"Mi è sempre piaciuto scrivere storie, immaginare personaggi e raccontare le vite degli altri", racconta Elisa Amoruso presentando durante la scorsa Festa del Cinema di Roma il suo debutto a un lungometraggio di finzione, Maledetta primavera. Il film in sala dal 3 giugno rappresenta l'evoluzione naturale di un percorso che ha trovato nel documentario la sua massima espressione da Fuoristrada ai più recenti Chiara Ferragni: Unposted e Bellissime: "Con il documentario ho approfondito lo studio sull'essere umano tipico di chi cerca di raccontare storie al cinema. La regia di un film di finzione unisce invece la mia passione per la scrittura con quella per le persone in carne e ossa. La grande novità è stata ritrovarsi a lavorare con degli attori talmente bravi da portare dentro ai personaggi ognuno qualcosa di molto personale". Il cast in questione è quello composto da Giampaolo Morelli, Micaela Ramazzotti e dalle giovanissime Emma Fasano e Manon Bresch.
La dimensione autobiografica
"È un film molto personale e intimo", ribadisce la regista che non nega la dimensione autobiografica di Maledetta primavera, nato da un ricordo d'infanzia: "Ero andata da Angelo e Matilde Barbagallo con un'altra storia che non gli era piaciuta. Mentre chiacchieravamo raccontai di quando mio padre, un pazzo furioso, aveva deciso durante un trasloco di scambiare il nostro tavolo da pranzo con uno da biliardo. L'immagine di questo aneddoto ci è rimasta dentro e mi suggerirono di scriverci una storia". Così Elisa Amoruso scrive per Fandangolibri il romanzo Sirley, e da qui viene fuori un primo trattamento.
La vicenda rimaneggia alcuni ricordi d'infanzia dell'autrice e racconta il viaggio di formazione di Nina (Emma Fasano), tredicenne goffa e impacciata che dal centro di Roma si ritrova catapultata in un quartiere di periferia insieme alla sua famiglia sconclusionata: un papà che sbarca il lunario partecipando a bische clandestine, una madre scombinata ed esasperata dall'inaffidabilità del marito e un fratellino Lorenzo, che quando si arrabbia diventa pericolosissimo.
È la fine degli anni '80, e tra quei palazzoni bruciati dal sole di un inizio d'estate Nina assaporerà i primi turbamenti adolescenziali, soprattutto grazie al rapporto sempre più intimo e profondo con una strana creatura, la compagna di banco Sirley. Il motivo che dà il titolo al film è la celebre canzone di Loretta Goggi, cantata a squarciagola dalle protagoniste durante una scena in macchina: "Maledetta primavera è sempre stato uno dei miei pezzi preferiti, era la cassetta che ascoltavamo durante i viaggi in macchina con i miei genitori. Ha delle note malinconiche, struggenti e allegre nello stesso tempo. È un pezzo universale che si adatta benissimo al film: attraversa le storie d'amore di ogni genere, tanto da essere diventato un manifesto dei movimenti gay", dice Amoruso.
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Scavare tra i ricordi e dare forma ai personaggi
La difficoltà principale? La paura di "non riuscire a staccarmi dal ricordo dei miei genitori in quegli anni. Erano una coppia disorganizzata e vitale allo stesso tempo, non si lasciavano intimorire dall'idea di dover affrontare cinque traslochi in un anno con tre figli", ammette la regista che spiega poi di aver provato a trovare "la giusta distanza tra il racconto dei personaggi e il ricordo che avevo di loro. Giampaolo lo ha capito subito e mi ha proposto un suo personale adattamento di Enzo, mio padre: farlo parlare in napoletano. Ciascuno dei personaggi esisteva nella mia memoria e sulla carta, ma abbiamo cercato di dargli una vita personale attraverso le componenti di ogni interprete: Nina ad esempio doveva essere una ballerina classica, ma Emma non sapeva ballare, così è diventata una ragazza che suona il sassofono". Ogni personaggio ha così preso corpo attraverso gli attori.
"Mi sono accostato al ruolo del papà di Elisa in punta di piedi - racconta Giampaolo Morelli - e ho cercato di prendere le misure, poi come succede per ogni ruolo cominci a metterci anche il tuo vissuto. Una volta delineato il carattere abbiamo deciso di spingere nella direzione del suo modo di stare al mondo". Di Enzo lo ha affascinato "il suo essere disordinato, inafferrabile e nello stesso tempo un padre e un marito pieno di amore. Ed è bello perché è come la vita, non siamo bianco o nero, ma viviamo di mille sfumature. I personaggi con dei fuori fuoco sono sicuramente i più interessanti", precisa e aggiunge: "Mi divertiva molto il suo look, una sorta di figlio dei fiori, con gli occhialoni, la camice con il colletto aperto e il suo fare affari vendendo macchine fotografiche. Ho seguito tutta la sua evoluzione, perché abbiamo girato quasi in sequenza". Emma Fasano era invece alla sua prima esperienza su un set e in un ruolo da protagonista: "Emma era intelligente, bellissima, nerd e inconsapevole con una sua stranezza non assimilabile a nessuna delle ragazze provinate. - ricorda Amoruso - Ha una profondità e intensità nello sguardo che si intuiscono senza parlare, le ho tolto anche diverse battute, bastava solo che le pensasse".
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Il finale
Una curiosità: il finale previsto inizialmente era molto diverso e "più conciliante rispetto a quello che poi abbiamo deciso di tenere". Fu un'idea suggerita in fase di montaggio dalla montatrice Chiara Griziotti, spiega: "Ci aveva colpito molto l'espressione di Emma che lasciava trasparire un senso di profonda disillusione nell'aver inseguito il sogno di stare con una ragazza e varcare i confini della propria identità per poi vederla smaterializzarsi. Il suo viso in quel momento comunicava abbastanza da non dover aggiungere nient'altro, per questo ho deciso di tenere un finale in sottrazione e che forse va meno incontro al favore del pubblico. Rappresentava perfettamente la perdita dell'innocenza attraverso una disillusione e un voler crescere essendo diventata qualcosa di diverso".