"Male di pietre" è il modo in cui viene definito comunemente il dolore causato dai calcoli renali. Pietre, piccoli puntini calcarei che si affollano uno dopo l'altro nel rene: uno quasi non lo senti, due sono solo un fastidio appena temporaneo, ma quando aumentano e finiscono per essere una manciata creano un dolore lancinante e continuo, insopportabile - un po' come il mal d'amore. Gabrielle (Marion Cotillard) soffre di entrambi, e come i calcoli uno ad uno gli uomini passano nella sua vita e accumulano dolore, amati da lei che non è riamata. Bella, bellissima eppure incapace di ricevere affetto, tanto da decidere di punire se stessa per questo e creare nei suoi genitori la vergogna di avere una figlia che, per comodità, viene definita pazza, da internare.
Difficile per una famiglia ascoltare davvero una ragazza nel pieno della scoperta della sua sessualità prorompente, in quella che per Milena Agus (autrice del romanzo) è la rurale Sardegna in risalita dopo la guerra e che per Nicole Garcia e il suo Mal de Pierres/From the Land of the Moon è la Francia del sud e la sua piccola borghesia agricola. Gabrielle viene data in sposa al primo che decide di portarla via, un uomo che lei disprezza e che non la aiuta affatto a far sbocciare quel bisogno fisico, che come un demone tenta disperatamente di uscire dal suo corpo e diventare altro con l'aiuto di un altro. L'eroina di Nicole Garcia cerca di curare alle terme il Mal di Pietre e il Mal d'amore, ma riuscirà a portare via dalla clinica solo una delle due cose, lasciando che l'altra continui a condizionare la sua vita e il suo dolore continuo.
Il male misterioso che faceva fuggire l'amore
Di eroine alla scoperta della propria sessualità la letteratura è piena: il posto già occupato dalle varie Madame Bovary e Adéle H. Non è pero quello dell'eroina di Milena Agus, che in fondo eroina non sembra affatto: è solo una donna, è reale, è sua nonna. Un romanzo raccontato in prima persona che umanizza fortemente la materia trattata, che sa di famiglia e per questo prende forma in maniera differente rispetto a stilemi più classici, diventando corpo e anima fatti di inchiostro. Il più grande peccato di Nicole Garcia nel realizzare From the Land of the Moon è aver dimenticato la sfumatura che distingue una donna come Gabrielle da un'eroina dei romanzi, che finisce per diventare in pellicola uguale a tante altre, e forse anche meno. Svestita dell'umanità unica che le aveva donato con amore la nipote nello scrivere il romanzo Gabrielle diventa una donna qualsiasi del Sud della Francia, la cui storia perde di spessore e di contesto. La Sardegna del vento e del sole sparisce, sparisce il contorno della guerra che tanto era caro a Milena Agus e a sua nonna, spariscono le sfumature di un male molto più profondo di quello inscenato da Nicole Garcia, monocromatico rispetto all'origine. Ne esce un film spesso frettoloso e privo di giustificazioni, che non rende giustizia né a Gabrielle né al suo dolore - e tantomeno sembra rendere giustizia ad uno spettatore che privato degli elementi chiave del romanzo non riesce ad empatizzare con la protagonista, finendo per rimanere completamente estraneo alle vicende che si dispiegano davanti ai suoi occhi.
Solitudini selvagge e turbini di follia
L'adattamento cinematografico rimane in superficie e lo stesso fanno gli attori protagonisti, Marion Cotillard e Louis Garrel, costretti a scivolare sullo specchio d'acqua della sceneggiatura senza mai immergervisi davvero. A salvarsi rimane Marion Cotillard, che pur con un materiale difficile da rimescolare riesce a modellare un personaggio intenso, che vive della profondità del suo sguardo e del suo corpo perfetto, messo senza riserve a completo servizio della narrazione: nei momenti in cui l'attrice disegna la psicologia e la sessualità della protagonista il film riesce a raccogliere piccole gocce di umanità, che si condensano spesso nello sguardo liquido dell'attrice francese e nei suoi primi piani. Un solo elemento non riesce tuttavia a prendere per mano l'intero film, per quanto ci provi con chiara evidenza, e arranca nel portarsi dietro una sceneggiatura bidimensionale e una regia indolente, che fermano quello che avrebbe potuto essere un interessante viaggio all'interno della psicologia di una donna tormentata e profondamente umana: ci viene restituito al contrario un racconto sterile e privo di consequenzialità, dal sapore di occasione sprecata.
Movieplayer.it
2.0/5