L'Italia, il fascismo e il cinema come strumento privilegiato di manipolazione del reale. Mark Cousins, visionario regista di un'opera monumentale come The Story of Film: An Odyssey, firma ancora una volta un viaggio nella memoria, Marcia su Roma, un documentario che scava, analizza e decostruisce con l'approccio filologico che è proprio di Cousins, uno degli eventi che avrebbe cambiato per sempre le sorti del nostro paese. Lo fa affidandosi alla voce fuori campo di Alba Rohrwacher e smontando fotogramma per fotogramma il documentario A noi di Umberto Paradisi, il primo instant movie di propaganda, il film che celebra e consacra in 44 minuti di manipolazioni e falsificazioni le storiche giornate dell'ascesa di Benito Mussolini al potere. Così Mark Cousins e i suoi autori Tony Saccucci e Tommaso Renzoni, raccontavano il film alla stampa in occasione dell'apertura delle Giornate degli Autori a Venezia dove è stato presentato. Dal 20 ottobre è in sala per I Wonder, a pochi giorni dal centenario di quell'evento.
La propaganda di A noi e il ruolo della massoneria
Il ruolo di D'Annunzio sembra ridimensionato all'interno del racconto.
Mark Cousins: Sminuire è uno strumento del cinema. Quando per esempio dovevo scegliere le musiche del film, inizialmente ne avevo messe tante arrabbiate, poi ci siamo resi conto che non ce n'era bisogno perché in realtà si ipotizza, si assume già che le folle lo siano. Lo stesso vale per D'annunzio, facciamo solo un accenno alla complessità della figura dannunziana intorno a Fiume.
Il documentario pone l'attenzione sul ruolo della massoneria nella nascita del fascismo. Quali sono state le fonti?
Tony Saccucci: Le fonti sono 336 pagine di un dottorato di ricerca della Sapienza su A noi, da lì si è aperto un vaso di Pandora ed è venuta fuori l'influenza della massoneria, quella di piazza del Gesù, nella fattispecie o del Gran maestro Raoul Palermi. Le fonti consultate sono tutte nell'archivio di Stato di Roma, molte sono nei documenti sequestrati dalla massoneria; ma quella dell'influenza massonica è una questione che il più grande storico del fascismo italiano, Renzo De Felice, aveva già tirato fuori negli anni 60, io mi sono solo limitato a riprendere il discorso laddove dove l'aveva mollato De Felice. Ho utilizzato tecnologie informatiche nuove per il riconoscimento facciale e il lavoro continua ancora oggi, molto probabilmente Raul Palermi è presente anche in alcuni fotogrammi di A noi, ma solo quando avremo la sicurezza lo tireremo fuori. Il film parte esattamente da qui e dalla manipolazione che è stata fatta.
La difficoltà più grande?
Tommaso Renzoni: La difficoltà maggiore in questi casi è trovare la forma del racconto e quindi capire come strutturare tutto questo materiale informativo e i personaggi coinvolti, prima da un punto di vista di struttura narrativa e poi di regia. Sposare tutti questi elementi è stato il vero lavoro.
M. C.: Una delle domande per esempio, era dove collocare la morte di Mussolini. Alla fine del film? O prima? Poi però, come continui? Se è un film in cinque o sei atti la inserisci alla fine del secondo? Sono queste le domande che un narratore si pone. Il fascismo non è una linea retta, ma un ciclo, è una specie di cerchio che si ripete, un ciclo ricorrente perciò abbiamo pensato di non raccontarlo in maniera lineare.
Marcia su Roma, la recensione: il documentario di Mark Cousins per capire (meglio) la propaganda
Tra cancel culture e manipolazione
Cosa pensa della cancel culture? Dovremmo liberarci di tutte le opere del fascismo?
M. C.: Assolutamente no. Nulla va distrutto, tutto il materiale relativo a Hitler dovrebbe essere spostato e trasferito nei musei, conservato e mantenuto per motivi di studio.
Nel film si cita Pasolini. Qual è l'importanza che riveste nella sua arte?
M.C.: Ho visto una retrospettiva dei film di Pasolini quando avevo diciott'anni e i suoi film mi hanno colpito come non aveva fatto nessun altro regista. Le sue poesie sono anche migliori rispetto ai suoi film, usa spessissimo il termine stupendo. Parla della vita come la stupenda monotonia del mistero. È fantastico!
La prima mezz'ora propone un'analisi quasi filologica di A noi, dimostrando come il montaggio sia lo strumento principale della manipolazione della realtà. Pensa sia quello il modello che avrebbe adottato l'Istituto Luce nei suoi cinegiornali del ventennio?
T. S.: Esistevano già i primi i film di propaganda, ma questo è il primo film di propaganda partitica. La versione che abbiamo noi, cioè quella dell'Istituto luce che abbiamo usato, molto probabilmente è già una manipolazione successiva. Il problema dei film di questo tipo è che non saprai mai qual è l'originale.
M. C.: Tutto negli Archivi Luce può essere definito come sguardo coloniale. Nella cultura francese c'è un po' quest'idea del prendere una cosa e rivoltarla contro se stessa, per esempio prendere la statua di un re del periodo coloniale e metterci una iscrizione sotto che in realtà andava esattamente contro la statua stessa. Come metti dei filmati degli Archivi Luce contro se stessi? Come li disintossichi? In una parte del film mostriamo dei filmati realizzati in Nord Africa con dei bellissimi primi piani di volti; in questo caso la voce fuori campo è quasi come lo sguardo coloniale, che dice: "è stato necessario insegnargli a coltivare, è stato necessario civilizzarli alla maniera europea". Agisce come elemento ironico, un po' come quando dici una cosa, intendendone un'altra.
Sta lavorando sugli archivi di altri paesi?
M.C.: Al momento sto realizzando un film molto positivo sulla creatività, piuttosto che sulla distruzione. Questo è il mio ventesimo film ed è il primo in cui ho pianto in sala montaggio, perché i materiali sono tremendi. Non so voi come possiate lavorare su questi materiali per così tanto a lungo, dopo settimane di lavoro mi sono sentito schiacciato. Amo il cinema e trovo che le immagini siano qualcosa di fantastico, però mi sono trovato di fronte a filmati che schiacciano in un certo senso le persone, le riducono di fronte alla macchina da presa ed è facile cadere nella disperazione.
Com'è nata la scelta di Alba Rohrwacher nel ruolo di una madre delusa dal fascismo?
M.C.: Quando fai un film come questo, il rischio che corri è avere tutto sfondo e nemmeno un primo piano, quando invece realizzi un'immagine devi avere entrambi. E poi avevo la sensazione che fosse necessario qualcuno che ci guardasse negli occhi, cosa che questo personaggio fa. Sebbene non l'avessi mai incontrata, conoscevo i suoi lavori, l'ho sempre ammirata. Conosco sua sorella Alice, quindi le ho mandato una mail chiedendole se pensava che Alba avrebbe potuto prendere in considerazione la mia proposta. Trenta minuti dopo è arrivata la risposta di Alba che accettava. Il personaggio e le sue battute sono basati su una ricerca che mi ha fatto scoprire l'esistenza di diversi libri sulle donne e le madri sotto il fascismo.