Cominciamo la recensione di Lynch/Oz con una considerazione: Il mago di Oz è uno dei film più citati di sempre in altri film. Non solo. Pensiamo alla serie Lost: la terza stagione è disseminata di riferimenti alla pellicola di Victor Fleming. Il più evidente è il titolo dell'episodio 3x20, "The men behind the curtain": chi ha visto il film del '39 sa che "l'uomo dietro la tenda" è proprio il mago di Oz.
Indubbiamente un classico e un capolavoro, questa pellicola è avvolta da un mistero e un fascino unici. Su carta questo suo status è inspiegabile: è infatti tratto da un libro, Il meraviglioso mago di Oz di L. Frank Baum, che molti considerano un'allegoria dell'economia americana. È poi un remake, e nemmeno il primo remake: è infatti preceduto dalle omonime pellicole del 1910 e 1925. Eppure, complice il passaggio dal bianco e nero al Technicolor e alla bellissima colonna sonora, che comprende il brano Over the Rainbow, cantato da Judy Garland, Il mago di Oz ha un'aura leggendaria.
Alimentata ancora di più da una dichiarazione di David Lynch fatta nel 2001 al New York Film Festival: nel corso di un Q&A del suo Mulholland Drive, il regista, alla domanda su quanto il film di Fleming abbia influenzato il suo immaginario, ha detto: "Non c'è giorno in cui non pensi a Il mago di Oz". È proprio da qui che parte il documentario Lynch/Oz di Alexandre O. Philippe. Nelle sale italiane il 15, 16 e 17 maggio, distribuito da Wanted Cinema, dopo il passaggio alla Festa del Cinema di Roma 2022 e al Comicon 2023.
Lynch/Oz: il trailer
David Lynch come Dorothy Gale
Ormai specializzato in documentari sul cinema, dopo The People vs. George Lucas (2010), Doc of the Dead (2014) e 78/52 (2017), in cui analizza la scena della doccia in Psycho di Alfred Hitchcock, Alexandre O. Philippe dedica ora una nuova analisi che mette a confronto Il mago di Oz e il cinema di David Lynch.
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Questo viaggio nel subconscio delle immagini del regista è fatto senza che Lynch risponda direttamente alle domande sui suoi film. Philippe lascia infatti che siano altri cinque artisti a parlare di questa simbiosi. Le voci prescelte sono quelle dell'attrice Amy Nicholson, i registi Rodney Ascher, John Waters, Karyn Kusama (suo Jennifer's Body) e Justin Benson e del direttore della fotografia Aaron Moorhead.
Diviso in cinque capitoli, Lynch/Oz è un vero e proprio "trip£ nella mente di Lynch, che, come sottolineano gli intervistati, è come se si identificasse totalmente con Dorothy e con il suo viaggio in un altro mondo, che la porta a uno stadio di coscienza amplificato, ma allo stesso tempo la terrorizza, facendole costantemente desiderare di tornare a casa.
Il cinema dietro la tenda
Inutile elencare gli infiniti riferimenti, consapevoli e non, a Il mago di Oz presenti nei film di Lynch (basti pensare all'uso che fa della tenda rossa in Twin Peaks, o alla sua fissazione per le scarpe rosse, proprio come quelle di rubini di Dorothy): vi lasciamo la possibilità di scoprirli da soli guardando il film.
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Una riflessione però vogliamo riportarla: se è vero che siamo fatti dei film che abbiamo visto e amato, Il mago di Oz è stato davvero un rito di iniziazione per Lynch e per tanti cineasti. È come se i film vivessero in un universo alternativo, astratto ma reale, che popola i nostri sogni come i nostri incubi, in un sistema di comunicazione invisibile tra coscienza e subconscio che permette di rielaborare e plasmare immagini che è come se appartenessero a tutti ed esistessero da sempre.
Come dice il regista di culto John Waters: "Il Mago di Oz è come la droga per i bambini: li rende dipendenti dal cinema per il resto della loro vita". Se non avete mai visto il film di Fleming questo è il momento giusto per rimediare. A vostro rischio e pericolo però: potreste rimanerne ossessionati come è già successo al regista di Velluto Blu.
Conclusioni
Come scritto nella recensione di Lynch/Oz, il documentario di Alexandre O. Philippe analizza il rapporto tra il film Il mago di Oz (1939) di Victor Fleming e il cinema di David Lynch. Grazie alle voci e alle analisi di altri sei artisti (quattro registi, tra cui John Waters, un'attrice e un direttore della fotografia) scopriamo come la pellicola abbia influenzato profondamente l'immaginario del regista di Velluto Blu e Mulholland Drive, che, per sua stessa ammissione, è ossessionato da Dorothy e le sue scarpette rosse.
Perché ci piace
- Un'analisi interessante, che unisce cinema e psicanalisi.
- Sentir parlare di cinema John Waters è un piacere.
- Una fonte di studio per tutti gli appassionati di cinema.
Cosa non va
- Adatto forse soltanto ai cinefili duri e puri.