Un pappagallo parlante e la tv che si accende di colori. L'Italia nazionalpopolare e la responsabilità di "entrare nelle case del popolo". In mezzo la giustizia e l'ingiustizia, l'errore che diventa ottusa perseveranza. Gli schieramenti, e le parti da prendere. Difendendo e accusando, all'occorrenza, come fa più comodo. Perché si sa, la piazza che bubola ha sempre ragione. Con la solita gigantesca maestria (anche se l'epiteto maestro appartiene ad un'epoca fin troppo referenziale), Marco Bellocchio parte dalla notte del 17 giugno del 1983 per raccontare "uno dei più clamorosi errori giudiziari italiani", allargando la vicenda in Portobello, serie dalle promesse e premesse decisamente importanti.

Sei puntate in streaming su HBO Max (nel 2026), segnando di fatto il debutto italiano della piattaforma (come dire, esordio di un certo peso). Le prime due, che abbiamo visto in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia, introducono ma, intanto, suggeriscono le riflessioni sul concetto stesso della giustizia. E sul concetto di identità. Bellocchio, che la serialità cinematografica l'aveva già affrontata in Esterno Notte, non si rifugia - ovviamente - dietro una soffocante neutralità ma, anzi, spinge in avanti il proprio punto di vista, traducendo la complessità di una vicenda umana, nonché spaventosamente universale.
Portobello e il fattore Fabrizio Gifuni
Del resto, quello accaduto ad Enzo Tortora - interpretato da uno strepitoso Fabrizio Gifuni, ancora una volta tra i migliori attori europei - potrebbe succedere a chiunque. È il 1982, l'Italia ha vinto i Mondiali e Portobello, ogni venerdì sera su Rai2, raggiunge 28milioni di telespettatori. Tutti lì, riuniti per quel rito pop trasmesso via tubo catodico. Mezzo stivale in attesa di scoprire se il pappagallo Loreto pronunciasse la fatidica parola. Altri tempi, altra vita. All'epoca, con tanto di nomina a commendatore della Repubblica, Enzo Tortora era il volto televisivo, e quindi il volto dell'Italia. Amato, popolare. Tortora, controcorrente e libero, al timone di Portobello dopo diversi anni di "esilio" - lottando intanto per la liberalizzazione delle emittenti tv - per aver accusato la Rai di essere "un baraccone", e pure ispido nei confronti di molti colleghi e molti politici.

Poi, il baratro: svegliato in piena notte, i carabinieri lo portano in questura con l'accusa di traffico di stupefacenti e associazione mafiosa. Tortora è incredulo, l'Italia è incredula. Le televisioni gracchiano la notizia. Le manette, la giacca di jeans. I magistrati parlano di una confessione arrivata da tale Giovanni Pandico (Lino Musella) legato alla cosca di Raffaele Cutolo. Pandico odia Tortora, crede ci sia tra loro una connessione telepatica ma, sopratutto, è un pentito. Anzi, un "dissociato". Tutto partirebbe infatti da un nome scritto (male) e da una confezione di raffinati centrini spediti in Rai e mai passati in trasmissione. Le informazioni sono frammentate. La stampa cuce e ricama, i giornali urlano, gli scoop si susseguono e, perché no, si inventano. Enzo Tortora è innocente, finché non è colpevole.
Una serie da non perdere
L'opinione pubblica, il circo mediatico, l'attenzione e la condanna. L'ascesa e la caduta, la paura e la tenacia. Una storia vivace e vivente, non certo una cronaca esatta, con il regista che permette alla fantasia di poter dare una dimensione più profonda alla sceneggiatura, giocando sul profilo drammaturgico dei personaggi. Ogni figura è allora irresistibile e stratificata, e insieme vanno a comporre un Paese che sta cambiando, con Tortora - creature del passato - che sta inventando la televisione contemporanea.

La scrittura di Bellocchio, aggiunta a quella degli altri co-autori Stefano Bises, Giordana Mari e Peppe Fiore, punta al privato e non sbaglia un colpo né un tono nella declinazione di una nuova identità; c'è una modernità incredibile nella struttura di Portobello, nonché una velocità d'azione che riesce a riempire al meglio il tempo e lo spazio nell'esaltazione assoluta del linguaggio seriale. Bellocchio risponde alla storia senza ideologia né diagrammi politici, perché la stessa politica - radicata nel pensiero di Tortora - viene inglobata nel contesto e nei personaggi stessi, in un riflesso che parte dal passato per arrivare fino al presente.
"Loro vivono su un altro pianeta", sospira Tortora guardando in cella i risultati alle elezioni. Loro e noi, secondo Bellocchio, i politici e la gente comune; mondi separati ma agganciati dalla più pericolosa delle ideologie: la propaganda. E Tortora, uomo complicato e gentile, è stato vittima tanto della giustizia quanto dello slogan che, si sa, accusa senza alcun dubbio. E invece sono proprio i dubbi che tempestano lo sperduto Tortora, eroe gettato nel fango di un processo inquisitorio che, nonostante l'abbaglio, finirà per segnarne drammaticamente la vita. Come scriveva Kafka ne Il processo. Un romanzo capace di racchiudere, fin dall'incipit, l'epopea di Tortora. Nel giro di due episodi appena, viene fuori la fragilità e la vulnerabilità della giustizia, ancorata ad uno status quo che non può mai essere contraddetto.
Affrontare la giustizia fallace
Tuttavia, grazie alla potenza della narrazione, pure la giustizia farlocca e fallace può essere soverchiata e ridicolizzata. Perché, come per Aldo Moro prima e poi per Enzo Tortora dopo, Bellocchio utilizza le parole e le immagini per delineare il suo personale atto d'accusa, senza risparmiarsi ma, anzi, portando avanti le proprie responsabilità artistiche (e civili). Portobello, che si apre con le maschere della tradizione partenopea (Napoli rappresenta nella serie una specie di punto di rottura), è quindi la verità dietro al trucco, altresì è la netta presa di posizione di un regista ostinato, diretto e straordinariamente attuale.
Conclusioni
Marco Bellocchio esalta l'immaginazione dietro la cronaca nella serie Portobello, che racconta l'assurda epopea di Enzo Tortora. Le prime due puntate viste in anteprima - sei in totale - suggeriscono già il tono e l'umore della sceneggiatura, mischiando identità, giustizia e ingiustizia. Un'operazione drammaturgicamente perfetta che conferma, qualora ci fossero dubbi, la modernità di un autore costantemente innovativo. Ad interpretare Enzo Tortora, un fuoriclasse come Fabrizio Gifui.
Perché ci piace
- La modernità di Bellocchio.
- Gifuni un fuoriclasse.
- Il cast tutto, da Lino Musella a Borbora Bobulova e Romana Maggiora Vergano.
- L'approccio scelto.
Cosa non va
- Difficile determinare lati negativi dopo sole due ottime puntate.