In concorso a Cannes anche il secondo episodio della trilogia dedicata agli Stati Uniti di Lars Von Trier. Il regista danese ha parlato di Manderlay con la stampa, affiancato dal cast: presenti Isaach de Bankolé, Willem Dafoe, Bryce Dallas Howard e Danny Glover.
Come Dogville, anche Manderlay è un film molto legato al teatro. Lars Von Trier: Sicuramente Manderlay è radicato nel sistema di rappresentazione teatrale, ma è anche cinema. Con le strisce bianche tracciate sul suolo, il film si rivela permettendo allo spettatore di porsi dove preferisce. L'idea è quella di rappresentare la realtà in maniera umile.
Come mai un film sull'America, un paese in cui lei non è nemmeno mai stato? Lars Von Trier: Questo film è molto simile agli altri che ho girato. Sono film pessimistici e sarcastici. L'America è un ottimo soggetto perché molto delle nostre vite ha a che fare con essa. Non si può negare il suo ruolo di dominio sul resto del mondo. Per questo sto facendo questi film sull'America, perché riempie il 60% del mio cervello. Le parole che ho immagazzinato, le esperienze della mia vita, almeno il 60% di esse - e non ne sono certo felice - è americano. Quindi di fatto io sono americano, ma non posso andare là a votare, non posso cambiare le cose perché vengo da un piccolo paese come la Danimarca. Quindi faccio film sull'America, e non ci vedo niente di strano.
Mr. Glover, cosa pensa dei temi trattati nel film?
Danny Glover: E' un discorso molto ampio, ma è incentrato non tanto sulla schiavitù, quanto sull'eredità del sistema schiavistico in USA. Negli Stati Uniti, per il 70% dei ragazzi di colore è ancora inserito in un sistema scolastico di segregazione.
Nel film c'è l'idea che la democrazia in America sia stata costruita sulla pelle degli schiavi. L'idea che il capitalismo, alla vigilia dell'industrializzazione, sia pure basato sulla schiavitù. Tutti i propositi di democrazia e libertà nascono da questo particolare contesto, e ancora oggi sono legati ad esso. Il film di Von Trier si svolge proprio in un periodo chiave dell'industrializzazione e dello sviluppo del capitale negli Stati Uniti. Si rilevano autentici dualismi: allora il razzismo, i libnciaggi dei neri, la coscrizione dei lavoratori di colore - erano ancora ordinaria amministrazione negli stati del Sud.
Lui ci chiede di riscoprire questa realtà, che non è esclusivamente indigena degli Stati Uniti. Il film ha il coraggio di avvicinare questi problemi in una cornice che dovrebbe essere familiare per noi artisti, perché l'intera esistenza è la nostra immaginazione di artisti.
Miss Howard, com'è stato lavorare con Lars Von Trier, tra l'altro prendendo il posto di Nicole Kidman? Bryce Dalls Howard: Farei davvero di tutto per lavorare di nuovo con Lars, e non sto esagerando. Quanto al fatto di sostituire Nicole, io credo che in Manderlay sia presente tutto un altro aspetto di Grace. Se avessi dovuti semplicemente riprendere da dove lei aveva lasciato, mi sarei sentita davvero svantaggiata, perché lei è un'attrice di enorme talento. Per sopravvivere a questo, ho dovuto pensare al suo nel primo film della trilogia e al mio nel secondo come a due ruoli diversi: in nessun modo ho cercato di imitarla.