Da The Visit a Trap: l’eterna rinascita di M. Night Shyamalan

L'uscita di Trap suggella un decennio decisamente fortunato per M. Night Shyamalan, che a partire da The Visit e Split è tornato a dedicarsi a progetti più personali e convincenti.

Josh Hartnett, M. Night Shyamalan e Saleka sul set di Trap

Uno o più protagonisti immersi in situazioni in apparenza normali, ma da cui emergono dettagli anomali e sottilmente inquietanti, lasciando intuire a poco a poco la presenza una minaccia incombente. È quanto accade ai due ragazzi adolescenti invitati a casa dei nonni in The Visit, al gruppo di turisti in vacanza su un'isolata spiaggia tropicale in Old, alla famiglia che sta soggiornando in uno chalet in mezzo a un bosco in Bussano alla porta. Ed è lo stesso schema narrativo che ritroviamo in Trap, ultima fatica del regista M. Night Shyamalan: Cooper Adams, vigile del fuoco di Philadelphia, si accinge a condividere con la figlia Riley la "giornata più bella" nella vita della ragazza, accompagnandola al concerto della popstar Lady Raven, fin quando non si rende conto che lo spettacolo a cui lui e Riley stanno per assistere potrebbe nascondere una gigantesca 'trappola'.

M. Night Shyamalan: un ex enfant prodige fra trionfi e disastri

Trap
Josh Hartnett in Trap

Al di là di un'accoglienza non proprio entusiastica negli Stati Uniti, dove di rado M. Night Shyamalan ha potuto contare su consensi plebiscitari, Trap si inserisce perfettamente all'interno della recente produzione del regista e sceneggiatore di origini indiane: si tratta di un thriller che riprende diversi tratti distintivi dell'opera di Shyamalan e che porta avanti un'idea di cinema ben precisa, in cui temi quali la scissione identitaria e il rapporto fra individuo e società sono funzionali a un meccanismo di suspense indubbiamente efficace, a patto di mantenere alta la sospensione dell'incredulità e di sorvolare su una certa quantità di forzature. In tal senso, Trap potrebbe essere considerato l'ideale punto d'arrivo di un decennio di estrema importanza per il regista de Il sesto senso: un decennio inaugurato fra l'estate e l'autunno del 2015 da The Visit, autentico titolo di svolta per una carriera quanto mai altalenante.

The Sixth Sense
Haley Joel Osment e Bruce Willis ne Il sesto senso

Nell'estate 1999, a ventinove anni appena compiuti, Manoj Nelliyattu Shyamalan viene acclamato di colpo come una sorta di enfant prodige in virtù del successo planetario de Il sesto senso, consacrato in breve tempo fra le opere seminali nell'ambito dell'horror contemporaneo. Da lì in poi, i suoi film a venire si riveleranno ben più divisivi, in particolare presso la critica: paradigmatico il caso di The Village, che nel 2004 è il bersaglio di una discreta quantità di stroncature, ma al contempo viene definito da vari estimatori come il suo miglior lavoro. Fra il 2006 e il 2008, Lady in the Water ed E venne il giorno segnano invece l'inizio della parabola discendente di Shyamalan: il regista sembra aver perso quel "tocco magico" che lo aveva portato sulla cresta dell'onda, e il passaparola negativo incide sempre più pesantemente sui risultati al box-office. Nel frattempo arriva la scelta di imbarcarsi in progetti ancora più imponenti a livello produttivo, ma anche meno originali e 'personali'.

Il sesto senso: Shyamalan e il bambino che sussurrava ai fantasmi

La riscossa di Shyamalan: The Visit e Split

The Visit
The Visit, un cult

L'ultimo dominatore dell'aria e After Earth, usciti fra il 2010 e il 2013, sono due costosissimi disastri che costituiscono il nadir nell'itinerario di Shyamalan, il cui talento pare essere stato ormai fagocitato dall'industria hollywoodiana. Pertanto, nel 2015 The Visit giunge come una sorprendente inversione di rotta per il regista, a partire dalla sua realizzazione: appena cinque milioni di dollari di budget, a fronte dei quasi centocinquanta milioni spesi per ciascuno dei due film precedenti, l'assenza di divi e l'utilizzo della tecnica del found footage; ma quella che si profilava come un'opera 'minore' si dimostrerà di gran lunga il miglior film di Shyamalan perlomeno dai tempi di The Village. L'essenzialità dei mezzi è messa al servizio di un racconto che, nella sua sostanziale semplicità, è scandito da un formidabile crescendo di tensione, per poi calare - in prossimità dell'epilogo - uno dei proverbiali twist alla Shyamalan, in grado di modificare la nostra prospettiva sugli eventi.

Split
James McAvoy in un'immagine di Split

A confermare il ritorno d'ispirazione di The Visit a poco più di un anno di distanza è Split, altra pellicola a basso budget frutto della collaborazione fra il regista e la Blumhouse Productions. In questo caso, il filone di riferimento è, come per Trap, quello legato ai serial killer, con echi de Il silenzio degli innocenti di Jonathan Demme (il film si apre su un rapimento) e di Psycho di Alfred Hitchcock: Split è imperniato infatti sulle personalità multiple del villain di turno, Kevin Wendell Crumb, ruolo affidato a un istrionico James McAvoy, che sulla sua presenza scenica regge il peso di un thriller dotato di un'ottima gestione della suspense. L'eccellente accoglienza per Split (duecentottanta milioni di dollari d'incasso) consente a Shyamalan di portare a compimento una trilogia legata all'universo 'condiviso' con il precedente Unbreakable del 2000: nel 2019 esce dunque Glass, opera dai contorni sci-fi che funge da ponte fra il passato e il presente nella carriera del regista.

Trap, recensione: Shyamalan ci regala il miglior Josh Hartnett di sempre

Da Old a Trap, la nuova formula di un maestro della suspense

Old
Una scena di Old

Abile nel cogliere l'onda lunga del successo di Split, Glass non vanta però la stessa efficacia del predecessore. Saranno più convincenti i due film diretti da M. Night Shyamalan fra il 2021 e il 2023, ovvero Old e Bussano alla porta, in cui si rintracciano di nuovo gli elementi alla base della produzione più recente del regista: la forza di uno spunto narrativo che, facendo leva anche sulla dimensione fantastica o surreale, mette a repentaglio l'esistenza di personaggi ordinari; l'attenzione per il "fattore umano", nello specifico legami affettivi e familiari messi alla prova dalle circostanze; uno sviluppo più graduale e studiato che, come accadeva già in The Visit e come vedremo in Trap, scandisce i ritmi del racconto senza la necessità di accumulare momenti d'azione, ma concedendosi il tempo per farci entrare nell'universo interiore dei protagonisti. E poi, dato non trascurabile, l'emancipazione dal colpo di scena finale (i twist, se presenti, assumono un peso di gran lunga minore).

Trap Josh Hartnett E Ariel Donoghue In Una Foto
Josh Hartnett e Ariel Donoghue in Trap

Si tratta di un approccio probabilmente più vicino alla sensibilità di Shyamalan rispetto a quello adottato per i mega-blockbuster alla After Earth, e che da The Visit in poi gli ha permesso di esprimere in maniera assai più soddisfacente il proprio talento. Beninteso, non si tratta di una formula infallibile, né tantomeno i film succitati sono esenti da difetti: ad esempio, Trap gioca con intelligenza con le attese dello spettatore e con gli stilemi del thriller, pure grazie all'apporto di un Josh Hartnett azzeccatissimo nell'incarnare il doppio volto del suo Cooper, amorevole padre di famiglia e genio criminale dalla freddezza serpentina; ma in seguito non mantiene appieno le promesse iniziali, incagliandosi in qualche passaggio un po' stiracchiato. Eppure, al netto di punti deboli più o meno ricorrenti, l'ultimo decennio di carriera di Shyamalan ha avuto un indubbio merito: ridar voce a uno dei pochi cineasti di oggi capaci di navigare nel circuito 'commerciale' di Hollywood senza rinunciare alla propria visione autoriale.