. Questo film lo dedico alla mia famiglia e alla vostra".
Oltre a essere il titolo del film, Parada è anche il nome dell'associazione culturale che lavora al fianco di Miloud per aiutare i giovani soli sulle strade. L'artista franco-algerino ha infatti creato nel 1996 la Fondazione Parada, un gruppo circense formato dai ragazzi di Bucarest che da anni ormai porta in giro i propri spettacoli e dal '99 fa tappa ogni anno anche in Italia. L'idea di un film sulla situazione dei bambini randagi è venuto al regista Marco Pontecorvo proprio leggendo di uno spettacolo della Fondazione Parada in Italia. "Ho letto la storia sul giornale - spiega Pontecorvo - e casualmente il gruppo di Miloudstava facendo uno spettacolo proprio a Roma. Poi ho visto alcune immagini al tg e da lì c'è stata un lunga rincorsa per parlare con Miloud che però era introvabile. Sono riuscito ad acciuffarlo alla stazione di Roma, mentre andava a prendere l'aereo per Bucarest. L'ho accompagnato a Fiumicino e siamo stati due ore insieme, un tempo che ti permette di capire solo istintivamente chi hai di fronte. E dopo qualche ora ho preso anch'io un aereo per Bucarest per andare a conoscere la realtà di questi ragazzini più da vicino".
Una volta nella capitale della Romania, il regista si è reso conto che la situazione dei "boskettari" non era un "fenomeno passato" come lo definiva la maggior parte delle persone con le quali parlava e una volta in stazione si è trovato a contare uno a uno i tanti ragazzi che vagabondavano senza meta. Per trovare i protagonisti per il suo film è andato per le strade e nelle scuole del paese, ma le difficoltà sul set non sono mancate. "Ci vuole una confidenza reciproca quando si lavora con i bambini - spiega Pontecorvo - Loro ti conquistano e tu devi cercare di conquistare loro. Tutto si basa sulla fiducia che ognuno mette nell'altro. Un giorno, uno dei ragazzi che recitavano nel film aveva avuto una lite con uno degli educatori ed è scappato da uno degli appartamenti sociali. Poi l'ho rincorso col tradutorre, gli ho chiesto la sua fiducia e da allora è stato un orologio svizzero e non è mai mancato alle riprese. Se rispetti i ragazzi, i ragazzi rispettano te, se nasce uno scambio poi credono in quello che fai. Credo che il film ti dà qualcosa perché si sente l'anima di tutti coloro che vi hanno partecipato. Per me non è stato solo un film, è stata un'esperienza di vita che mi ha fatto crescere, un percorso simile a quello di Miloud, solo che lui ha fatto tutte quelle cose che vengono descritte nel film e merita la mia ammirazione".
Tra i tanti punti caldi che tocca il film, fa un certo effetto vedere la Polizia rumena che non mostra mai pietà nei confronti di quei bambini e di chi cerca di aiutarli. "A Bucarest c'era di sicuro una connivenza - afferma il regista - ma come in tutte le parti del mondo ci sono poliziotti buoni e altri meno. Noi non avevamo il tempo di raccontare di tutti quelli buoni e così ci siamo limitati a una scena rappresentativa, che è quella dell'incontro al bar tra un poliziotto e la piccola Tea. L'uomo ha un atteggiamento quasi paterno nei confronti della bambina ed è l'unico di cui si dice il nome nel film. In quella scena ho cercato di bilanciare entrambe le facce della medaglia dei poliziotti rumeni. Comunque, abbiamo cercato di fotografare una situazione attraverso il nostro punto di vista, cercando di non giudicare mai".

L'accoglienza al Festival di Toronto sembra aver confermato le intenzioni del regista rispetto a questa osservazione. "A Toronto, che è una città multiculturale e multirazziale, ci sono state tre proiezioni di Pa-ra-da e vedevo sempre persone di età e razze diverse. E' stato bello rendersi conto che quelli espressi nel film sono valori comuni che arrivano a tutti. Ognuno ha visto il film con il proprio sguardo, agganciandolo ai valori della propria cultura e alle proprie emozioni, ma l'impatto è stato uguale per tutti. Alla fine di una proiezione mi si sono avvicinate sei o sette persone rumene che mi hanno detto che erano un po' titubanti nel venire a vedere il film, perché avevano paura si schierasse contro il loro paese, e invece alla fine mi hanno ringraziato per averlo fatto".