Recensione Fine, Totally Fine (2007)

Il racconto è un breve spaccato di vite giapponesi con un inizio ed una fine sfumati nel tempo, la trama un sottofondo omogeneo in cui prendono volume e si svelano in ogni loro sfaccettatura le personalità dei personaggi.

Mai stato così bene

Teruo e Hisanobu sono due amici d'infanzia molto diversi tra loro, il primo è un ragazzino imprigionato nel corpo di un trentenne, con una passione smisurata per l'horror. Ha un lavoretto part-time come potatore, ma il suo sogno è quello di realizzare un parco divertimenti dell'orrore con una casa dei fantasmi piena d'ogni sorta di spaventoso trucchetto. Hisanobu invece è più maturo, affabile e simpaticone con tutti, o almeno così cerca di mostrarsi agli altri; ha un lavoro serio come direttore dell'ufficio delle risorse umane di un ospedale e pare deciso a trovare una ragazza con cui sposarsi. Il triangolo sembrerebbe chiudersi quando nelle loro vite inciampa (quasi letteralmente) Akari, un'impacciatissima ma sensibile ragazza assunta all'ospedale. Teruo e Hisanobu devono però fare i conti con un restauratore d'arte con un difetto facciale, interpretato da Naoki Tanaka, che subito conquista l'attenzione della ragazza.

Questa la trama, a cui si aggiungono una serie di altri divertenti personaggi di contorno come il padre di Teruo, proprietario di un piccolo negozio di libri usati e vittima prediletta degli scherzi del figlio. Ma a raccontarlo a parole Fine, Totally Fine dice poco o nulla, rischiando di presentarsi come il solito lavoretto incapace di andare oltre lo schema abusatissimo del "triangolo" amoroso, qui al limite virato in commedia da qualche siparietto demenziale. Fortunatamente il film di Yosuke Fujita è molto di più: il racconto è un breve spaccato di vite giapponesi con un inizio ed una fine sfumati nel tempo, la trama un sottofondo omogeneo in cui prendono volume e si svelano in ogni loro sfaccettatura le personalità dei personaggi.

Fine, Totally Fine è un piccolo e solido alveare, un puzzle di volti il cui ritratto realistico è smosso da pennellate surreali ed irresistibili; orchestrati da un'impeccabile e brillante sceneggiatura e dallo sguardo delicato, ma anche spietato, del regista i protagonisti di questa pellicola sono maschere di sogni, deliri e fobie, sono outsiders che incantano col fascino della loro estrema diversità/normalità e conducono lo spettatore nel loro particolare microcosmo.
Realizzato a distanza di vent'anni dal cortometraggio d'esordio con cui il regista si era fatto conoscere al Festival di Torino, Zenzen Daijoubu è un film che abbaglia per la bravura degli attori, Arakawa su tutti, ma soprattutto per il talento del suo autore: quello di Fujita è un occhio fresco ed acuto, che idealmente si aggiunge a quello di altri ottimi nomi nel panorama delle più giovani commedie made in Japan e di cui il titolo di questo lavoro pare fare da cartina tornasole: mai state così bene!