Cathy Madden è un'ufficiale di sorveglianza di una piccola comunità nel nord dell'Irlanda, che si ritrova assegnata a un caso estremamente delicato e controverso: la riabilitazione di Mary Laidlaw, soprannominata 'Bloody' Mary. Una figura avvolta nell'infamia e nel terrore locale, avendo scontato una pena di vent'anni di carcere per omicidio. Il suo rilascio suscita immediatamente un'ondata di panico tra la popolazione, che crede fermamente sia una strega.

In Mandrake, Cathy approccia il caso all'insegna della razionalità e con professionalità, convinta che la donna meriti l'opportunità di reintegrarsi nella società. Ma quando due bambini scompaiono nella zona boschiva vicina alla casa di Mary, le voci si moltiplicano e quest'ultima diventa il principale e ovvio bersaglio dei sospetti . Cathy si ritrova quindi coinvolta nella disperata ricerca della verità , combattuta tra il suo dovere istituzionale e la crescente paura che la leggenda locale possa nascondere qualcosa di verosimilmente inquietante.
Mandrake: nel cuore del bosco
Il panorama contemporaneo del folk horror richiede un coraggio narrativo che travalichi i luoghi comuni, come i boschi e i riti pagani che da sempre caratterizzano questo amatissimo sottofilone. Esige l'immersione nel primordiale, un genere che prospera sulla fusione inquietante tra la paranoia sociale e la reale, incontrollabile paura cosmica. Mandrake, esordio nel lungometraggio di Lynne Davison, possedeva sulla carta delle stimolanti premesse al fine di esplorare dei miti ancestrali, connotandoli nella frenesia della giustizia moderna.

La trama che vi abbiamo esposto poco sopra prometteva infatti di svelare la verità celata dietro le urban legend e le accuse di stregoneria, con il discorso sui pregiudizi - giustificati o meno - che avrebbero potuto reggere bene il gioco narrativo. E invece gli ottanta minuti di visione si risolvono in un nulla di fatto, raccontando una storia priva di spunti di riflessione che affastella diverse situazioni al limite dell'assurdo.
Chi è il mostro nel film?
La mancata escalation del senso di condanna, con il ridotto numero di personaggi e l'altrettanto scarsa caratterizzazione dei suddetti, e la rivelazione si troppo precoce di come stiano effettivamente le cose, impediscono al terrore di fuoriuscire dalle viscere della terra e poco importa se la villain sia effettivamente una strega o meno, giacché le sue motivazioni risultano prive di qualsiasi interesse.

Allo stesso modo la "missione" della protagonista non riesce mai a risultare avvincente, con diversi passaggi insensati che affossano la suspense e la paura sul nascere. Una mancanza di audacia e di originalità di scrittura che si rivela a conti fatti la condanna primaria, ma purtroppo non la sola, dell'operazione e che viene difficile comprendere anche contestualizzando il tutto al basso budget di partenza.
Quella casa in fondo al bosco: horror senza mistero
Lo script dedica un tempo fin troppo significativo alle ipotetiche ansie procedurali e domestiche di Cathy: il suo rapporto con l'ex marito, l'agente di polizia Jason Reid, la nuova moglie di lui e la preoccupazione per il figlioletto Luke. E toglie ampio respiro a quell'anima folk, con l'orrore primordiale che pur poteva nascondersi tra gli alberi e le sterpaglie che resta inespresso per lungo tempo, vivendo di un paio di fiammate che guardano a un immaginario consolidato nel tentativo di scatenare malie arcane.

Le allusioni a opere ambiziose come Il labirinto del fauno (2006) di Guillermo Del Toro, evocate dal simbolismo della radice di mandragora, o ancora a quei segreti interni alla comunità che fanno tanto The Wicker Man (1973), sono richiami alti, più gratuiti che consapevolmente centrati in una trama verticale che vive più su suggestioni che su soluzioni.
Il potenziale di ambiguità morale è neutralizzato, ridotto a un simbolismo statico che impedisce di entrare in comunione coi personaggi e con quanto accadente su schermo. Quando l'incertezza viene meno, consumata da un pragmatismo che poco si adatta al filone e alle relative atmosfere, anche la curiosità del pubblico per ciò che deve arrivare si smorza progressivamente, disinnescando la mi(na)ccia del sovrannaturale in favore di un più noioso realismo.
Conclusioni
Nel tentativo di infondere profondità ad una narrazione più lineare del previsto, Mandrake vorrebbe integrare temi di vasta portata sociale: l'identità femminile, l'innocenza, il ruolo della natura e della maternità. La tensione drammatica era quindi potenzialmente esplosiva, soprattutto se applicata alle dinamiche narrative e ambientali del folk horror, ma vuoi per un budget limitato, vuoi per una sceneggiatura poco accattivante, gli ottanta minuti di visione girano spesso a vuoto. Si notano le ambizioni, ma proprio per via di ciò che si scorge dietro la facciata la caduta non può che essere ancora più rovinosa, tra spunti inespressi, personaggi anonimi e situazioni poco chiare che rendono il tutto un calderone confuso di suggestioni e rimandi fini a se stessi.
Perché ci piace
- Spunti nascosti qua e là...
Cosa non va
- ...in una sceneggiatura che si perde dietro le sue ambizioni.
- Il budget è scarso e sfruttato male.
- Sia la protagonista che la villain risultano poco interessanti.