Dopo la proiezione veneziana (accolta invero un po' tiepidamente) Love Is All You Need, ultima opera di Susanne Bier, approda nelle nostre sale. Un periodo forse un po' curioso, visti gli attuali rigori climatici, per l'uscita di una pellicola solare già dall'ambientazione; una love story che sceglie un setting tipico come la costiera sorrentina per raccontare un (previsto) matrimonio che riserverà più di una sorpresa. Ma in fondo, se si vuole, "curiosa" (ma non per questo negativa) può forse risultare anche la scelta del genere della commedia romantica, per la Bier, autrice di una serie di drammi all'insegna del realismo e recentemente insignita dell'Oscar per il suo In un mondo migliore. Sia quel che sia, Love Is All You Need arriva in sala in pieno clima natalizio, presentato in conferenza stampa dalla regista e dalla sua protagonista (già con lei nel film precedente), la brava Trine Dyrholm.
Perché ha scelto proprio l'Italia, tra tante possibili location "romantiche"?
Susanne Bier: E' un luogo che conosco molto bene, io e il mio co-sceneggiatore Anders Thomas Jensen avevamo già scritto altri film mentre eravamo proprio lì. Non si era mai creata la circostanza giusta, però, perché erano film drammatici; quando poi abbiamo pensato a una commedia romantica, la scelta è venuta automatica.
Woody Allen ha detto che vede noi italiani come "esotici". E lei? Ci trova davvero così romantici, nonostante tutti i problemi che abbiamo?
L'intenzione non era quella di far vedere gli italiani solo come romantici e solari, so bene che è un paese che, specie in questo momento, ha anche dei problemi. Volevo raccontare una commedia romantica, ed è innegabile che quello sia uno dei luoghi più romantici del mondo, specie per la sua bellezza fisica: tanti posti simili sono stati ristrutturati, quindi hanno perso un po' il loro valore iniziale. Lungi da me fare uno statement sugli italiani.
Trine Dyrholm: Per quanto riguarda il lavoro sul set, non è stato così diverso, anche perché Susanne è una persona molto divertente anche quando dirige film drammatici. Anche lavorare ne In un mondo migliore era stato divertente. Riguardo al mio lavoro di attrice, in passato ho interpretato ruoli con lati più oscuri, quindi interpretare un ruolo di una donna così piena di vita ha rappresentato qualcosa di nuovo. C'era poi l'emozione di lavorare con una star come Pierce Brosnan, ma alla fine lui si è rivelato una persona deliziosa.
Susanne Bier: Dopo aver avuto un riconoscimento come quello di un Oscar, pensi che il film successivo debba essere "quello giusto". Questo è il peggior errore che si possa fare da artisti, perché un premio non ti deve spingere a far cose che normalmente non vorresti fare: bisogna continuare a fare ciò in cui si crede. Per me non è stato difficile, visto che già stavamo scrivendo questo film prima degli Oscar. Il punto per un cineasta non è fare film tristi o allegri, ma essere veri, precisi ed accurati: bisogna essere credibili, anche se è vero che rendere credibile una commedia romantica è più difficile.
Una commedia così "spudoratamente" romantica può essere forse letta come una risposta ai tempi in cui viviamo? C'è più bisogno, ora, di parlare di sentimenti?
Non ci sono dubbi che la gente, in questo momento, vuole vedere cose che abbiano un messaggio positivo. Non è però questo il motivo per cui l'ho fatto, anche se io e Anders leggiamo molto e siamo avidi di notizie; forse, le tante notizie non positive ci hanno spinto inconsciamente a dirigere un film con un messaggio più leggero e positivo.
La mia formazione in queste cose è come madre e anche come figlia, e lo stesso vale per Anders. Il film è incentrato anche sulle generazioni, su come interagiscono e su cosa ci si aspetta e non ci si aspetta, su ciò che funziona e non funziona. Anche le giovani generazioni devono essere pronte ad affrontare scelte a cui non sono preparati: il messaggio è che la scelta della giovane coppia è positiva, anche se sul momento può apparire tragica, è una scelta consapevole che permetterà loro di vivere la vita che davvero vogliono. In una prima stesura dello script c'era persino una nonna, come rappresentante di un'ulteriore generazione; poi l'abbiamo eliminata perché gestire anche questo elemento sarebbe stato troppo complicato.
Cosa ha cambiato nella sua vita e nella sua carriera la vittoria dell'Oscar?
Intanto è una cosa divertente avere un Oscar sulla propria scrivania! Anche pensarci non può che far piacere; tuttavia ci sono libri sulla "maledizione degli Oscar", che colpisce i registi che hanno appena vinto questo premio. Questo succede perché, come dicevo, ci si concentra subito su quello che dovrebbe essere il film "giusto" dopo. Io ho deciso che ne sarò immune, da questa maledizione. Sicuramente vincere un Oscar è una cosa che apre delle porte, fa accedere più facilmente alle star, ma poi ci vuole poi la stessa diligenza di sempre nel proprio lavoro.
Ultimamente ci sono parecchie commedie romantiche che in realtà sono abbastanza ciniche: due protagonisti che si incontrano, fanno sesso e poi si separano subito. Noi invece volevamo fare un film in cui il lato romantico fosse vero, non passeggero: per rendere credibile una storia del genere i protagonisti dovevano avere un bagaglio, che nella fattispecie è un bagaglio di dolore. Per me, come filmaker, mi resta difficile identificarmi con personaggi con vite idilliache, perfette: mi servono personaggi veri, magari con brutte esperienze, ma che si lascino anche aperte delle possibilità.
Trine Dyrholm: Tutto dev'essere vero, quando lo guardi sullo schermo: da attrice, dico che devo lavorare su personaggi con cui possa identificarmi. Amo lavorare con Susanne perché è brava a creare caratteri che siano appunto reali, sia che si tratti di commedie o di film drammatici. Anche il personaggio del marito della protagonista, per quanto stupido possa essere, alla fine fa pena: ci si dispiace anche per lui, perché quella che gli si prospetta è una vita tristissima. In questo film, anche i personaggi secondari hanno delle sfumature, nessuno è totalmente bianco o nero.
Una curiosità: come ha ottenuto quell'effetto dei capelli appena ricresciuti, sotto la parrucca? Ha dovuto davvero tagliarli completamente?
E' la magia del cinema! Può essere un po' noioso stare a raccontare i dettagli tecnici, come per esempio di quanti centimetri ho tagliato i capelli, e cose simili. Comunque anche la parrucca, così come il personaggio, è piena di vita; e così anche i costumi, specie quell'abito femminile rosso, così bello. Quando lei esce dall'acqua, dopo la nuotata, non ha più quegli elementi che ne aiutano la femminilità, è lì, fragile: ma è sempre lei, ed è sempre una donna, pur nella sua vulnerabilità.