L'uomo d'argilla, intervista a Raphaël Thiéry: “Sono attratto dal cinema che parte dalla realtà”

L'esordio al lungometraggio di Anaïs Tellenne e il sentirsi visti, la stesura della sua prima sceneggiatura e i film che prendono spunto dal tangibile: l'attore racconta la pellicola. In sala.

Raphaël Thiéry in una scena de L'uomo d'argilla

Quando i fotografi gli chiedono di mettersi in posa Raphaël Thiéry appoggia le mani sui fianchi e porge loro le spalle facendosi una risata prima di concedersi all'obiettivo. L'attore francese, recentemente visto in Povere creature! e Le vele scarlatte è ospite dell'Ambasciata di Francia a due passi da Campo de' fiori, a Roma. Quando lo incontriamo per la nostra intervista, l'ultima della giornata, ci chiede di potersi prima fumare una sigaretta.

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Raphaël Thiery in una scena del film

Una piccola pausa prima di reimmergersi nel mondo de L'uomo d'argilla, esordio al lungometraggio di Anaïs Tellenne. La storia ruota attorno a un uomo, l'omonimo Raphaël, dalla fisicità possente e una benda sull'occhio. Lui e la sua anziana madre vivono in una piccola casa all'interno di un maniero disabitato di cui si prende cura. Una vita semplice fatta di rituali sempre uguali fino a quando, una notte, l'artista ed ereditiera Garance (Emmanuelle Devos) non fa rientro nella casa di famiglia. L'incontro tra i due, così diversi, sconvolgerà la sua vita.

Un artista in dialogo

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Un'immagine de L'uomo di argilla

Presentato a Venezia 81 nella sezione Orizzonti Extra, L'uomo di argilla ha un'atmosfera fiabesca caratterizzata da sequenze apparentemente inspiegabili, come quella in cui il protagonista scende in una piscina vuota nel cuore della notte per suonare la sua cornamusa. Uno strumento realmente suonato da Thiéry che ne ha anche scritto la melodia e mezzo che permette al suo personaggio di esprimersi.

"Anaïs ha deciso che suonassi io la cornamusa affinché ci fosse un rapporto tra artisti. Mi è sembrato molto importante. Leggendo la sceneggiatura mi sono ritrovato davanti questa scena: 'Raphaël prende la sua cornamusa e va a suonare in una piscina vuota'. Ho pensato a che tipo di musica scrivere. Cosa potrebbe fare un uomo da solo di notte mentre suona una cornamusa in una piscina? Non si sa. Ma per me quello strumento è vivo, animale. E credo sia un'estensione del personaggio", spiega l'attore.

"È il suo modo di esprimere con la sua musica tutto ciò che non riesce a dire con le parole. La melodia che si ascolta è realizzata secondo quella che nella tradizione popolare viene chiamata 'lamentela'. Un lamento che spesso nasce per raccontare storie molto profonde, sentimentali, d'amore. Crediamo sempre che il musicista esprima solitudine, ma non è così. Dialoga con il suo strumento, è l'estensione del suo pensiero. Penso siano momenti in cui si sente in pace e si lascia andare ai suoi sentimenti".

Essere visti

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Emmanuelle Devos in una scena del film

Uno dei temi del film è quello di sentirsi visti, di acquisire consapevolezza attraverso lo sguardo altrui. Qualcosa che è successa anche all'attore?"La sensazione di essere visto quando hai una testa così e un occhio cavato - è stato danneggiato fino al 2000 - è intensa. Quando entri in un bar, ad esempio, hai la sensazione che tutti gli sguardi siano puntati su di te. E c'è qualcuno che dice: "Beh, quel tizio è diverso, strano". C'è qualcosa che incuriosisce, spaventa, disturba".

"Penso ci siano cose terribili nel cinema, non so se siano tipiche della Francia. Quando si gira un film ambientato in prigione si cercano sempre attori con una brutta faccia. Come a suggerire che se nasci con un certo aspetto finirai la tua vita in prigione. Sono luoghi comuni di cui abbiamo bisogno al cinema per raccontare storie. Il mio personaggio la prima volta che lo vediamo ha il volto di un contadino scontroso. Sceneggiatori e registi come Anaïs o Pietro Marcello hanno capito che, attraverso me, potevo mettere in scena il personaggio che avevano in mente. Mi hanno guardato in un modo diverso da come venivo guardato 20 anni fa".

L'esordio dietro la macchina da presa

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Una scena del film di Anaïs Tellenne

Dopo aver lavorato con Anaïs Tellenne in tre cortometraggi e averla vista all'opera nella stesura della sceneggiatura de L'uomo d'argilla di cui ha suggerito alla regista il seme dell'idea poi sviluppata nel film, Raphaël Thiéry ha capito che era arrivato il momento di cimentarsi lui stesso con la scrittura di uno script.

"È un film abbastanza naturalistico", racconta l'attore. "Tutto parte da un episodio della mia vita. Prima di diventare artista, per tre anni, ho lavorato nella foresta con decespugliatori e motoseghe. Nei nostri villaggi ci siamo trovati di fronte all'arrivo dei lavoratori turchi. Ciò ha creato situazioni piuttosto complicate nel Paese e mi rendo conto che, 40 anni dopo, la storia è ancora la stessa. Eravamo un paese tradizionalmente socialista-comunista. I voti degli ultimi anni sono stati davvero incredibili e molto rapidamente ci siamo spostati verso il partito opposto. Chiedendo alla gente perché avessero espresso quel voto, abbiamo capito che sono contro l'ecologia, le istanze sociali e gli stranieri. O meglio, sono anti-musulmani".

"Nel film interpreto il ruolo di un imprenditore i cui dipendenti sono turchi e con i quali le cose vanno molto bene. Non conosce il razzismo, non lo vede. È un umanista. E si trova a confrontarsi sia con la gente del suo villaggio che con la comunità turca, perché si innamorerà di una donna che porta il velo. Attraverso il contatto con lui si emanciperà, il che non piacerà alla comunità turca. Si ritroverà tra questi due fuochi, cercando di vivere nel mezzo".

Un cinema che parte della realtà

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Un'immagine del film che ritrae Raphaël Thiéry ed Emmanuelle Devos

Guardando alla recente filmografia dell'attore, tra la pellicola di Pietro Marcello e l'esordio di Anaïs Tellenne, qual è il cinema che lo attrae, da professionista e spettatore? "Tutto ciò che ha a che fare con la società e che tocca da vicino il sociale mi piace moltissimo", ammette Thiéry. "Deve raccontare qualcosa che risuoni molto con il mio background non facile. Non a caso sono un fanatico di Ken Loach. Il cinema che mi piace è quello che, partendo dalla realtà e dal tangibile, ci permette anche di raccontare queste storie. Lo amo più di ogni altra cosa. Ho difficoltà a lasciarmi sedurre dai film di genere, futuristici, dove non ritrovo me stesso".