L'uomo d'argilla, la recensione: una fiaba delicata sul sentirsi visti

L'esordio al lungometraggio di Anaïs Tellenne prova a raccontare cosa resta dello sguardo dell'artista sul soggetto della sua opera attraverso una storia d'amore senza futuro, ma in qualche modo salvifica. Al cinema dal 13 febbraio.

Raphaël Thiéry ed Emmanuelle Devos sono i protagonisti de L'uomo di argilla

"Il tuo corpo è un paesaggio". È così che Garance, ereditiera ed artista di opere spesso estreme interpretata da Emmanuelle Devos, definisce Raphaël (uno straordinario Raphaël Thiéry). Un uomo dalla fisicità mastodontica, con una benda su un occhio e la passione per la cornamusa. È lui - insieme alla sua cinica mamma - il custode di un maniero disabitato di cui si prende cura lontano dal resto del mondo. Fino a quando quell'artista tormentata non entra nella sua vita e la stravolge chiedendogli di posare per lei. Anaïs Tellenne debutta al lungometraggio con L'uomo d'argilla, una fiaba delicata sul sentirsi visti e sull'origine delle opere d'arte.

Lo sguardo dell'artista

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Una scena de L'uomo di argilla

Passeggiando per i corridoi di un museo abbiamo incontrato decine e decine di volti ritratti da artisti nel corso dei secoli. Opere d'arte nate dal loro sguardo che si è posato su uomini e donne dei quali spesso non sappiamo nulla. Con L'uomo d'argilla Anaïs Tellenne prova a raccontarci cosa resta di quello sguardo, chi si cela dietro quelle opere d'arte e quanto il loro contributo sia stato determinante. Raphaël con quel suo aspetto così diverso da come la società ci impone non è stato mai realmente visto. Osservato con crudele curiosità, forse. Ma nessuno lo ha mai guardato oltre quell'esteriorità così marcata.

Garance, così distante da lui nella scala sociale, ne resta affascinata e lo convince a posare per una scultura d'argilla. Quelle ore seduto in posa, gli occhi di Garance su di lui che lo scrutano, le sue mani che per osmosi lo modellano quando l'artista le immerge nell'argilla, permettono a Raphaël di scoprire l'amore. Un sentimento a cui forse non si era nemmeno mai concesso di pensare. E così Raphaël inizia a sognare, a immaginare il piacere. Quella de L'uomo d'argilla è una storia d'amore senza futuro eppure in qualche modo salvifica.

L'uomo d'argilla: un sogno che diventa realtà

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Emmanuelle Devos in una scena del film

Una sceneggiatura poco verbosa, che non lascia tanto spazio alla parola quanto alla comunicazione non verbale, agli occhi, ai gesti. L'uomo d'argilla è anche un film che mette al centro il corpo. Quello di Raphaël, colossale e all'apparenza bestiale, che diventa opera d'arte sotto la guida delle dita dell'artista. E quello di Garance, tagliato ed esibito in una delle sue performance. È come se plasmando quella statua con le fattezze del custode, Garance lo (ri)portasse in vita.

Non è un caso che nelle prime immagini del film la macchina da presa di Anaïs Tellenne inquadri la statuetta di un Golem. Figura della mitologia ebraica che significa "materia grezza". Quello che era Raphaël prima di quell'incontro capace di trasformarlo. Ma quella dell'uomo non è una figura passiva. Il film si interroga anche sul suo ruolo e la sua influenza su Garance, come donna e artista. È così che quel rapporto convenzionalmente unidirezionale si fa dialogo e permette al sogno di diventare realtà.

Conclusioni

“Un’opera d’arte nasce dallo sguardo di un artista sul suo soggetto. Ma cosa accade al soggetto? Cosa resta di questo sguardo?”. È quello che si domanda Anaïs Tellenne nel suo esordio al lungometraggio con protagonisti Raphaël Thiéry ed Emmanuelle Devos. Da un lato un uomo dall'aspetto bestiale che nessuno ha mai realmente visto, dall'altro un'artista che nel posare i suoi occhi e le sue mani su di lui gli permette di nascere per una seconda volta. Una storia d'amore impossibile che permette a entrambi di liberarsi. Un film dai contorni della fiaba, sull'arte e la sua origine e sul potere trasformativo del sentirsi visti.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
N/D

Perché ci piace

  • La prova di Raphaël Thiéry ed Emmanuelle Devos
  • L'atmosfera fiabesca che avvolge il film
  • La riflessione sull'origine dell'opera d'arte

Cosa non va

  • Poco verboso, il film potrebbe non riscontrare il favore del pubblico poco amante di questo tipo di narrazione